Il caso Torreggiani: la CEDU condanna l’Italia per il trattamento dei detenuti
Il caso Torreggiani: la CEDU condanna l’Italia per il trattamento dei detenuti
Associazioni e Onlus sono state protagoniste all'Orientale di un importante incontro sulla condanna e messa in mora dell’Italia per il trattamento inumano e degradante dei detenuti
31 gennaio 2013 - A pochi giorni dalla sentenza della CEDU (Corte europea dei diritti dell’uomo) che condanna l’Italia in merito al trattamento inumano e degradante dei detenuti per via del sopraffollamento delle sue carceri, nella sala conferenze di Palazzo du Mesnil ha avuto luogo un convegno a cui hanno partecipato importanti personalità della scena giuridica italiana. L'intento dichiarato è stato sia quello di ripercorrere le tappe che hanno portato alla sentenza sia quello di formulare proposte tese ad un ripristino adeguato della legalità.
All’incontro ha partecipato, in veste di promotore e moderatore, Giuseppe Cataldi – ordinario di Diritto internazionale all’Orientale – il quale, nell’introdurre le altre personalità intervenute, ha fatto notare come alla base di una così tragica situazione vi sia anche un problema strutturale dell’ordinamento giuridico italiano, che non prevede un meccanismo specifico ed effettivo di ricorso in materia, aprendo la possibilità ad un numero elevato di ricorsi alla Corte europea, in ragione della situazione endemica di sovraffollamento carcerario. Non esiste inoltre una figura tipica di incriminazione per il reato di tortura nel nostro codice penale, contrariamente agli impegni presi dall'Italia in sede internazionale.
L’accento sull’inadeguatezza dell’opera del legislatore, e della classe politica italiana in generale, è stato il leitmotiv della serata. Per Domenico Ciruzzi, presidente della Camera penale di Napoli, le colpe maggiori da attribuire alla politica sono da ricercare nella tendenza di quest’ultima a trasformare i problemi sociali in problemi penali, venendo meno a quelli che sarebbero i propri doveri. È così che l’istituto della prigione acquista il valore di foglia di fico, adoperata per mascherare le carenze delle politiche sociali attuate negli anni. Tale tesi è in parte sostenuta dalla statistica evidenziata da Riccardo Polidoro, presidente della Onlus “Il carcere possibile”, che mostra come sia molto più alto il rischio di tornare a delinquere per coloro che abbiano scontato la pena in un penitenziario rispetto a chi si trova ad essere oggetto di misure alternative alla prigione.
Tra i promotori dell’evento anche Roberto Giovene di Girasole, componente della commissione Diritto dell'Unione Europea ed internazionale e del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Napoli, il quale ha sostenuto come, nell’affrontare tematiche inerenti al sovraffollamento delle carceri, si debba tornare a mettere l’uomo al centro della riflessione. In quest’ottica il compito di avvocati e giuristi è quello di interloquire con l’opinione pubblica affinché i diritti degli “ultimi”, in gran parte immigrati e tossicodipendenti, siano sempre tutelati.
Il tema dell’immigrazione e della tossicodipendenza è centrale per Dario Stefano Dell’Aquila, presidente onorario di Antigone Campania, secondo il quale alla base dell’aumento del numero dei detenuti vi è l’irrobustirsi di una produzione normativa che, sempre di più, prende di mira immigrati e tossicodipendenti. Riallacciandosi, dunque, a quanto già detto da Ciruzzi, Dell’Aquila ritiene che tali argomenti, prettamente sociali, debbano essere affrontati sul piano di politiche rieducative anziché coercitive. Gli fa eco Massimo Vetrano, vice-presidente della Onlus Il carcere possibile, che fa notare, però, come l’ordinamento italiano sia carente di strumenti atti alla rieducazione di coloro che abbiano commesso un crimine.
Nonostante le pecche dell’ordinamento giuridico italiano, il nostro resta l’unico Stato che preveda la presenza della figura del Magistrato di sorveglianza quale garante dei diritti del detenuto. È questo il ruolo svolto per anni da Angelica Di Giovanni, altra personalità intervenuta all’evento, la quale, nel ribadire l’importanza della figura del magistrato di sorveglianza, ha dovuto precisare come questi si trovino ad agire senza strumenti adeguati. Per Di Giovanni il problema principale, da cui a pioggia dipendono le altre storture del sistema, è che in Italia manchi una cultura certa dell’esecuzione della pena.
A conclusione dell’evento è intervenuto Benedetto Conforti, giudice emerito della Corte Europea dei diritti dell'uomo, che da cittadino, prima che da giurista, ha bollato la situazione delle carceri italiane come una vergogna a cui il Governo e le istituzioni devono necessariamente far fronte. Per Conforti, che propone come soluzione l’uso dell’amnistia e di pene alternative al carcere, un ruolo centrale nella questione è stato svolto dai mass media, accusati di non aver pubblicizzato adeguatamente il problema e di non aver dato voce a quei pochi soggetti, fra cui il Partito Radicale, che da anni lottano per vedere riconosciuti i diritti dei detenuti.
Oriano Guida - Direttore: Alberto Manco