Adelaide Ciociola: All’Orientale non c’è mai una “folla solitaria”
Adelaide Ciociola: All’Orientale non c’è mai una “folla solitaria”
"Un forte sentimento di condivisione, di partecipazione. Ecco ciò che si può sperimentare all’Orientale. Cosa rarissima, oggi. Grazie a questo ho imparato a trasmettere ai miei alunni entusiasmo e voglia di sapere che si apprendono in questa Università: sono tra le sue più belle e indimenticabili caratteristiche"
Dove è nata e dove ha compiuto i suoi studi pre-universitari?
Nata e cresciuta a Montecorvino Rovella, una cittadina a Nord-Est di Salerno, ho studiato nella sede distaccata del Liceo Scientifico di Eboli, intitolato ad Antonio Gallotta. Mi sono trasferita a Napoli nell’agosto 1999 con l’intenzione di iscrivermi all’Università, ma senza alcuna idea rispetto al corso di Laurea da frequentare, né la Facoltà da scegliere e tantomeno l’Ateneo da preferire.
A quei tempi l’orientamento scolastico per chi frequentava la sezione distaccata del Liceo Scientifico prevedeva una rosa ridotta di alternative: sembrava scontato scegliere una Facoltà scientifica o forse è solo un mio personale ricordo, che associo allo stupore di quanti venivano informati della mia successiva scelta: iscrivermi a una Facoltà di studi umanistici, studiare Lettere.
Come mai l’Orientale per studiare Lettere?
Le prime settimane di permanenza a Napoli le ho trascorse scoprendo la città, senza mete precise. La scelta e l’iscrizione all’Università non erano imminenti, avrei potuto tergiversare fino a novembre ed è stato proprio ciò che ho fatto. Vivevo in via Mezzocannone e condividevo un piccolo appartamento bicamere con tre studentesse conosciute con l’occasione di prendere una stanza in affitto. Tutte e tre erano iscritte al secondo anno: due studiavano Scienze Politiche ed erano compagne di corso oltre che amiche, un’altra studiava Lingue Straniere, sarebbe diventata la mia compagna di camera: tutte e tre erano iscritte all’Orientale. Nel corso di un paio di mesi ho iniziato a conoscere alcuni compagni di corso delle mie coinquiline con cui ciascuna preparava qualche esame per l’appello di settembre/ottobre. Assaporavo il loro entusiasmo e quasi ne condividevo le preoccupazioni, e senza rendermene ben conto decisi che anch’io volevo appartenere a quel gruppo, volevo anch’io spostarmi tra una sede e l’altra dell’Università in giro per una città che ad ogni angolo riservava una novità. Ero affascinata da un mondo tutto da scoprire, che ben mi ripagava della monotonia di cinque anni di studi e di un’intera vita trascorsa in un piccolo centro e, in più, mi sentivo protetta e sarei stata guidata dall’esperienza delle mie coinquiline.
L’inclinazione per gli studi umanistici si accompagnava all’ammirazione verso i miei insegnanti di Lettere, che sia al Liceo sia alla Scuola Media avevano rappresentato un modello: donne che si occupavano di cultura, di storia locale, di cinema, e che mi hanno insegnato ad accorgermi di come la letteratura s’intersechi alla vita quotidiana.
La scelta della Facoltà e del corso di studi rispose dunque a queste mie inclinazioni e alle positive esperienze scolastiche. Inoltre, feci anche una semplice considerazione: il piano di studi prevedeva venti esami e di questi soltanto nove erano obbligatori. Avrei potuto iniziare senza che fosse già tutto prestabilito e poi, nel corso degli anni, perfezionare il piano di studi. E proprio così è stato.
Che cosa ha significato per Lei stare all’Orientale, frequentarne i corsi, conoscerne gli studenti?
Il primo anno l’ho trascorso per la maggior parte nella sede di Palazzo Sforza e a Palazzo Giusso coi colleghi di Lettere e in particolare con un gruppo di studenti adulti che aveva scelto di frequentare la Facoltà di Lettere dopo un percorso personale, e anche lavorativo, particolare. Mi affascinava l’idea di condividere la mia esperienza di studi con chi non era lì solo per sostenere e superare esami (e i più giovani, le matricole, di solito avevano quest’atteggiamento). Anche se spesso ero sprovvista di argomenti e mi limitavo ad ascoltare, mi sono sempre sentita accolta e a mio agio.
