Conferimento della Laurea Honoris Causa in "Lettere" a Raffaele La Capria

 

Conferimento della Laurea Honoris Causa in "Lettere" a Raffaele La Capria

Raffaele La Capria

Il 10 maggio 2006, nell'Aula delle Mura Greche di Palazzo Corigliano, viene conferita la Laurea Honoris Causa in “Lettere” allo scrittore e sceneggiatore napoletano Raffaele La Capria


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L'apertura della cerimonia è affidata al Rettore Pasquale Ciriello il quale si sofferma sulla qualità della produzione letteraria dell'autore e sull'importanza del ruolo rivestito dalla città di Napoli nella sua scrittura: un ruolo che va ben al di là degli odiosi stereotipi che spesso investono il capoluogo partenopeo e che ben si confà alla definizione che il Rettore dà della città così come presentata nell'opera di La Capria, quella di “Napoli migliore”.
Il Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Riccardo Maisano, procede con la Laudatio Academica tratteggiando la lunga carriera letteraria di La Capria ed evidenziando il segno peculiare della sua scrittura, quello relativo alla “scansione apparentemente tranquilla e sussurrata di concetti che sono invece taglienti e convergono verso la staffilata finale”.
Altro elemento che viene messo in luce come identificativo dell'autore è l'importanza dei luoghi, rappresentati “in una personale geografia della memoria” indispensabile nella sua riflessione sulla vita, sullo scorrere del tempo e sulle trasformazioni della società che ne conseguono. “Per questo oggi la Facoltà di Lettere si sente onorata di conferire un suo titolo a chi da tanto tempo è un appassionato e colto frequentatore delle sue peculiarità – senza naturalmente dimenticare che tutti noi, membri di questa comunità accademica, abbiamo fortemente voluto individuare in questa iniziativa il segno del posto importante occupato dall’italianistica a pieno titolo, e con pari dignità, nell’ambito delle specificità che da secoli caratterizzano il nostro Ateneo”: è con queste parole che il Preside continua la Laudatio paragonando l'attenzione dell'autore per la memoria geografica alla collocazione delle sedi dell'Orientale all'interno del centro storico di Napoli, una scelta culturale che affonda le sue radici nella necessità dell'Ateneo di sentirsi “parte integrante della memoria condivisa della città”.
La riflessione di Maisano si è poi conclusa con un riferimento a quella che La Capria definisce come “la Grande Omologazione Occidentale”: lo scrittore infatti, come ricordato dal Preside, è da sempre impegnato nella critica storica e letteraria rispetto a quell'appiattimento culturale fin troppo deleterio per la multiculturalità, elemento imprescindibile nella caratterizzazione dell'Orientale.

La cerimonia è continuata con la Lectio Magistralis di Raffaele La Capria, intitolata “La scrittura e l'emozione”. L'evento ha inoltre costituito per l'autore un'occasione per rievocare la propria esperienza sotto le armi – nel 1943 – esperienza ricca di aneddoti significativi come quelli relativi all'insolito bagaglio di guerra: “Mentre marciavo sulle polverose strade di campagna tra vigneti e uliveti e campi di grano, portavo nello zaino imbottito, al punto di farmi rassomigliare a un dromedario, tre libri: Moby Dick nell'edizione Frassinelli con la balena in copertina, Il rosso e il nero di Stendhal con copertina rosa e dicitura in nero e La concezione materialistica della storia di Antonio Labriola nell'edizione Laterza col fregio di foglie disegnato a incorniciare la copertina”. Ancora una volta i ricordi assumono un valore inestimabile nell'immaginario di La Capria che definisce la lettura del Manifesto del Partito Comunista, abilmente nascosto in quest'ultimo libro, come una “una trasgressione esaltante che aveva tutto il fascino di ciò che è proibito”.

L'emozione – spiega lo scrittore – è ormai svanita perché tutto viene contestualizzato in una realtà ben distante da quella in cui quelle parole furono scritte. Quello che non passa è tuttavia il fascino che i grandi scrittori continuano ad esercitare su di lui: la loro scrittura non diventa mai cosa passata, anacronistica o démodé, ma tende anzi a essere carica di una tale modernità da poter essere definita addirittura profetica.
Ciò che colpisce l'autore – che guarda alla scrittura con lo sguardo amorevole di chi di scrittura vive – è oggi come allora la potenza delle parole e il sempre più frequente svuotamento di significati troppo spesso strumentalizzati: “E quando Labriola scrive di voler contrapporre a tale «miraggio di ideazioni, a tali idoli dell'immaginazione, a codesto involucro ideologico, i soggetti reali», mi pare che quell'anticipatrice presa di distanza nei confronti delle manipolazioni del linguaggio e degli slogan, di cui oggi si fa largo uso, appaiano evidenti”.

 

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