“In viaggio” tra gli amerindi con Flavia Cuturi

 

“In viaggio” tra gli amerindi con Flavia Cuturi

La sala del Centro Congressi in via Partenope

Flavia Cuturi ospite della serata dedicata alle Messaggerie Orientali organizzata dalla Federico II

Il Rettore dell'ateneo federiciano, Massimo Marrelli, ha dato inizio all'annuale appuntamento in occasione del quale il ciclo “Come alla Corte di Federico II” ospita un docente dell'Orientale. La parola è quindi passata al Rettore del nostro ateneo, Lida Viganoni, che ha introdotto la professoressa Cuturi – docente di Antropologia culturale – delineandone sinteticamente il percorso accademico e sottolineando quanto la sua passione per le Americhe abbia radici davvero lontane. Un'affermazione confermata dalla Cuturi, la quale ha svelato come questo mondo rappresentasse già una sorta di “sogno adolescenziale” da scoprire in veste di archeologa e che, crescendo, si è trasformato in un interesse per qualcosa di sicuramente più attivo e “ancora” vivo, ovvero le culture e, in particolare, quelle della Mesoamerica.

Difficile l'impresa: descrivere in poco più di un'ora a cosa si fa riferimento quando si parla di “amerindi”. Nonostante ciò, Flavia Cuturi ha provato a far viaggiare i propri ascoltatori attraverso quello sterminato mondo che si estende “dall'Alaska alla Terra del Fuoco”, accompagnando il proprio excursus con scatti autografi e immagini relative alla complessa organizzazione geografica, demografica e linguistica dei popoli che hanno abitato questi territori prima e dopo la cosiddetta scoperta, ma meglio è dire conquista, delle Americhe.
Una conquista che – secondo l'antropologa – sembra più una regressione, se si guarda alle modalità con cui i popoli, prima e dopo il 1492, hanno vissuto il rapporto con il territorio. La focalizzazione sull'elemento ambientale ha permesso alla docente di affrontare subito uno dei temi principali: se per gli indigeni, infatti, la Natura è “fonte di vita”, non lo è affatto in una prospettiva antropocentrica, a noi familiare, nella quale si pone l'umanità al vertice della piramide; casomai accade il contrario. Sono infatti gli elementi naturali – le rocce, le montagne, l'acqua, gli animali e così via – a rappresentare la sorgente della vita stessa e, in quanto tali, a godere del massimo rispetto e, certamente, di diverse forme di venerazione da parte dei nativi americani.
Questo ha consentito di delineare un primo quadro relativo al contatto tra gli europei e gli amerindi e affrontare altri temi portanti del discorso. Innanzitutto, c'è un doppio problema, teologico e filosofico, che fu scottante negli anni della conquista. Dato che questi popoli, infatti, non erano nominati in nessun testo sacro, sorgeva un dubbio legato alla questione religiosa in senso stretto: “Gli amerindi erano figli d'Adamo o no?”, queste le parole della docente. Collegato a questo, inoltre, c'è un altro problema relativo alla questione della monogenesi o della poligenesi: il popolamento delle Americhe rappresenta infatti un problema teorico e filosofico notevole non ancora risolto, come testimoniato oggi dalla posizione di Cavalli-Sforza che pare ribadire teorie classiche. Infine, considerando che la ricchezza di lingue scoperte nel Nuovo Mondo non era affatto contemplata nel panorama delle lingue babeliche, a questi problemi se ne aggiungeva un altro, teorico, di non scarso rilievo in una prospettiva strettamente linguistica.

Dopo questo quadro introduttivo, Flavia Cuturi ha dato inizio al viaggio vero e proprio: passando dall'arte e dai sistemi di scrittura e computazione fino alle numerose tecniche di costruzione delle abitazioni; dagli ingegnosi sistemi di sfruttamento delle risorse naturali, in particolare quelle idriche, alle “trame” narrate nella simbologia dei tessuti lavorati a mano dalle donne; dalle cosmogonie e peculiarità culturali di ogni singolo popolo agli elementi più ricorrenti nelle varie culture. Un modo per mostrare come ognuna di queste culture fosse al tempo stesso particolarmente caratterizzata ma anche aperta, in molti casi, al confronto. Questo è il caso degli Aztechi (più correttamente Mexica) giunti dal Nord prima della Conquista e le cui capacità di assorbimento di elementi di altre culture – ad esempio dei Maya, degli Zapotechi e dei Toltechi – ne hanno reso possibile una fortunata diffusione e sopravvivenza. Fortuna di cui non hanno goduto numerose altre etnie andate incontro, dopo il contatto con gli europei, ad una decadenza demografica così repentina da provocarne l'estinzione in sole due generazioni, come nel caso dei Taino.
L'antropologa, tuttavia, piuttosto che soffermarsi su quanto fatto dagli europei a danno degli indigeni – si pensi all'isolamento nelle riserve e nelle zone più difficili da abitare – ha provato ad offrire un quadro relativo alla grande ricchezza di questi popoli, civiltà complesse capaci di adattarsi in un ambiente in realtà davvero poco favorevole alla vita. Questo il caso degli Inca, capaci di costruire cammini lunghi fino a 40000 Km, dal Sud dell'Ecuador al nord del Cile, per spostare intere popolazioni e sfruttare tutti i microclimi esistenti per la sopravvivenza, dalla pesca sulle coste ai terrazzamenti sui versanti impervi delle Ande.

Nel corso del “viaggio” è stato quindi possibile parlare di Quechua, Hopi, Navajo e Apache, e ancora Olmechi, Naua, Cuna, e vedere concretamente molti dei luoghi “toccati” durante il cammino, come le tipiche costruzioni del Chaco Canyon – testimoni di insediamenti di grandi dimensioni e di una vita sociale ricca e partecipativa – e le piramidi con la loro ricca simbologia, definite dalla docente come “montagne artificiali” attraverso le quali costruire un ponte tra le viscere della Terra e il Cielo, un vicolo fisico per ribadire ciò che esse rappresentano, ovvero un luogo di comunicazione tra gli elementi della Natura.
Un “grand tour” – come è stato definito dal principio dalla docente – capace di stimolare la voglia di viaggiare, la sete di conoscenze e di confronto con l'altro, e mostrare al tempo stesso quanto il lavoro etnografico sul campo sia indispensabile per poter documentare e, si spera, recuperare quanto rischia di essere perduto per sempre.

Azzurra Mancini

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