I nostri laureati: intervista a Martina Caschera
I nostri laureati: intervista a Martina Caschera
Laurea all'Orientale, lavoro a Prato. Martina Caschera, laureata in Lingue e Culture Comparate e dottoranda in Asia orientale e meridionale, racconta la sua esperienza.
Dottoressa Caschera, quale ricordo ha della sua esperienza di studio all'Orientale?
Ho un bellissimo ricordo del periodo “triennale” e un ricordo necessariamente diverso di quello, anche se più recente, “specialistico”. Il triennio è stato il percorso formativo di base, indispensabile. Eravamo il solito gruppetto, ogni giorno, alle 8 del mattino, a tentare di capire cosa significasse l’università e che cosa significasse la Cina, prima di tutto. Purtroppo l’ultimo anno (il terzo) avemmo dei problemi con i docenti di lingua cinese – materia fondamentale per noi del curriculum “seconda lingua Asia e Africa” – credo a causa di un movimento di disagio del corpo docente italiano in vista della allora imminente approvazione della cosiddetta legge Gelmini. L’offerta formativa ne risentì, nonostante gli sforzi di alcuni professori consapevoli del fatto che o si usava il buon senso o era il disastro, e che però si trovarono all’improvviso con troppi studenti. Adesso so che i ragazzi del triennio sono seguiti molto meglio e l’offerta formativa è parecchio migliorata. A causa di questo deficit però compresi molto chiaramente le mie mancanze e capii quanto fosse necessario un percorso di studio all’estero, quindi partii per Pechino e vi rimasi otto mesi. Lo fecero più o meno tutti, prima o dopo, e anche in questo ho capito che l'Orientale ha costituito un agente di incoraggiamento importantissimo. Ho trascorso il biennio della laurea specialistica da non frequentante: in tutto 16 mesi in Cina.
Quanto queste esperienze hanno inciso sulle sue scelte e sulla sua vita attuale?
Ovviamente l’Orientale ha influito parecchio sulle mie scelte. Come ho già accennato mi resi conto, alla fine del triennio, della necessità di trascorrere un periodo in Cina, cosa della cui importanza i nostri professori ci avevano sempre detto. Anche perché il mercato del lavoro chiede ora conoscenze più precise, un’impronta più tecnica e pragmatica rispetto all’impostazione “vecchia maniera” di quella che fu un tempo la nostra Facoltà, cosa che a suo tempo era giustificata da un mondo effettivamente diverso. Ad ogni modo, grazie a taluni professori di Lingua, molto preparati e appassionati, quella buona preparazione grammaticale fornitaci i primi due-tre anni ci ha permesso un veloce apprendimento all’estero. Così come lo studio della cultura ci ha permesso di comprendere meglio e in maniera più proficua quello di cui eravamo testimoni.
Lei lavora a Prato, è stata a lungo in Cina... Che cos'è la periferia per lei?
Ho sempre vissuto lontano. Per me la periferia è una condizione naturale, così come i lunghi viaggi e le lunghe distanze. Potrei dire che la mia condizione di “alienata” dalla città mi abbia preparata meglio a vivere certe cose con più distacco e sentire come più appropriata una condizione di “nomade”. Ogni luogo mi emoziona e mi sta un po’ stretto. Effettivamente ritengo la mia vita fortemente periferica... percorro i margini senza mai impossessarmi del centro.
Ora lei vive in Italia in un quartiere cinese. Dalla sua particolare prospettiva qual è la possibilità di integrazione, di compenetrazione degli spazi?
Al momento vivo a Prato, nel cuore di Chinatown. È molto evidente qui la mancanza di integrazione. Il quartiere cinese è popolato quasi esclusivamente da loro, con i loro negozi. Se entri ti guardano strano e quasi sempre non sono in grado di parlare italiano. È il loro territorio qui. Anche in Posta (dove lavoro) spesso entrano, pagano, annuiscono senza capire ed escono. Il motivo per cui siamo state assunte è quello di fare da interpreti per vendere loro più prodotti. In un certo senso ha funzionato, si sono sentiti capiti e coccolati, sono stati molto gentili con me. Mi hanno anche fatto il “favore” di comprare qualcosa. Purtroppo c’è una fortissima diffidenza da parte dei pratesi e una grossa testardaggine e chiusura da parte della comunità cinese. Qualche sforzo si sta facendo, grazie soprattutto alle seconde generazioni, ma la strada è ancora lunga. Ho assistito a molte brutte scene di violenza fisica e verbale contro i cinesi.
In passato lei si è trovata dall’altra parte, straniera in Cina. Qual è stata la sua esperienza?
In Cina siamo stati accolti – penso di poter parlare al plurale – con rispetto, se non con vera e propria gioia. Qualche volta ho avuto problemi anche lì, è vero, ma di natura profondamente diversa. Per esempio esistono posti in cui gli stranieri non possono entrare – perché troppo sporchi – o in cui ti trattano con freddezza e paura – perché per loro sei lo sconosciuto per eccellenza e perché hanno paura che tu non li capisca. Per quanto riguarda l’integrazione, in Cina è molto difficile. Gli spazi per gli stranieri e quelli per i cinesi sono spesso separati e una vera integrazione è resa impossibile anche dalle abitudini di vita profondamente diverse.
Consiglierebbe a qualcuno di iscriversi all'Orientale? Perché?
Sì, lo consiglierei a chi vuole studiare cinese. Ho avuto insegnanti molto preparati, sia per quanto riguarda la lingua che la letteratura. Anche vedendo i miei colleghi più giovani, posso dire che l’Orientale è in grado di fornire loro le conoscenze necessarie.
Mariangela Barretta - Direttore: Alberto Manco
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