Il lavoro in movimento. L'emigrazione italiana in Europa 1945-1957
Il lavoro in movimento. L'emigrazione italiana in Europa 1945-1957
Michele Colucci, ricercatore presso l'istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo, ha parlato di movimenti migratori italiani tra il 1945 e il 1957
28 novembre 2012 – Nell'aula Matteo Ripa di palazzo Giusso, Michele Colucci ha tenuto una lezione sull'emigrazione italiana dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino alla metà degli anni Cinquanta.
La lezione è stata introdotta dai professori Alessandra Gissi e Giulio Machetti, entrambi docenti di discipline storiche presso l'Ateneo, i quali hanno presentato Michele Colucci – che da anni si occupa di processi migratori ed è autore di numerosi studi sull'argomento – sottolineando l'importanza degli studi sull'emigrazione per capire e analizzare le vicende storiche del periodo post-bellico e non solo. Gli studi sull'emigrazione, infatti, devono essere sempre integrati nell'analisi dei nodi cruciali della storia contemporanea e non trattati come una realtà a sé stante.
La migrazione del secondo dopoguerra differisce da quella dei decenni precedenti per vari aspetti ed è strettamente legata all'idea di lavoro. I paesi centro-europei verso i quali sono rivolti i flussi migratori in quegli anni, infatti, hanno bisogno di manodopera per la ricostruzione del dopo-guerra. Di conseguenza, chi lascia l'Italia non lo fa più con l'idea di un guadagno facile ma con la prospettiva di un lavoro durissimo. In questa prospettiva, i diversi Stati sono fortemente coinvolti nella gestione dei processi migratori, a differenza di quanto avveniva in passato. Così, mentre in Europa vengono finanziate campagne di reclutamento per i lavoratori stranieri con le quali si impongono precise condizioni alla permanenza degli stessi lavoratori sul suolo nazionale, in Italia si incoraggiano i flussi migratori sia attraverso alcuni accordi bilaterali che rendono le frontiere più aperte, sia attraverso l'inaugurazione di centri per l'immigrazione ove reperire i documenti e sottoporsi alle selezioni necessarie. Inoltre, non bisogna dimenticare che per i governi italiani, nel dopoguerra, l'eccesso di forza lavoro assieme ad un'economia che è praticamente ferma rappresentano un problema cruciale a livello politico, economico e sociale. Favorire l'emigrazione, in un simile contesto, diventa fondamentale anche per allentare la tensione interna dovuta alla disoccupazione. Per ciò che riguarda l'Italia, bisogna anche considerare che le rimesse degli emigranti fanno entrare in circolo importanti cifre di denaro, fattore di non poco rilievo cui si aggiunge la capacità di poter rispondere alle richieste di manodopera degli altri stati che sarà un punto di partenza per iniziare a ricostruire l'immagine del Paese agli occhi della comunità internazionale. La convinzione dei diversi governi italiani, tuttavia, è che l'emigrazione rappresenti una soluzione temporanea e ciò sarà alla base di una certa mancanza di attenzione per i lavoratori una volta arrivati all'estero.
Carenze che verranno, in parte, colmate solo dagli anni Cinquanta in poi: grazie all'inizio del processo di integrazione europea si avranno leggi meno restrittive e maggiore attenzione per le sorti degli emigrati, oltre ad una più agevole mobilità tra gli Stati. In Italia, tuttavia, nonostante abbiano avuto inizio gli anni del miracolo economico, i flussi migratori verso l'estero continueranno ad essere un elemento costante, anche se in maniera diversa: gli operai, infatti, preparati e specializzati, troveranno migliori occasioni di quanto avveniva in precedenza: una sorta di preludio al più recente fenomeno di fuga dei cervelli.
Anche se, come ricordato da Michele Colucci, dopo gli anni Settanta l'attenzione per i fenomeni migratori si è affievolita lasciando inesplorati molti campi di analisi, lo studio delle politiche migratorie è uno strumento fondamentale per aiutare a comprendere meglio la politica italiana del secondo dopoguerra e non solo.
Luisa Mucci - Direttore: Alberto Manco