Intervista con la Presidente dell’ASLI, Rita Librandi
Intervista con la Presidente dell’ASLI, Rita Librandi
Sul buon uso dell’italiano non ha dubbi: “Saper parlare e scrivere bene l’italiano significa poter dominare l’intera tastiera del pianoforte!”. E agli studenti? “Siano rigorosi nella preparazione: ne vale sempre la pena”
Professoressa Librandi, lei è professore di Storia della lingua italiana e di Linguistica italiana all’Orientale di Napoli e dal gennaio 2012 è Presidente dell’ASLI (Associazione per la Storia della lingua Italiana): a quasi un anno dalla sua nomina qual è il bilancio di questa esperienza?
“Il bilancio è molto interessante! È trascorso poco tempo ma è stato un anno molto intenso perché sono successe varie cose all’università, in particolar modo con le norme per il reclutamento dei docenti, l’istituzione dell’abilitazione nazionale, le procedure per valutare i candidati e poi la gestione del TFA per la formazione degli insegnanti. In realtà le associazioni di settore disciplinare o le consulte, come la nostra che è un’associazione che rappresenta il settore disciplinare L-FIL-LET/12,quello della storia della lingua italiana, della linguistica italiana, etc. stanno poco per volta, forse loro malgrado e senza neppure un’avvisaglia, modificando il loro ruolo. Sempre più vengono ritenute un interlocutore dell’università, una rappresentanza utile per riuscire a ricevere collaborazione da parte dei docenti di diversi settori. Qualche volta questa collaborazione è stata più fattiva: questo processo è cominciato un paio di anni fa quando c’è stata la riforma dei settori disciplinari, quando cioè questi sono stati accorpati in grandi aree”.
C’è una adeguata e responsabile interlocuzione da parte di chi può avere bisogno di sentirvi?
“Quest’anno non sempre la cooperazione si è svolta nel migliore dei modi perché, in più di un’occasione, l’Anvur, Agenzia di Valutazione del Sistema Universitario, ci ha chiesto pareri per esempio sulle classificazioni delle riviste, sulla scelta dei commissari stranieri ma raramente siamo stati ascoltati: da parte nostra abbiamo fatto tutto il lavoro che ci è stato richiesto ma poi gli esiti sono stati diversi da quelli che noi avevamo indicato, con una sorta di incapacità di ascoltare o anche di capire quali potevano essere le difficoltà a cui stavano andando incontro. Ma non vorrei dilungarmi su quest’argomento…”.
Dall’interno dell’Associazione provengono, invece, soddisfazioni?
“Sul piano della politica accademica è stato un anno intensissimo che forse sta vedendo la trasformazione di queste associazioni. Devo dire che il bilancio è positivo per il riscontro che ho avuto da parte dei soci che sono stati molto contenti di questo continuo lavoro di formazione che abbiamo fatto soprattutto per i più giovani. Qualche giorno fa c’è stata la prima assemblea ordinaria dei soci e ho visto che siamo riusciti a tenere unito il settore. Da un lato quindi sono un po’ delusa per ciò che stanno facendo l’Anvur e il Ministero dell’Istruzione, dall’altro però sono soddisfatta per il riscontro dei soci.”
Come nasce l’Associazione e quali sono i suoi obiettivi?
“L’Associazione è nata nel 1985, forse un po’ in ritardo rispetto ad altre associazioni più antiche come quella dei Docenti di Letteratura Italiana o la SLI, Società di Linguistica Italiana. In realtà nasce anche un po’ in ritardo rispetto alla nostra disciplina, la Storia della Lingua Italiana, che solo successivamente è stata chiamata Linguistica Italiana. In effetti l’ASLI nasce nel 1938/39 e quasi contemporaneamente vengono istituite due cattedre, una a Roma, assegnata ad Alfredo Schiaffini, una a Firenze, quest’ultima assegnata a Bruno Migliorini, il padre della Storia della Lingua Italiana: la disciplina aveva assunto un suo statuto autonomo pur rimanendo di natura interdisciplinare, perché le anime del nostro settore sono molte e convivono finora direi abbastanza armoniosamente. L’ASLI si propone naturalmente prima di tutto la diffusione della lingua italiana, non perché debba ancora essere diffusa ma certamente vuole promuovere sia lo studio della storia della lingua italiana a tutti i livelli, sia la buona formazione degli insegnanti, ma anche il buon insegnamento della lingua nella scuola, la tutela dell’italiano all’estero e tutto ciò che può sostenere la lingua italiana nella sua continuità, nel suo buon uso, nella sua conoscenza… noi siamo puristi! Quando parlo di buon uso mi riferisco a tante carenze che oggi i giovani hanno nell’italiano scritto, nella scrittura di tipo professionale o argomentativo.”
