Migrazioni internazionali e dinamiche urbane nell’Africa Occidentale: ne parliamo con Amandine Spire

 

Migrazioni internazionali e dinamiche urbane nell’Africa Occidentale: ne parliamo con Amandine Spire

Libro di Amandine Spire

Abbiamo intervistato la geografa Amandine Spire (Université Paris Diderot - Laboratoire SEDET), invitata dal prof. Fabio Amato all’Orientale nell’ambito dello scambio Erasmus

 

 

 

 

 

 

 

 

Amandine Spire, quali sono le tematiche trattate nel suo seminario “Migrations internationales et dynamiques urbaines en Afrique de l’Ouest”?

“Le tematiche sono quelle relative all’impatto che la migrazione ha sulla città: i modi in cui i migranti si inseriscono all’interno della città, non solo con riferimento agli aspetti più tradizionali della questione come trovare un lavoro e un posto in cui vivere, ma proponendo anche un approccio che tende ad analizzare gli stranieri come attori all’interno della città, a livello sociale, culturale, politico. In particolare i casi di Togo e Ghana, che sono paesi che ospitano numerosissimi stranieri, mostrano questo tipo di realtà: secondo dati non ufficiali, un cittadino su cinque è un immigrato!”

Quali sono le ragioni di questa situazione?

“Le ragioni di questo tipo di migrazione sono essenzialmente economiche e politiche: spesso l’idea di uscire dal paese è legata alla ricerca di una maggiore libertà ed autonomia, ma ancor più spesso alla possibilità di costruire un progetto di vita; in breve, è legata al sogno di poter realizzare altrove qualcosa che invece non sarebbe possibile realizzare nel proprio paese. È possibile affermare che la mobilità che riguarda gli spostamenti da un paese dell’Africa ad un altro supera di gran lunga quella che lega l’Africa ai paesi cosiddetti sviluppati. Ad ogni modo un altro punto importante sul quale mi soffermerò riguarda l’atteggiamento dei migranti e in particolare il modo in cui questi tendano a restare stranieri, ma anche al tipo di luoghi e attività che creano nelle città, ai legame che instaurano con gli autoctoni.”

Durante i suoi viaggi in Africa che tipo di riflessioni ha maturato al riguardo?

“Ci sono zone storiche di accoglienza, spesso poste ai confini della città, che poi con il tempo tendono a diventare posti in cui gli stranieri rimangono. Quanto alle attività invece, è interessante notare come alcuni settori diventino peculiarità di questi migranti, come ad esempio il commercio di carne, considerata un’attività essenziale perché non praticata dagli autoctoni: è per questo infatti che l’amministrazione coloniale ha sempre riservato loro delle zone, perché si tratta di figure indispensabili. In queste città il tipo di casa in cui tradizionalmente ci si imbatte è la casa di corte, in cui possono anche coabitare autoctoni e stranieri. Ci sono possibilità di convivenza pacifica ma in fondo dipende da molte variabili, come la religione, il sesso, l’età degli individui coinvolti.”

Come si può delineare la figura del migrante all’interno dell’Africa Occidentale?

“In generale ci sono teorie che dimostrano che sono le estremità sociali quelle che migrano perché costituiscono le fasce di popolazione più povere e la mobilità può costituire una forma di uscita dalla povertà nel senso in cui apre nuove possibilità. Ho provato a ricostruire i percorsi dei migranti e ho appurato che sono costituiti da differenti tappe, non si tratta mai di una migrazione da un punto a un altro. Si potrebbe parlare infatti di migranti opportunisti, che quando hanno un’attività o un contatto in una città, ci vanno e poi, quando se ne creano degli altri altrove, cambiano. È più una circolazione che una migrazione, non è qualcosa di diretto: in questo modo, peraltro, queste persone riescono ad acquisire notevoli competenze perché si adattano ai differenti contesti economici, e politici.”

Ci sono da fare considerazini legata al genere, relativamente a questo discorso?

