Imparare dal cinema per una visione critica dell’Africa contemporanea

 

Imparare dal cinema per una visione critica dell’Africa contemporanea

L'evento nella sede di Palazzo Du Mesnil

Retrospettiva dedicata al cinema africano e della diaspora su Razzismo, immigrazione e il potere dell’immagine

La tavola rotonda di apertura ha visto la presenza di José Antonio Fernades Dias della fondazione Africa.cont, Manuela Ribeiro Sanches, direttrice del progetto ArtAfrica, e Lindiwe Dovey, docente di African Cinema alla School of Oriental and African Studies di Londra, come fautori della diffusione dell’arte e della cultura africana a livello internazionale, nonché del professor Alessandro Triulzi, decano degli studi africani in Italia. Ospite d’onore, senza dubbio, il regista John Akomfrah – il cui film Handsworth Songs sarà proiettato nel pomeriggio di questa prima giornata – in quanto esponente di punta e co-fondatore del Black Audio Film Collective, il più influente gruppo artistico che sia apparso in Gran Bretagna negli ultimi decenni. La discussione è stata moderata dal professor Iain Chambers, esperto di Studi Culturali e, nello specifico, delle tematiche socio-antropologiche legate ai fenomeni migratori.
Numerosi sono stati gli argomenti affrontati in questo incontro introduttivo, che possiamo, quindi, considerare programmatico. Prima fra tutti, la migrazione è apparsa come tema trasversale: un fenomeno che non si limita ad aspetti politico-economici, secondo la riflessione di José Antonio Fernades Dias, ma una vera e propria quest for knowledge, insita nella natura umana. O, anche, l’inarrestabile segno della modernità, nelle parole del professor Chambers.
Il concetto di Panafricanism, invece, introdotto nella discussione da John Akomfrah, ha scatenato un animato dibattito: l’idea di identità africana possiede una complessità congenita, per il suo carattere transnazionale. Le numerose diaspore, che nel corso della storia hanno condotto i popoli africani nei cinque continenti, fanno si che sia impossibile, secondo il regista, pensare al Panafricanism senza considerare queste comunità ormai esuli come uniti e divisi allo stesso tempo, poiché hanno trasposto artisticamente, seguendo vie distinte ma parallele, le tematiche comuni dell’emigrazione e del razzismo.
Tutte queste considerazioni sono state applicate di volta in volta alla cinematografia e al mondo delle arti contemporanee in senso lato. Lindiwe Dovey ha fatto notare come la riflessione su culture “altre” e sul razzismo non debba limitarsi alla letteratura e al cinema separatamente, ma possa avvantaggiarsi di una dialettica sinergica di tutte le arti per rendere più efficace ed accessibile la questione attraverso la forza dell’immagine. E l’immagine dell’Africa riflessa dall’arte contemporanea, ha suggerito ancora José Antonio Fernades Dias, è un’immagine nuova e con un forte taglio critico, che si discosta dalla rappresentazione che se ne fa in Europa. Uno sguardo acuto è l’unico adatto ad analizzare anche argomenti storici, come la colonizzazione, che in Europa faticano ancora a bypassare una sorta di negazione della memoria storica.
È emerso, inoltre, quanto sia importante che il dialogo con le culture africane passi attraverso artisti africani, affinché il dibattito nel resto del mondo avvenga “con l’Africa” ancora prima che “sull’Africa”. Per questo motivo, Manuela Ribeiro Sanches ha sottolineato l’importanza di registi come John Akomfrah e in generale dell’esperienza dei British Black Films, che ha rappresentato un approccio post-coloniale assolutamente innovativo sulle questioni dell’emigrazione e della (mancata) integrazione.
La necessità di imparare e lasciarsi guidare dal “potere dell’immagine”, quindi, si impone prepotente, offrendo spunti di riflessione ulteriori che si auspica prendano forma più concreta nei prossimi giorni della rassegna: la contestualizzazione del segno visivo, il suo carattere polisemico, la necessità di trovare nuovi modi del pensare critico attraverso le immagini e, non ultimo, il piacere della sua fruizione, che può essere sfruttato in nome di una più efficace decostruzione degli stereotipi e di una sempre più larga diffusione della cultura dell’Africa contemporanea in Europa e nel mondo.

Mariavittoria Petrella

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