Crede che l’italiano scritto debba essere in qualche modo integrato tra le discipline che si insegnano all’università?
“Lo è stato quasi dovunque grazie a una spinta avuta verso la fine degli anni Novanta, un po’ prima della prima riforma universitaria: ci furono alcune iniziative, ad esempio a Venezia da parte del mio maestro, Francesco Bruni, perché ci si era resi conto del fatto che questi ragazzi arrivavano all’università ormai senza una adeguata competenza dell’italiano scritto. Per italiano scritto intendo una lingua di carattere elevato, non di certo quello relativo a una scrittura estemporanea, emotiva, spontanea, perché quella invece è forse più sviluppata di un tempo: i ragazzi scrivono tantissimo, penso ai blog ad esempio, e questo è sicuramente un bene. Se guardiamo però a una scrittura che poi serve per l’inserimento nei livelli più alti del mondo del lavoro, quella richiede un certo rigore, un’elaborazione più approfondita e non di certo una sintassi legata al parlato. A questo proposito posso dire che ci sono due iniziative importanti che l’ASLI ha promosso da un anno a questa parte: sia l’anno scorso e di nuovo si ripeterà quest’anno collabora con l’Accademia della Crusca per le Olimpiadi di Italiano. Si tratta di un’iniziativa nata nel 2011 e questa del 2013 sarà quindi la terza edizione: si affianca ad altre gare che riguardano imprese di carattere intellettuale e non fisiche!”
Se vuole può descrivere ancora più dettagliatamente di cosa si tratta.
“La nostra idea parte proprio dal voler stimolare un insegnamento adeguato della lingua italiana, stimolare anche gli insegnanti attraverso le gare, i giochi, e sensibilizzare di più gli studenti: è un progetto destinato alle scuole superiori proprio perché quello che stiamo cercando di far capire è che ormai è finito quel tempo in cui si pensava che la lingua italiana non si dovesse più insegnare. Un tempo di solito l’insegnamento della lingua, le esercitazioni dell’italiano scritto a tutti i livelli, finivano più o meno alle scuole medie, al massimo al biennio delle superiori, ma questo oggi non è più possibile perché gli stimoli dell’oralità sono molti e i modelli di scrittura, che si differenziano da quella più alta e argomentativa, sono tanti, sono devianti. Bisogna quindi fare sì che l’italiano sia un’educazione permanente, dal primo anno di scolarizzazione fino all’ultimo dell’università. È comunque una gara promossa dal Ministero con l’aiuto scientifico dell’Accademia della Crusca e dell’ASLI e tocca a noi la preparazione degli esercizi, come pure la correzione, anche se tutto avviene almeno per le prime due prove per via telematica. L’anno scorso la finale è stata quasi commovente: vedere i ragazzi così intenti, così desiderosi di riuscire bene nella gara finale per vincere poi un tablet, è stato molto bello… è stato bello soprattutto capire che i ragazzi non si danno da fare solo per diventare veline o per entrare nel Grande Fratello ma anche per vincere una gara di italiano! E poi un’altra iniziativa di quest’anno è stata l’istituzione dell’ASLI Scuola, cioè di una sezione dell’associazione che vuole occuparsi specificamente della formazione degli insegnanti e dell’insegnamento dell’italiano a scuola.”
Come guarda alle evoluzioni che riguardano l’italiano, soprattutto per ciò che concerne la comunicazione tra i più giovani?
