Samarcanda, centro strategico delle Vie della Seta

 

Samarcanda, centro strategico delle Vie della Seta

Simone Mantellini

Secondo appuntamento nell'ambito di conferenze del ciclo dottorale “Archeologie delle Vie della Seta: percorsi, immagini e cultura materiale”

13 marzo 2013 - Palazzo Du Mesnil. Simone Mantellini, dell'Università di Bologna, ha parlato delle Dinamiche insediamentali, occupazione del territorio e rotte commerciali nell'antica Samarcanda.

Samarcanda è una delle città più importanti dell'Asia centrale ed è da sempre un fondamentale crocevia culturale, economico e linguistico. Strettamente legata al contesto territoriale in cui è sorta, deve la sua storica fortuna al fiume Zeravshan e alla posizione favorevole al commercio, sia locale che extraregionale, in quanto snodo delle Vie della Seta. È rifornita d'acqua da due canali artificiali, costruiti anche in epoche passate, che grazie a delle dighe deviano il corso del fiume che scorre a un'altitudine inferiore rispetto a quella della città.

Le missioni archeologiche nel territorio sono diverse – la missione italiana è a sud del fiume – ma tutte hanno adottato lo stesso modus operandi, sia dal punto di vista tecnologico sia per l'analisi dei dati, per poter studiare la storia della regione con un'unica chiave di lettura.
Nelle missioni è stato adottato un metodo multidisciplinare: affianco ai classici strumenti archeologici sono stati utilizzati altri sistemi di ricerca presi in prestito da discipline come la geologia, la geografia, la cartografia e il remote sensing (l'analisi delle immagini riprese dai satelliti); per poter gestire tutti i dati acquisiti, è stato usato il sistema GIS (Geographical Information System).
Strumento indispensabile è la cartografia sovietica: i topografi recatisi sul luogo in passato, infatti, erano consapevoli del fatto che determinate colline stratificate rappresentassero una zona archeologica e ne presero nota sulle proprie carte. Questo strumento, inoltre, risulta ancora più importante perché con il passare del tempo intere aree sono state rase al suolo con le ruspe per fare posto all'agricoltura e alle cave: dei circa 1374 siti archeologici, 563 sono andati distrutti e i restanti 811 potrebbero aver subito una parziale distruzione. Inoltre, il lavoro di ricerca è reso ancora più complesso dalla scarsa quantità di ceramiche che vengono ritrovate di difficile datazione.

I siti risalenti al periodo preistorico sono pochi e per lo più localizzati in montagna, all'interno di grotte, una posizione che rende ancora più difficoltoso il ritrovamento, mentre gli insediamenti relativi all'età del bronzo sono stati rintracciati vicino al fiume.

Quello che risulta più particolare è il paesaggio archeologico della steppa, costellato da strutture assenti in altre aree. Queste strutture hanno infatti richiesto un tipo diverso di indagine rispetto agli altri siti perché hanno un'altezza non superiore ai 40 cm e sono visibili solo con determinate condizioni di luce e di angolazione, oppure camminandoci sopra. Generalmente si tende a pensare che, data la loro forma circolare e la minima estensione superficiale, siano dei piccoli kurgan (necropoli a tumulo). Da uno scavo effettuato, sono emersi alcuni materiali – ceramiche risalenti alle due fasi più floride per l'area, dal II secolo a.C. al I secolo d.C. e intorno al V secolo d.C. – e alcune strutture utili comunque a far ipotizzare che fosse un luogo di supporto al sito principale, poco distante, e che servisse come area di lavorazione agricola, forse stagionale.

Uno dei siti più importanti è quello di Kafir Kala. Qui sono state ritrovate oltre 500 cretule del V-VI secolo d.C. con raffigurazioni stilistiche che però coprono un arco temporale più ampio, che va dal II secolo a.C. al VII-VIII secolo d.C. (alcune riportano delle epigrafie in sogdiano). Le cretule rinvenute si trovavano, inoltre, su un pavimento ricoperto da uno spesso strato di materiale che porta le tracce di un enorme incendio che, probabilmente, distrusse il sito in prossimità della conquista araba della zona.
Anche se in epoca islamica il sito assunse una valenza esclusivamente residenziale, Kafir Kala era stato un centro amministrativo di primo piano e un grosso centro di produzione ed esportazione di ceramiche: sono stati scoperti sette forni e sembra ce ne siano almeno altri quindici. Queste fornaci hanno una pianta di 3-4 metri di diametro e il piano di cottura è coperto da buchi per il passaggio del calore e da dischi di terracotta la cui funzione non è ancora del tutto chiara.

Francesca Ferrara - Direttore: Alberto Manco

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