«Tradurre è un’Arte relazionale». Virginia Jewiss e il caso di Gomorra

 

«Tradurre è un’Arte relazionale». Virginia Jewiss e il caso di Gomorra

La docente della Yale University, ospite all’Orientale, ha descritto le sue personali esperienze di traduttrice di testi italiani in inglese

Italianista convinta, Virginia Jewiss si è laureata con una tesi su Dante. Vive tra Roma e gli Stati Uniti e da anni ormai si occupa dell’insegnamento e dell’estensione della nostra cultura in America.

In questo caso però la docente si presenta in un ruolo diverso: la Jewiss arriva a L’Orientale per parlare di traduzione, e mai nessuna università potrebbe accogliere meglio un argomento del genere.

La Jewiss ha dato inizio alla conferenza confessando di essere stata molto colpita dalla vastissima offerta formativa dell’Orientale che, specie in materia di traduzione, gode di corsi di studio introvabili nei maggiori atenei e che lei stessa ritiene di vitale importanza.

Il suo avvicinamento alla traduzione è avvenuto quando, colpita dalla bravura di alcuni giovani scrittori italiani vincitori del premio Strega, ha sentito la necessità di consentire agli americani di poter apprezzarne la letteratura.

È così che la Jewiss ha iniziato con la traduzione di “Vita”, romanzo della scrittrice Melania Mazzucco, il cui impatto le ha consentito di comprendere che tradurre è il modo migliore di scorgere le profondità di un’opera. Il tema centrale di questo romanzo, l’emigrazione, consente alla Jewiss di trovare un punto nascosto che accomuna, a suo dire, la vita di un emigrato e quella di un traduttore: entrambi si chiedono a quale delle due realtà a cui appartengono devono fare riferimento, quale delle due ha un’impronta maggiore dell’altra e, soprattutto, quanto ci si sente divisi in due nella quotidianità.

Con la lettura di alcuni estratti di “Vita” si sono inevitabilmente incontrati i classici problemi con cui qualunque traduttore si trova a fare i conti: «quando traduci un’opera letteraria non basta sapere cosa significa una parola, devi sapere “come” significa».

È con questa affermazione che la Jewiss introduce l’ostacolo che in maggior misura si presenta ad un traduttore: quello dell’interpretazione.

Arriviamo così all’opera che più di tutte ha posto la nostra traduttrice di fronte ad ostacoli interpretativi: “Gomorra” di Roberto Saviano.

La Jewiss ha introdotto questo lavoro con grande orgoglio, sostenendo che “Gomorrah” (titolo del romanzo da lei tradotto in inglese) in America è considerato la più grande opera letteraria italiana degli ultimi 50 anni.

Quando le fu commissionata la traduzione di “Gomorra”, la Jewiss ricevette una calorosa telefonata di ringraziamento da parte di Saviano, il quale la invitò a Napoli a trascorrere qualche giorno in sua compagnia: lo scrittore voleva mostrare alla traduttrice i posti che fanno da scenario al suo libro. In questo modo le sarebbe stato più semplice introdursi in un mondo che non le apparteneva, ma che con la traduzione avrebbe sfiorato molto da vicino.

La Jewiss però, senza nascondere il suo dispiacere, ha spiegato che, a causa delle ripetute minacce che da lì a poco Saviano avrebbe ricevuto, i due rinunciarono al loro piano per evitare qualunque tipo di pericolo.

Un aspetto che la traduttrice ha sottolineato a proposito di Saviano è stato quello dell’ingenuità: è sorprendente che un uomo che ha vissuto situazioni di quel tipo abbia ancora la possibilità di mostrarsi così, in tutta la sua ingenuità.

Tornando agli aspetti tecnici poi, la Jewiss ha descritto tutte le difficoltà da lei incontrate nella traduzione di Gomorra: spesso arrivavano richieste da parte di camorristi che, direttamente dalla loro cella, chiedevano di modificare determinate parole usate dall’autore e, ovviamente ciò richiedeva l’applicazione di modifiche all’ultimo minuto.

Altro problema particolarmente rilevante è stato quello della traduzione del dialetto. Come poteva la Jewiss mantenere il senso di ciò che veniva detto in napoletano traducendolo in inglese? E' chiaramente inevitabile la perdita di effetti e sfumature che mai potrebbero essere mantenuti in una lingua diversa: la soluzione adottata dalla traduttrice in questo caso è stata quella di introdurre parole sgrammaticate ma famosissime, il cui legame con la cultura napoletana avrebbe consentito al lettore di lingua inglese di comprendere, anche se in maniera molto superficiale, che si trattava di dialetto.

In conclusione la Jewiss ha brevemente presentato anche la sua esperienza di traduttrice cinematografica: il suo ultimo lavoro per il grande schermo è stato la traduzione della sceneggiatura di “This must be the place”, ultimo film di Paolo Sorrentino, appena uscito nei cinema.

Il prossimo lavoro di Virginia Jewiss sarà una nuova edizione tradotta della “Vita Nuova”: un ritorno alle origini dell’americana dantista che sin da ora si propone come grande sfida, la più ardua prova a cui la traduttrice dice di esserci sottoposta.

Lorena Jessica Alfieri

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