Dall’Anatolia alla Mitteleuropa: patrie (con)divise, perdute, prestate

 

Dall’Anatolia alla Mitteleuropa: patrie (con)divise, perdute, prestate

Il professore Iain Chambers, ospite della Summer School

Alla Summer School Homelands in translation si dà spazio al mondo

Programma ricco, quello della Summer School Homelands in translation. Uno dei primi interventi della giornata di apertura è stato dedicato alle docenti dell’Università di Istanbul, che hanno focalizzato l’attenzione sulla propria madrepatria come homeland transnazionale. Dal quadro della società turca dipinto da Sakine Eruz è emersa una Istanbul dalla pluriculturalità millenaria e una Turchia caratterizzata da forti differenze linguistiche sul piano diacronico e sincronico. Strettamente collegato, da questo punto di vista, l’intervento di Rana Kahraman, che ha posto l’attenzione sulle correnti migratorie che da sempre hanno arricchito la cultura e la popolazione turca. Istanbul è stata meta di rifugiati in cerca d’asilo dai più svariati paesi e questo ha fatto si che acquisisse i connotati di contesto internazionale, nel quale, ad esempio, la figura dell’interprete assume un’importanza fondamentale, che sia un delegato istituzionale o egli stesso un rifugiato.
Con il contributo di Eyleem Alp, dal titolo The Journey of the “turquerie” on different cultural stages of Molière, invece, si è tornati a parlare di letteratura. L’analisi è partita da Le bourgeois gentilhomme di Molière, che appare esemplare per la rappresentazione della turquerie, il gusto per l’imitazione dell’arte e della cultura turca diffusasi in Europa e in particolar modo in Francia nel XVII secolo. L’opera teatrale del maestro Molière mette in luce i numerosi stereotipi che circolavano all’epoca su quella che appariva come una cultura esotica e ammaliante e contiene persino dei versi in una pseudo-lingua turca creata artificialmente, che spiccano come segni assimilati dalla cultura d’arrivo, ma che conservano tutta la loro alterità e il loro esotismo, seppur in modo grottesco o stereotipato.
Nella sessione pomeridiana si sono avvicendati due esperti in campi molto meno omogenei. Il professor Walter Schmitz di Dresda, nel suo discorso intitolato Decadence and Return of the Mitteleuropean “Heimat”, si è concentrato sui mutamenti del concetto di heimat e sulla perdita irreversibile del senso intimistico di appartenenza nella patria geografica tedesca. Un cambiamento sociale che è stato vissuto come un distacco forte e drammatico, in seguito al quale la heimat si è cristallizzata in un nostalgico luogo dell’anima che racchiude tutto ciò che è considerato valore.
L’ultimo intervento della giornata è stato tenuto da Nicola Melis, dell’Università di Cagliari, che si è soffermato sui mutui rapporti linguistici e culturali che intercorrevano attraverso il mar Mediterraneo tra il Portogallo e l’allora Impero Ottomano ai tempi del massimo splendore della civiltà turca.
Patrie (con)divise, patrie perdute o “prestate” sono state le protagoniste di questa sessione del convegno; tutti argomenti stimolanti, che si esaltano l’un l’altro giovandosi dell’interdisciplinarietà e dei preziosi contributi di tutti i partecipanti al meeting.

Due giornate molto intense anche quelle successive. Partecipazione anche di studenti attraverso i workshop. I dottorandi e laureandi si sono confrontati su tre concetti principali: l’indagine profonda di come le homeland emergano dai processi traduttivi  - con la partecipazione di Dora Rusciano, Enza Dammiano, Lucia Barone e Gabriella Sgambati; la contrapposizione centro/periferia - che ha visto gli interventi di Alessandra Sorrentino, Domenico Ingenito, Celeste Ianniciello e Daniel Graziadei; il dualismo topografia e tropografia, su cui sono intervenute Juliane Zeiser e Stefania De Lucia.
Dal canto suo, la professoressa Monica Lumachi si è occupata di descrivere il complesso equilibrio dei rapporti linguistici, culturali e letterari che gli immigrati Ebrei tedeschi in Bukovina (una regione storica attualmente divisa tra Ucraina e Romania, ndr) con la comunità autoctona e la madrepatria germanica. In particolare, il dissidio interiore che ha animato intellettuali come Karl Emil Franzos, Alfred Gong e Alfred Margul-Sperber, ha prodotto una letteratura divisa fra la homeland d’origine, quella germanica, e la homeland d’acquisizione. Bukovina è diventata, così, grazie alle loro parole, un suggestivo literary landscape.
È stata articolata in due sezioni, invece, la dissertazione del professor Michael Rössner: da una parte Margins and centers, che ha ridefinito il concetto di spazio secondo parametri non matematici, definendolo bensì come una costruzione culturale, da una prospettiva post-strutturalista. L’idea di Insularity, invece, è stata riqualificata come luogo letterario (Isola-Utopia, Isola-Prigione), spazio mitico assimilato al paradiso e punto isolato eppure connesso con l’esterno. Il percorso è stato punteggiato da estratti di opere, fra gli altri, di Pirandello e Cortázar.
Il professor Iain Chambers, che insegna Studi culturali e post-coloniali all’Orientale, ci ha trasportato in un vero e proprio viaggio sul tema del Maritime criticism, migration, citizenship and the elsewhere of the Occident. Un cammino in cui l’essere per mare, seguendo i migranti, ponendosi anzi come migranti, significa perdersi in acque sconosciute, esattamente come accade al traduttore, immerso in lingue e parole ignote, ancora non dette. In questo viaggio le roots (radici, ndr) diventano routes (strade, percorsi), suggerisce il professor Chambers, in un perenne stato di traslazione/traduzione in cui non c’è più posto per identità statiche.
Anna Lissa, in ultimo, ha approfondito, attraverso l’analisi della short-story Berta, il complesso rapporto dello scrittore Aharon Appelfeld con la uncanny homeland della religione ebraica. Dopo le atrocità della Seconda Guerra Mondiale, Appelfeld ha faticosamente adottato la Palestina come sua homeland, conservando però i segni della Shoah come trauma represso, che emerge chiaramente nell’idea di tempo infranto, senza passato e senza futuro e nella metafora di Berta, protagonista del breve racconto, come personificazione menomata dell’Ebraismo.
Data la molteplicità e l’eterogeneità dei temi e dei punti di vista che sono emersi nell’arco di queste intense giornate di confronto, l’effetto sull’uditorio è stato stimolante, quasi destabilizzante per la messa in discussione di qualsiasi punto fermo riguardante la propria identità culturale nell’incontro con tante alterità. Nell’ambito di questa Summer School, si è viaggiato, anche se solo metaforicamente, attraverso le homeland dell’intero globo, giungendo a pensare che non ci possa essere una conclusione né un punto d’arrivo sul tema delle Homelands in Translation, ma la sola risposta sia continuare a tradurre, in perenne movimento.

Mariavittoria Petrella