“Non c’è da preoccuparsi perché la lingua cambia e noi assistiamo serenamente ai cambiamenti della lingua. Anche l’Accademia della Crusca, di cui nel settembre 2011 sono diventata corrispondente, non è che censura determinate forme, per carità! I cambiamenti della lingua costituiscono un fatto di salute. Diciamo semplicemente che una buona competenza nella lingua equivale al poter dominare l’intera tastiera del pianoforte. Se noi mettiamo sempre lo stesso vestito per ogni occasione, anche se è il più elegante questo stona. E chi condanna tutto questo non sono i professori: quello che ripeto spesso ai miei ragazzi è che tante volte si sbaglia e il professore interviene in maniera scientifica, cercando di mostrare il perché, il come, il dove, il quando. Il vero censore è il resto della società: coloro che si interessano di lingua hanno sempre un atteggiamento aperto, disponibile, curioso verso i cambiamenti e cercano di indirizzare ogni volta per la giusta via; chi ci ascolta nella società e non ha questo tipo di sensibilità linguistica invece ci giudica! Bisogna quindi stare attenti se si vuole riuscire ad avere un ruolo positivo nella società. Per il resto l’italiano è una lingua di grande vitalità: a partire dagli anni Cinquanta l’italiano è diventato poco per volta – e finalmente – la lingua di tutti! La rivoluzione che l’italiano ha fatto negli ultimi sessant’anni è straordinaria! Tutti ad esempio gridavano alla morte dei dialetti e i dialetti non sono morti, certo sono cambiati così come cambiano tutte le lingue… c’è stato un momento di grande repressione verso il dialetto da parte delle famiglie ma invece ora le famiglie italiane sono molto più rilassate, la convivenza è più pacifica. Credo insomma che ognuno debba svolgere bene il proprio ruolo, perché in ogni comunità parlante ci sono le forze che innovano – fino ai limiti del cattivo gusto se pensiamo ad alcuni politici, ai mass media e alle cose che inventano – e poi ci sono le forze che cercano di sorvegliare e trasmettere, che sono quelle della scuola e dell’università. La via di mezzo è sempre quella giusta ossia un punto di incontro tra gli estremi, tra chi vuole cambiare e chi vuole conservare con rigore.”
Cosa risponderebbe a chi, sempre tra i più giovani, rifiuta la norma, considerata troppo rigida per essere assunta come descrizione assoluta della lingua?
“Gli direi che la norma vale per quel tipo di comunicazione che stiamo facendo. Prendiamo ad esempio la scrittura giornalistica, una scrittura che va bene per il testo giornalistico. Oggi si notano alcuni cambiamenti che potrebbero anche entrare nella norma, non sappiamo come andranno le cose, anche perché a volte i cambiamenti ci mettono secoli ad attuarsi. Ma, e questo lo diceva già Manzoni, le lingue hanno soprattutto il compito di conservarsi più che di mutare perché altrimenti non ci si capirebbe. Tornando alla scrittura giornalistica si parla di una sorta di rivoluzione interpuntoria, il punto che spezza le frasi, che separa addirittura soltanto uno o due nomi, ma lì non c’è da condannare nulla perché la norma non è assoluta! Se poi però in un testo di tipo saggistico o in una scrittura di carattere scientifico vengono isolati due nomi o mezza frase con un punto c’è qualche problema.”
Si è da poco concluso il X Convegno ASLI: quali sono state le tematiche affrontate?
