Isabela Figueiredo: la scrittura violenta contro il colonialismo “dorato”

 

Isabela Figueiredo: la scrittura violenta contro il colonialismo “dorato”

Copertina de Caderno de Memórias Coloniais

Si è concluso il seminario “Scrivere l’impero” con un laboratorio di traduzione svolto in presenza di Isabela Figueiredo e un incontro con la scrittrice

Isabela Figueiredo, autrice di Caderno de Memórias Coloniais (Angelus Novus, 2009, 176 pp.) ha tenuto un laboratorio di traduzione per gli studenti di lingua e letteratura portoghese: l’atmosfera è intima e accogliente e quello che va configurandosi è – per usare le parole della professoressa Livia Apa – “un alfabeto dello spazio coloniale”. La scrittrice, originaria del Mozambico, ha guidato con tenerezza i ragazzi all’interno dello scenario proposto nel suo ultimo romanzo, in un universo fatto di ruoli più che di personaggi: la prima problematica emersa nell’analisi delle tecniche di traduzione è sicuramente quella legata alla natura misteriosa e più spesso posticcia della lingua. I concetti che ci sono dietro alle parole – e che dovrebbero costituirne un sostegno ben ancorato – vanno talvolta a creare un pericoloso reticolo fatto di “cose da non dire” da cui è veramente difficile districarsi. E quelle che una volta erano solo parole assumono valori politici e sociali, attribuiti nel corso della loro storia, che portano spesso ad una vera e propria censura. Il discorso, se ideologicamente connotato, si blocca di fronte a parole come “nero” e obbliga il parlante/scrivente a ricorrere a eufemismi che, come nel caso di “di colore” possono rasentare il ridicolo. Ed ecco che entra in gioco il razzismo che va delineandosi come un qualcosa che si manifesta in maniera universale, tanto da portare gli studenti ad affermare che la traduzione, proprio in quei passi dove compare, non è stata poi così difficile. Quello che invece risulta essere un ostacolo è che – come ha sostenuto Apa – “noi purtroppo non lavoriamo con la nostra lingua materna”: la lingua che utilizziamo è quasi immaginaria e se potessimo usare quell’italiano regionale che molto spesso definisce i concetti in maniera molto più puntuale probabilmente affronteremmo l’intenso impegno della traduzione più a cuor leggero. Durante l’incontro poi, svoltosi ancora in presenza delle professoresse Livia Apa e Jessica Falconi, l’autrice ha avuto modo di sviscerare i temi fondanti del suo romanzo: la guerra coloniale e la fine dell’impero costituiscono il background di Figueiredo che attraverso il suo romanzo ha potuto dar voce alla sua esperienza traumatizzante. Sua, ma non solo. Lo scopo è infatti quello di ripercorrere in una dimensione autobiografica i passi di una memoria collettiva. Caderno de Memórias Coloniais – che in questo senso rappresenta dunque una sorta di “terra di mezzo” – viene presentato come un libro unico, un caso letterario non esente però da forti polemiche. Le memorie di una bambina appena dodicenne non possono essere ritenute autentiche e il linguaggio, forte, a volte violento, non si addice per niente ad una donna. Lei, Isabela Figueiredo, non lo rinnega affatto ma anzi afferma senza mezzi termini che se usa certe parole è perché vuole usarle e perché forse le cose che dice non potrebbe dirle che così. Quanto alle sue personali memorie invece, la sua infanzia ha preso corpo sulla presa di coscienza di alcune dinamiche a primo impatto incomprensibili, si è sviluppata propriamente sul conflitto. Il libro, che è una raccolta di post tratti dal suo blog O Mundo Perfeito, e che in questo sembra ancora una volta abbracciare due universi lontani, quello del passato delle antiche memorie e quello del presente di un mezzo di comunicazione attualissimo quale il Web, parla di ciò di cui non si doveva parlare e con la potenza di uno schiaffo tratta il tema del colonialismo senza scrupoli, tenendosi ben lontano dalle false verità che troppo spesso sono state raccontate a riguardo. Come una pellicola cinematografica l’autrice ha rimaneggiato i suoi post effettuando un vero e proprio montaggio, ampliando e tagliando a seconda dei casi: lo sguardo è – come si è detto – quello di una dodicenne che in barba a tutte le critiche aveva un’opinione forte del mondo che la circondava, talmente forte da poterla poi “gridare” a diversi anni di distanza in questo libro.

Francesca De Rosa

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