Sono più gli uomini a migrare rispetto alle donne e si tratta soprattutto di giovani, spesso anche giovanissimi, che cominciano a lavorare nel settore informale: si tratta di attività non regolamentate, per lo più di strada, legate ad esempio al commercio. È questa l’attività centrale di tali città: il 90% delle attività sono appunto nel settore informale. In questo modo chiunque può entrare nel mercato del lavoro trovando il proprio posto nella strada e facendo affari.”

Che cos’è la CEDEAO e che ruolo riveste?

“È la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale e quattro anni dopo della sua nascita ha permesso, nel 1979, la libertà di circolazione al suo interno. Essa infatti permette alle persone di migrare tra i sedici stati membri senza documenti. In questo modo è possibile attraversare le frontiere e rimanere per un massimo di tre mesi nel paese scelto senza problemi: in realtà, anche se dopo tale periodo bisognerebbe richiedere il permesso di soggiorno, nessuno lo fa perché non c’è alcun controllo. Tutto questo facilità la porosità delle frontiere, e un tale scenario si pone come nettamente in contrasto con la difficoltà che queste stesse persone incontrerebbero invece al di fuori della CEDEAO.”

Cos’è l’ANR JUGURTA?

“Si tratta di un programma di ricerca, al quale ho partecipato, che tratta di giustizia sociale anche in relazione allo spazio, su cui ci si può interrogare per ripensare alle diseguaglianze: ci sono due tipi di ingiustizia, una di tipo procedurale, l’altra distributiva. Nella prima il processo riguarda l’idea per cui si prende una decisione affinché si possa ottenere una politica giusta: riflettere dunque su come il senso di spazio possa essere costituito in base alla ricerca di una procedura giusta. Quanto alla giustizia distributiva, possiamo pensare per esempio all’accesso all’acqua che, se ben distribuito, potrebbe ridurre le disuguaglianze. Ci si accorge quindi che lo spazio è una costruzione sociale, il prodotto dagli attori che lo abitano praticando strategie e tattiche. In particolare, sempre con riferimento alla figura del migrante, stiamo lavorando su differenti città sub-sahariane che in realtà, pur essendo molto diverse, mostrano in questo senso politiche simili: un esempio è il centro di queste città, spesso costruito come un’immagine vetrina che possa permettere di essere competitivi nelle scena internazionale a discapito dei poveri che vengono così allontanati.”

Cosa pensa invece delle politiche adottate dalla Francia in fatto di immigrazione?

“Attualmente la politica più problematica è quella di ritorno oltre a quella di controllo: la Francia rimanda gli immigrati al loro paese quando non hanno i documenti ma questo atteggiamento cambia la loro rappresentazione dell’Europa, troppo spesso vissuta come xenofoba. Questa immagine sicuramente li spaventa. Tornare a casa poi costituisce un vero e proprio disonore perché in genere tutta la famiglia partecipa con del denaro alla realizzazione dell’impresa e il ritorno è quindi percepito come un fallimento.”

Quali sarebbero, per lei, le caratteristiche di una politica di immigrazione efficace?

“Non c’è una formula comune, bisogna immaginarla in relazione al contesto. Il problema è che l’Africa dipende dagli aiuti internazionali che fissano dei parametri senza considerare le differenze sostanziali che riguardano ogni paese, le specificità locali insomma. Ad esempio in un contesto autoritario non si potrà mai applicare la stessa politica che si applicherebbe in un contesto democratico.”

Come si legano gli aspetti relativi alla presenza dei migranti in città con lo studio della mobilità forzata?

“La figura dello straniero non è mai stabile, ma è anzi in continua evoluzione. Spesso i rifugiati politici non ritornano e vanno a costituire la periferia della città, diventando poi semplicemente stranieri. È difficile comunque individuare il discrimine che c’è tra mobilità scelta o forzata.”

Francesca De Rosa - Direttore: Alberto Manco

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