Stefano Ciccone presenta “Essere Maschi: I mutamenti del maschile tra potere e libertà”

 

Stefano Ciccone presenta “Essere Maschi: I mutamenti del maschile tra potere e libertà”

Il Dottorato in Studi Culturali e Postcoloniali del Mondo Anglofono ha organizzato un seminario pubblico con Stefano Ciccone prendendo spunto dal suo ultimo libro, “Essere Maschi: I mutamenti del maschile tra potere e libertà” (Rosenberg&Sellier, 2009).

Il Dottorato in Studi Culturali e Postcoloniali del Mondo Anglofono ha organizzato un seminario pubblico con Stefano Ciccone prendendo spunto dal suo ultimo libro, “Essere Maschi: I mutamenti del maschile tra potere e libertà” (Rosenberg&Sellier, 2009).
Con parole di buon effetto Ciccone ricorda quando di alcuni esami da fare all’Università si diceva che non fossero adatti alle donne, o come durante la preparazione dell’esame di fisiologia si sezionava la rana insegnando che bisognava avere lo stomaco di farlo, «altrimenti eri una femminuccia». Facile (ma per nulla scontato), dunque, chiedersi che cosa si insegnasse realmente in una circostanza come quella. Esempi semplici che servono a sviluppare il discorso relativo agli elementi fondativi della identità maschile. Un possibile punto di partenza: gli uomini non parlano di sé e sono responsabili della paurosa situazione per la quale la capacità di parlare al mondo dipende dalla capacità di non parlare di sé. Essi hanno costruito una identità basata sull’estraneità al corpo e alle sensazioni, imparando a proiettarsi nel mondo dimenticandosi di sé.
Questo sguardo sulla realtà è dovuto a un soggetto che Ciccone definisce «situato». Come si situano, appunto, gli uomini in un simile conflitto con l’altro genere (e con se stessi)? E ancora: come evolve questo conflitto? Si potrebbe rispondere in due modi. Innanzitutto dicendo che la soluzione la dà una determinata assunzione di responsabilità, una posizione etica e responsabile. Un’altra risposta possibile sarebbe invece quella di sentire su di sé la colpa di una violenza generata da uomini. In cosa può consistere questa assunzione di responsabilità? La risposta è lampante: se io sento che c’è uno - uomo come me - che fa violenza a una donna, come ad esempio un commento svalutativo su una collega, io vedo che c’è un meccanismo di potere da parte di qualcuno che se ne assume la responsabilità, e ho la possibilità di assumermi una controresponsabilità. Cosa non priva di impegno, visto che nel momento stesso in cui ci si situa nella prima o nella seconda prospettiva si occupano due territori del tutto contrapposti. Eppure l’insistenza con cui si continua a permanere in quella prima prospettiva (niente altro che di potere) ha impoverito la relazione col proprio corpo; ha schiacciato la sessualità impoverendo la propria esperienza del corpo (tipica la distanza fisica dai figli); ha esasperato la competitività.
Il corpo maschile è insomma un’arma annichilente, e si dovrebbe aver chiaro di dovere e potere uscire da una miseria come questa e creare un percorso di relazioni. Ognuno del resto può chiedersi a quale modello corrisponde la sua soggettività. L’umanità, in effetti, è stata schiacciata su un certo modello maschile. E paradossalmente, ma anche molto chiaramente, è esattamente per questo, tanto per dirne una, che non si può fare una giornata dell’orgoglio maschile: una simile iniziativa sarebbe evidentemente una contraddizione in termini.