Nicola Di Mauro, studente dell’Orientale, racconta la (sua) dimensione “Extravesuviana”

 

Nicola Di Mauro, studente dell’Orientale, racconta la (sua) dimensione “Extravesuviana”

Nicola Di Mauro

Molti gli studenti che tutti i giorni arrivano all'Orientale da zone staccate da Napoli. Il Web Magazine d'Ateneo ha intervistato Nicola Di Mauro, studente di relazioni internazionali e fondatore del progetto insieme ad Alessio d’Amico, Giovanna Passaro e Giada Divisiato. “La mia esperienza all’Orientale è stata la base sulla quale ho immaginato il rapporto tra il centro e la periferia che tiene su tutto il progetto”

Nicola Di Mauro, lei è uno studente dell’Orientale, mentre Alessio d’Amico e Giovanna Passaro si sono laureati presso lo stesso Ateneo. Quanto influisce l’esperienza di studente dell’Orientale su un progetto come Extravesuviana?

La mia diretta esperienza all’Orientale è stata la base sulla quale ho immaginato il rapporto tra il centro e la periferia che tiene su tutto il progetto. Non a caso i primi scritti per Extravesuviana molto spesso raccontano storie di studenti pendolari che muovendosi sui binari della Circumvesuviana (non sfuggirà l’assonanza con il nome del nostro blog) vivono con entusiasmo, amarezza, difficoltà e immenso amore la propria terra.

In dettaglio, cosa rappresenta l’Orientale per lei, in chiave “extravesuviana”?

Per me, l’Orientale rappresentava – e rappresenta ancora – il centro verso il quale spostarmi per non essere tagliato fuori dal discorso pubblico ufficiale. La soluzione che ho trovato con Extravesuviana è il rapporto dialettico tra il centro e quello che lascio alle mie spalle tutte le mattine, la provincia e la periferia.
Al centro del progetto c’è il concetto di periferia, non solo geografica ma anche interiore.

Quanto incide l’esperienza di studio all’Orientale sul suo modo di intendere e sentire la periferia?

Ha inciso parecchio. Io sono uno studente di relazioni internazionali e quindi è facile immaginare quanto abbiano inciso su di me le categorie wallersteiniane di centro, semi-periferia e periferia. E immagino ogni studente di scienze politiche annuire quando leggerà queste righe!

Dovendo definire il progetto Extravesuviana, come lo descriverebbe?

Mi è capitato di descrivere il progetto in tanti modi ma quello più adatto è forse quello che ho ripetuto più spesso: Extravesuviana è un sentimento di repressione che si fa espressione. La repressione sociale e geografica è la nostra principale formazione ed è il primo elemento che salta agli occhi leggendo il nostro blog; tutti ci riconosciamo nelle parole degli altri autori perché, appunto, c’è la sensazione di aver vissuto la stessa dimensione. Insomma Extravesuviana è il tentativo di mettere insieme i pezzi di quello che si è rivelato essere un vero e proprio universo di umanità che spesso si sfiorano, spesso addirittura coincidono ma che, appunto, non si incontrano; e lo fa attraverso il racconto. Abbiamo scritto da qualche parte: «non ci racconta nessuno e allora ci raccontiamo noi». Ecco, il progetto è nato così, da una idea semplice, quella di riprenderci uno spazio che ci sembrava nostro, uno spazio all’inizio solo di discussione, riflessione e condivisione, uno spazio virtuale che poi è diventato spazio fisico quando abbiamo cominciato ad incontrare i tantissimi autori e lettori in giro per la provincia.
Un’idea semplice che si è strutturata in un blog, una fanpage su facebook, un account twitter ed un programma radio.

Quanti “extravesuviani” fanno parte del progetto, tra autori e semplici fruitori?

Gli autori sono ormai più di sessanta e ogni mese la lista si allunga grazie anche alla capacità di Extravesuviana di “sconfinare”, di saper raccontare la marginalità della nostra periferia ma anche della marginalità dell’esistente. Lo ripetiamo spesso: extravesuviana non è un luogo, è una condizione. Dopo il primo anno di rodaggio oggi il blog riceve in media 3.200 visite al mese, soprattutto grazie alle condivisioni sui social network dove contiamo un migliaio di follower. Extravesuviana però coinvolge anche molte altre persone fuori dai circuiti virtuali. Gli “extravesuviani” sono troppi e troppo sfuggenti da poter lasciarsi contare!

Come collettivo Extravesuviana, i quattro fondatori del blog hanno realizzato un libro, edito da l’Arca e l’Arco. Ci può descrivere il libro e l’idea che sta alla sua base?

Volevamo celebrare il nostro primo anno, alla fine del quale ci siamo resi conto di un’attenzione crescente nei nostri confronti. Così abbiamo scelto i racconti più belli o significativi pubblicati durante i dodici mesi di attività e li abbiamo raccolti nel libro Racconti dalla periferia, con prefazione di Francesco Di Bella (frontman dei “24 Grana”, N.d.R.). Volevamo farci un regalo, ma di quelli utili, e così la pubblicazione è diventata nuovo strumento di espansione del progetto. Il libro stesso è anomalo: è un libro/quaderno dove il lettore può diventare autore grazie alle pagine bianche alternate agli scritti, proprio per riprendere la forma collettiva di partecipazione.

Gli extravesuviani sono, per definizione, fuori dal mondo. Eppure i percorsi universitari dei quattro fondatori ed in particolare il suo e degli altri due che hanno studiato all’Orientale rivelano una voglia di mondo. C’è una soluzione di continuità?

Gli “extravesuviani” sono fuori dal mondo non per loro scelta. La verità è che noi facciamo parte di un mondo del quale non siamo protagonisti: siamo stati relegati al ruolo delle comparse, per questo siamo “fuori”, o meglio, “extra”. La verità è che abbiamo una necessità vitale di riprenderci il nostro posto nel mondo, o quanto meno in questo Paese.

Mariangela Barretta - Direttore: Alberto Manco

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