Ildegarda, la santa visionaria

 

Ildegarda, la santa visionaria

Mario Del Franco relaziona su Problemi nell’interpretazione di alcuni versi della "Symphonia armonie ceslestium revelationum" di Hildegard von Bingen.

Santa Maria Porta Coeli, 28 Aprile - Il ciclo seminariale Lavori in Corso organizzato dall’Orientale ha visto oggi alla cattedra un dottorando della Federico II, Mario Del Franco, che ha intrattenuto l’uditorio sul suo personale… “lavoro in corso”: lo studio di alcune questioni testuali ed esegetiche dei carmi di Ildegarda di Bingen, complessa figura di monaca benedettina e mistica eccezionalmente erudita del XII secolo. Presentato dalla professoressa Roselli, che ha fatto emergere interessanti spunti di riflessioni su una filologia che non prescinda dall’analisi delle miniature qualora esse siano state eseguite o sorvegliate dall’autore (come avviene appunto nei manoscritti in questione), Del Franco ha spiegato come, per tentare di tradurre i carmi di Ildegarda, ma anche solo per avere un approccio filologico ad essi, per comprendere cioè questa poesia così straniante alla lettura, sia indispensabile individuarne gli ipotesti. Cosa nient'affatto semplice visto che la monaca li dissimula accuratamente, nell’intento di far passare per ispirazione divina quello che è soprattutto frutto della propria erudizione. Una donna, e per di più monaca, che volesse porsi allo stesso livello dei teologi non sarebbe stata infatti presa in alcuna considerazione nel XII secolo, mentre la sapienza divina poteva servirsi di una ‘illetterata’ per manifestarsi, e Ildegarda, furbescamente, preferì farsi passare per incolta pur di ottere la diffusione delle proprie opere. Chi, in definitiva, fosse Ildegarda lo ha svelato senza peli sulla lingua il professor Germano, docente di letteratura medievale alla Federico II: “Ildegarda fin da piccola aveva delle visioni e cadeva in stati di trance: nell’epoca attuale, visto che tutto ciò che non è riconducibile ad una regola spaventa, sarebbe stata imbottita di psicofarmaci e costretta ad una vita di inebetimento. Allora, invece, nel ‘buio medioevo’, quando ogni stranezza veniva riferita ad una sfera ultraterrena, i genitori la portarono in convento dove ebbe modo di erudirsi e di trovare una sua collocazione in società”. La monaca seppe poi sfruttare la sua malattia – convulsioni? periodici stati di trance? – per far passare le proprie opere come ‘visioni’ direttamente ispirate da Dio.
Inevitabile che tali considerazioni suscitassero un vivo interesse che ha fatto sì che il dibattito si protraesse per oltre un’ora dal termine della relazione senza che si potesse accertare se l’evo attuale sia più o meno buio di quello medio.

 

Concetta Carotenuto