Il secondo anno, dopo una proficua sessione d’esami estiva, l’ho dedicato ai corsi di Geografia oltre che alla biennalità obbligatoria di Letteratura Italiana e alla frequenza di corsi di Letteratura Latina e Storia Romana, che destavano il mio interesse sempre meno rispetto ai corsi di Geografia che potevo mutuare anche dalla Facoltà di Scienze Politiche e dal corso di Lingue e Civiltà Orientali. Mi piaceva molto la possibilità di interagire con studenti di varie Corsi di laurea o Facoltà, che avevano ambizioni e scopi diversi dai miei, che studiavano le lingue e le culture di popoli vicini e lontani perché un giorno si sarebbero trasferiti, avrebbero viaggiato… proprio io, che mi sentivo già così lontana a soli settanta chilometri da casa, nella realtà napoletana che mi corrispondeva sempre di più, ma che non mi apparteneva!
Alla fine del secondo anno di corso decisi di fare anch’io un viaggio, e coi colleghi di Geografia economica e politica dell’Asia andai in Giappone.
E poi? Se capisco bene, siamo ormai alla storia del Suo terzo anno all’Orientale…
Sì, ed è stato l’anno del grande cambiamento. Il mio approccio allo studio andava modificandosi, diventava tutto più complesso: volevo delineare un piano di studi nuovo, che mi orientasse alla scelta di un argomento da trattare nella tesi di laurea. Sono stata tormentata per mesi dall’idea di trovare un argomento adeguato e nel frattempo trascuravo lo studio e la preparazione dei singoli esami, ma quel periodo è stato comunque ricco da un punto di vista umano e di crescita personale.
Posso affermare di aver vissuto un periodo veramente speciale: l’esperienza di lavoro part-time con l’ufficio di Orientamento e Tutorato durante il periodo di fervore che investiva l’Università nell’anno di passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento; la collaborazione con Tiziana Carlino (studiosa di ebraico, oltre che di arabo) per l’organizzazione di un cineforum realizzato poi nell’ambito del Corso di Laurea in “Lingue culture e istituzioni dei Paesi del Mediterraneo”; l’esperienza con l’Odin Teatret di Eugenio Barba, che venne a Napoli con uno straordinario successo. Ci fu una conferenza nella bellissima Aula delle Mura Greche, e poi seminari e spettacoli teatrali.
Frequentai anche il corso di Storia delle Religioni. Chi ha frequentato quel corso può capire la mia decisione di partecipare alle lezioni nell’aula dell’Antica Scuderia anche dopo aver superato l’esame e l’anno successivo ancora. Si tornava a casa con una serie di spunti di riflessione, dubbi, incertezze, e col desiderio di tornarci ancora. Era emozionante aspettare che il professore arrivasse nell’atrio del Palazzo Corigliano osservando che la tua attesa era condivisa da tanti altri.
E dopo questo terzo anno, che è stato per Lei l’anno dei grandi cambiamenti…
I due anni successivi sono stati molto faticosi, forse perché meno intensi del precedente, ma proficui. Ho sostenuto tutti gli esami e mi sono dedicata alla stesura della tesi di laurea. Era piacevole ritrovarsi ogni mercoledì nel Dipartimento di Scienze Sociali con colleghi ormai amici che si dedicavano, come me, al lavoro di tesi. Il Dipartimento era ed è a palazzo Giusso, forse il palazzo in cui la vita degli studenti è più intensa. Intensa lo è anche a palazzo Corigliano, ma in modo differente: l’impegno socio-politico è più spiccato a palazzo Giusso, che dal 1932 è la sede, poi una delle sedi dell’Orientale. Largo San Giovanni Maggiore è sempre pieno di giovani, vi sono caffè, le discussioni sono continue…
Che cosa Le ha dato, in sintesi, l’Orientale? Intendo: dal punto di vista culturale, ma anche umano…
Un forte sentimento di condivisione, di partecipazione. Condivisione partecipata –partecipazione condivisa. Ecco ciò che si può sperimentare all’Orientale. Ed è una bella sensazione. Rara a trovarsi in questi tempi così… aggressivi. All’Orientale non c’è mai una “folla solitaria” (penso al libro del 1950, di David Riesman).
