Dare Ossigeno all’informazione. Un incontro all'Orientale

 

Dare Ossigeno all’informazione. Un incontro all'Orientale

L’aula Matteo Ripa di Palazzo Giusso ha ospitato un’iniziativa volta a valorizzare la causa della libertà d’informazione

 

 

 

 

«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»Così recita l’articolo 21 della nostra Costituzione: è evidente che le cose non vanno esattamente in questo modo. Risultano sempre più frequenti i casi in cui poteri − legali o meno − si intromettono nelle vicende di quella che dovrebbe essere la libera informazione con effetti odiosi: limitandola, manipolandola, censurandola. Il fenomeno quanto mai attuale dell’influenza politica sui mezzi di comunicazione si fa spesso accompagnare da quella delle criminalità organizzate. Queste, specie in una città come la nostra, si fanno sempre più spazio imponendo una sorta di silenziatore su determinate notizie che riguardano, più o meno, anche loro.

È questo il cupo panorama in cui si inserisce un’iniziativa come quella di Ossigeno− Osservatorio FNSI-OdG sui cronisti minacciati e sulle notizie oscurate con la violenza – a cui più volte L’Università di Napoli L’Orientale ha dato spazio per presentare, come oggi, un incontro volto a difendere quell'immenso e inestimabile patrimonio di libertà per cui si batte il mondo dei giornalisti.

Giorgio Amitrano – preside della facoltà di Scienze Politiche – ha aperto l’evento introducendo l’argomento con parole che non hanno mancato di sottolinearne l’importanza e la delicatezza. Il preside ha inoltre dichiarato di aver più volte conosciuto giornalisti che, colpevoli, per così dire, di svolgere la loro professione con massima serietà e impegno partecipativo, hanno subito vere e proprie minacce da parte delle criminalità.

In questa occasione però, anche se rispetto ad una tematica non propriamente lusinghiera, si è voluta sottolineare la grande vicinanza della Cina al nostro Paese. La Cina è vicina: giornalismo ed informazione in genere sono sottoposte alle stesse pressioni e devono fare i conti con censure e limitazioni di ogni genere.

Ma se da un lato noi italiani dobbiamo a malincuore dire di trovarci di fronte ad un vero e proprio regresso, visti il crescente numero di giornalisti minacciati e i casi di corruzione nell’informazione, la Cina si muove lentamente ma concretamente verso il cambiamento.

Negli ultimi decenni il giornalismo cinese ha subito un vero e proprio rimodellamento rispetto al mondo dell’informazione: basti pensare che nel 1978 erano solo 180 i quotidiani nazionali; oggi sono addirittura duemila. L’epoca in cui il regime maoista si trovava nelle condizioni di essere controllato dal sistema d’informazione stalinista sembra essere quasi completamente superata. Il tutto è stato senza dubbio alimentato dal processo di apertura all’economia di mercato in cui si è impegnata la Cina negli ultimi anni. Un’apertura questa, che si è data allo stesso modo verso il confronto con i paesi d’Occidente: si è scoperto così che sono molti i problemi condivisi e insieme è possibile trovarne le soluzioni.

Antonia Cimini è colei che ha curato un documentario mostrato durante questo appuntamento: il cambiamento lento ma profondo che sta interessando il mondo dell’informazione cinese è chiaramente riscontrabile nelle parole degli intervistati. Nelle loro testimonianze sembrano ormai lontanissimi i tempi in cui si imponeva un’uniformità di opinione e i pochi giornali esistenti erano gestiti con lo scopo di propagandare il regime. Ma l’epoca in cui paradossalmente il giornalista cinese non poteva dedicarsi alla pura informazione oggi è stata sostituita da quella in cui sono tanti e quasi tutti giovanissimi i giornalisti che possono, che devono farlo.

Ma è importante tornare con i piedi per terra: è vero che cambiamenti sono avvenuti e passi in avanti sono stati fatti, ma è altrettanto vero che sono tanti ancora i miglioramenti a cui i giornalisti cinesi devono aspirare: si è finalmente liberi di parlare della realtà, ma la piena libertà di stampa non è stata ancora raggiunta. La maggior parte dei giornalisti infatti sembra muoversi seguendo la corrente: non si ha la forza di osare perché si ha paura di eventuali minacce e ripercussioni, le stesse che ancora in tanti sono a subire. Ricordiamo alcuni casi avvenuti quest’anno: Liu Xianbin è uno scrittore e attivista politico che a marzo è stato condannato a 10 anni di carcere per sovversione: le sue dichiarazioni in merito alla necessità di porre fine al sistema a partito unico ha infastidito non pochi. Ma c’è chi addirittura ha perso la vita. Un giornalista di una televisione locale è stato ucciso a settembre: era impegnato in un’indagine su uno scandalo di sicurezza alimentare.

È evidente dunque che il cammino da fare è ancora lungo, ma c’è chi dice che la Cina sia sulla buona strada.

Chi ne ha intrapresa una cattiva invece è proprio l’Italia. Alberto Spampinato – direttore di Ossigeno− ha portato la sua triste testimonianza: suo fratello era un giornalista siciliano rimasto ucciso perché impegnato concretamente nella sua professione, è accaduto nel 1972.

La testimonianza a noi più vicina è stata quella offerta da Arnaldo Capezzuto, il giornalista che si è occupato del caso della giovane Annalisa Durante, rimasta uccisa a Forcella qualche anno fa.

Capezzuto, dopo aver subito minacce ed intimidazioni da parte del clan coinvolto nell’assassinio, ha deciso di fare causa ai malavitosi. L’insolito coraggio dimostrato dal giornalista è stato premiato: gli artefici delle minacce sono stati condannati. La cosa che fa tristezza però è che la condanna inflitta al clan, senza dubbio una vittoria importante per il mondo del giornalismo contro le mafie, è stato un evento che non ha fatto notizia nonostante il suo essere sensazionale.

Ma forse sarà meglio sostenere la tesi che, anziché non aver fatto notizia l’evento, è stato qualcuno a cui non faceva comodo la diffusione di questa che si è occupato di sabotarne la diffusione.

Se la testimonianza di Capezzuto evidenzia la considerevole difficoltà di fare giornalismo a Napoli (si ricordi l’altrettanto considerevole caso del più celebre Roberto Saviano minacciato nel 2007), il quadro descritto da Scampinato allo stesso modo non risulta roseo: se una legge che tuteli la libertà del giornalista c’è, purtroppo non possiamo dire che questa venga rispettata. Sono sempre più diffusi i casi in cui giornalisti sono bersaglio di tentativi di denunce: i numerosissimi processi che li coinvolgono richiedono denaro che il più delle volte i giornali non posseggono. Il caso de Il Messaggero parla da solo: ben 50 giornalisti licenziati; la ragione? Il giornale non ha potuto finanziare le cause che li avevano coinvolti.

 

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Lorena Jessica Alfieri

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