Festival della cultura ungherese

 

Festival della cultura ungherese

Questa tre giorni sulla cultura ungherese è stata un’occasione per un incontro pluritematico durante il quale presentare non solo risultati ma anche progetti di ricerca, sotto il segno della vivacità che caratterizza, a diverso titolo, la collaborazione in atto fra “L’Orientale” e molte prestigiose istituzioni come cinque sedi universitarie ungheresi, l’Accademia d’Ungheria in Roma e il Centro Interuniversitario di Studi Ungheresi e sull’Europa Centro-Orientale (CISUECO, sempre con sede a Roma). Tra gli aspetti più interessanti, quelli che hanno approfondito la forte interazione culturale fra Napoli e l’Ungheria nel corso dei secoli. D’altra parte, il legame tra Napoli e la cultura ungherese è sempre stato molto forte. Nel 1948, per esempio, Sándor Márai nel 1948, in fuga dall’Ungheria, scelse la città di Napoli per ritrovare l’ispirazione, vivendo a Capo Posillipo per quattro anni. Lì, infatti, come scrive nei suoi quaderni, finalmente riesce a portare a termine alcune opere come una delle sue poesie più famose, Discorso funebre, e soprattutto, da allora in poi, il suo percorso artistico non sarà più lo stesso. Napoli, infatti, per Márai fu una esperienza esaltante, per i tipi umani di cui venne a conoscenza e per una certa mentalità che ne colpirà l’attenzione come se invece di Napoli avesse visitato una grande città di un mondo esotico lontano. Tra gli episodi napoletani che più contribuirono a un nuovo periodo di ispirazione per Márai, ci fu senza dubbio l’aver assistito al miracolo di San Gennaro, cui lo scrittore ungherese avrebbe dedicato anche un libro edito di recente in italiano da Adelphi. Ma diversamente da quanto ritiene la maggior parte della critica, a colpire Márai, prima ancora del miracolo in sé, fu l’approccio dei napoletani al miracolo: per Márai il miracolo consisteva prima nella mentalità dei napoletani e poi nello scioglimento del sangue un miracolo, dunque, che si realizzava ogni giorno, e non solo due volte all’anno, e consisteva nella capacità di un popolo che, pur in presenza di tanti disagi e mortificazioni, riusciva comunque a conservare la fede. Ecco il motivo per cui a Márai il popolo napoletano apparve come un popolo di un mondo nuovo, come avrebbe potuto esserlo il popolo di un atollo del Pacifico o quello di una remota giungla sudamericana. A stupire Márai fu anche quell’approccio tipicamente napoletano alla vita, che pure di fronte a miserie e sofferenze come il periodo degli anni Quaranta e Cinquanta, riusciva a conservare la speranza nel futuro, che è anche un altro modo di intendere la fede.
Prima ancora di Marai, agli inizi del Novecento, il poeta Jenő Dsida, cantore delle sofferenze dei tanti che dopo la Prima guerra mondiale furono costretti a vivere come stranieri nella propria patria, fu molto amico con Luigi Salvini, allora Direttore del settore finnougrico del R. Istituto Orientale di Napoli. Questo sodalizio, avviato nel 1937 a Debrecen nel corso della Università estiva che tuttora ospita i nostri studenti borsisti, durò a lungo fino a lasciare traccia indelebile nella letteratura critica sull’argomento.
Alla fine del Seicento, come non ricordare poi il triste capitolo della condanna di alcuni sacerdoti protestanti ungheresi a vogare nelle galee napoletane: e precisamente di uno di essi, Johann Simonides, che, dopo essere riuscito ad evadere, pubblicò a Wittenberg, nel 1679, l’opera intitolata Exul praedicamentalis che fra l’altro contiene una interessante e poco conosciuta descrizione della città partenopea. Anche di questo si è parlato nel convegno, che si aperto però con un focus sul poeta Miklos Zrinyi, che giunse a Napoli per una missione diplomatica ma anche per la sua grande ammirazione nei confronti del Marino e del mito della sirena. Come ha ben messo in evidenza nella prima giornata il professore Orloski, è anche probabile che ci siano riferimenti del suo soggiorno napoletano, delle esperienze vissute a Napoli come forse una corrida, anche nella sua opera più importante sull’epica difesa della fortezza di Szigetvár da parte del bisnonno Nikola nel 1566, contro l'avanzata dell'esercito di ottomano. Con soddisfazione, dunque, ho appreso del progetto di una edizione critica dell’opera poetica di Zrínyi nei cui lavori confluiranno le competenze dei colleghi de “L’Orientale” e dell’Università “Eötvös Loránd” di Budapest.

Ancora una volta, Mediterraneo ed Europa centro-orientale si sono incontrati nel segno di una doverosa conoscenza reciproca sempre da approfondire, spesso addirittura da (ri)scoprire in alcuni aspetti meno noti e però non meno significativi, nello spirito di una consapevole partecipazione al comune sentire europeo e nello spirito di una vocazione, come quella dell’Orientale, che per tradizione costruisce ponti tra le culture.

Ugo Cundari

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