Secondo Lei, laurearsi in Lettere all’Orientale ha un valore aggiunto rispetto a una laurea in Lettere in una Università tradizionale?
Giornalmente interagisco con laureati in Lettere di Università “tradizionali”e da ciascuno apprendo qualcosa condividendo esperienze. Grazie all’essere una laureata dell’Orientale ho sicuramente un bagaglio culturale molto più vario e la maturata abitudine di ricercare confronti costruttivi. Studiare e vivere all’Orientale mi ha fatto respirare un’aria diversa. Da questo punto di vista, sì, mi avverto e sono diversa da parecchi miei colleghi.
Le è stato utile dirsi una “laureata dell’Orientale”?
In ambito lavorativo, come insegnante in una scuola pubblica, l‘Università di provenienza non incide sulle possibilità di assunzione. Per me l’utilità di essere una laureata dell’Orientale è legata alla possibilità di trasmettere ai miei alunni l’entusiasmo e la voglia di sapere che si apprendono all’“Orientale” e che ne sono una delle più belle e indimenticabili caratteristiche.
Qual è il Suo lavoro attuale?
Attualmente insegno Italiano e Storia in un Istituto Tecnico Statale per il Turismo a Lignano Sabbiadoro, in provincia di Udine, dove mi sono trasferita nel 2007, ma vivo a Trieste. Ho iniziato il lavoro di insegnante quasi per caso: nel 2006 ho presentato domanda di supplenza in provincia di Varese, mentre prestavo Servizio Civile volontario presso un centro di educazione ambientale. A Varese sono stata convocata per una supplenza breve in una scuola media, incarico che si è poi protratto fino alla fine dell’anno scolastico. È stata un’esperienza entusiasmante, sebbene faticosa perché mi mancavano tutti gli strumenti didattici che si apprendono gradualmente, con una buona formazione e con l’aiuto dei colleghi.
E in Friuli, come è arrivata lì?
Nei due anni successivi, quando mi sono trasferita in Friuli perché avevo vinto il concorso per frequentare la scuola di specializzazione, ho cominciato il mio percorso formativo e contemporaneamente alla frequenza dei corsi lavoravo ancora in una scuola media: un anno nella periferia di Udine e l’anno seguente in una zona della Bassa Friulana, sempre come supplente temporaneo. Con l’esame di abilitazione ho avuto accesso all’insegnamento nelle scuole secondarie di secondo grado, pertanto ho insegnato un anno in un Istituto professionale e l’anno scorso in un Istituto Tecnico e in un Liceo.
Vorrei sottolineare che questo può sembrare uno sterile elenco, ma a me tornano alla mente tanti episodi: notti insonni a correggere compiti e preparare lezioni, corse in stazione e lunghi viaggi in treno, colleghi a volte scettici sulla tua preparazione perché sembri troppo giovane, alunni che cercano di provocarti richiamando la tua attenzione sull’ennesimo fatto di cronaca partenopea esasperato dai telegiornali…
Tuttavia il mio lavoro è una continua fonte di soddisfazione e quelle che sembrano difficoltà diventano occasione di crescita.
Ha conservato rapporti con alcuni colleghi di studio?
Vivere a mille chilometri dal luogo dove ho studiato non consente di mantenere facilmente rapporti con chi si è trasferito in giro per il mondo, ma, perlomeno, mi dà l’idea che scambiarsi qualche mail possa essere sufficiente a considerarsi ancora in contatto. Molte colleghe sono diventate mamme e con loro si prediligono i racconti di vita familiare, qualcuna concilia il nuovo ruolo con un lavoro a volte diverso da quello prospettato durante gli anni universitari, altre hanno realizzato “il progetto” e vivono in giro per il mondo.
Due icone in questo senso sono Ameriga Giannone, che si è laureata nel 2005 in “Lingue e civiltà orientali” e attualmente è in Cile, e Maria Castaldi, laureata nel 2002 in “Scienze internazionali e diplomatiche”, e ora rientrata a Bruxelles dopo un periodo di permanenza in Africa.
Intervista a cura di Francesco De Sio Lazzari