“Nell’ultimo Convegno ASLI abbiamo parlato dei 400 anni del Vocabolario della Crusca. Il Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612) e la storia della lessicografia italiana. La prima edizione del 1612 ha avuto un ruolo molto importante nella nostra storia linguistica poiché si tratta di una storia abbastanza particolare: per tutti coloro che non erano toscani l’italiano era una lingua studiata sui libri, anche se poi adoperata sempre nella scrittura più alta. Il vocabolario era quindi di grande aiuto, ha adottato la linea di Bembo, cioè quella di lemmatizzare tutte le parole dell’italiano letterario, non solo trecentesco prendendo come modello Petrarca e Boccaccio e poi anche Dante. A parte queste considerazioni specifiche per la nostra storia linguistica, è stata la prima grande impresa lessicografica di tutta Europa e questo ha fatto sì che gli studi italiani fossero sempre più avanzati degli altri sul piano della lessicografia. Un’altra grande impresa lessicografica è il Lessico Etimologico Italiano, impresa che si svolge in Germania all’Università del Saarland ma che ha tantissimi collaboratori in Italia. Abbiamo poi un altro dizionario importante, che è online e che è in corso di lavorazione, molto prezioso per tutto l’italiano fino alla metà e oltre del XIV secolo, il CLIO, redatto nell’opera del Vocabolario Italiano a Firenze. Esistono infine studi lessicografici antichi e moderni anche dell’italiano contemporaneo, un bellissimo Osservatorio Neologico della Lingua Italiana coordinato da un altro storico della lingua italiana, una docente del nostro settore, Valeria Della Valle. Vorrei poi aggiungere che la scelta di fare questo convegno a Padova e Venezia non era casuale: naturalmente l’Accademia della Crusca ha fatto le sue celebrazioni a Firenze anche se ha collaborato anche per questo convegno, ma la prima impressione del Vocabolario della Crusca si stampa a Venezia, che è il più grande centro tipografico da cui partono tutte le novità librarie fra il 1500 e il 1700, e Padova è invece il centro di studi dove continua il dibattito sulla questione della lingua dopo il 1500.”
Qual è stata la sua posizione rispetto alle recenti prove di accesso all’ormai celebre Tirocinio Formativo Attivo?
“La peggiore possibile! Veramente non ci sono parole per indignarsi. È stato un episodio vergognoso, le prove erano state preparate in maniera casuale, da persone che fino alla fine non si è capito bene chi fossero. Nessun docente universitario è stato poi coinvolto ed erano veramente quiz paragonabili a quelli della Settimana Enigmistica. I test a scelta multipla hanno una loro logica ma devono essere costruiti come si deve e devono essere tali per cui una persona che ha studiato, anche se non ricorda esattamente la risposta a una domanda, deve poter trovarla tramite il ragionamento. Per di più molti erano sbagliati: abbiamo visto tra l’altro che in qualche caso erano ricopiati da Wikipedia … veramente un episodio vergognoso della storia della nostra istruzione con il risultato che poi anche l’ASLI, insieme con tutte le altre associazioni della nostra stessa area di ricerca, ha iniziato una protesta: abbiamo stilato un documento che abbiamo inviato al Ministro dell’Istruzione e ad altre autorità e il rimedio è stato in qualche caso peggiore del male. Hanno annullato le domande che sono state segnalate come inopportune o sbagliate con il risultato che poi gli ammessi sono stati ammessi per puro caso. È stata veramente una sorta di estrazione della lotteria. Una tristezza infinita che sconteremo per anni: molti studenti bravissimi sono stati esclusi. Nel momento in cui si tratta di quiz, peraltro talvolta improbabili, la gente per disperazione all’ultimo minuto ha messo le crocette come capitava e a qualcuno gli è andata bene! Si tratta di una pagina nera della storia della nostra istruzione. Speriamo che dal prossimo anno si cambi.”
Un consiglio a coloro che oggi si preparano ad entrare nel mondo del lavoro…
“Di essere rigorosi nella preparazione, ne vale sempre la pena. E poi di puntare sempre al massimo, al più difficile perché accontentarsi del facile non fa crescere. Nella mia esperienza, e sono tanti anni che insegno all’università, vedo che i ragazzi che si impegnano con metodo, rigore, regolarità, passione, poi prima o poi arrivano, magari con difficoltà e sacrifici, ai massimi livelli. Tante volte incontro i nostri studenti in posti molto prestigiosi e sono sempre quelli che avevano lavorato con più impegno. Consiglio quindi di lavorare con rigore e regolarità.”
Francesca De Rosa – Direttore: Alberto Manco