Instanbul tra trasformazioni urbane e proteste cittadine

 

Instanbul tra trasformazioni urbane e proteste cittadine

Una veduta della Basilica di Santa Sofia e della Sultanahmet camii, anche nota come moschea blu, di Instanbul

La professoressa Lea Nocera spiega le ragioni delle agitazioni nella nuova Turchia delle contraddizioni

7 dicembre 2011 – L’esempio di Istanbul ben si inserisce nell’ambito del Laboratorio della professoressa Maria Donzelli ”L'Altro: ospite o nemico? Testimonianze dal Mediterraneo in lotta”, che ha abbandonato per il momento l’analisi di quanto sta accadendo nei paesi arabi della sponda Sud per concentrarsi sull’unicum rappresentato dalla città simbolo della Turchia: l’ex capitale dell’Impero Ottomano incarna infatti le problematiche tipiche di uno spazio conteso, con conflitti interni derivanti da un rapporto complicato con l’alterità rispetto alle minoranze etniche e ai diversi ceti sociali. La città si configura come il frutto di un enorme sviluppo urbano incontrollato, delle cui fasi ha trattato la docente del nostro Ateneo Lea Nocera, servendosi dell’ausilio di due documentari. Il primo, che ha fatto da introduzione alle due giornate di approfondimento, è stato realizzato nel 1977, in maniera rozza e in bianco e nero, mentre il secondo Ekümenopolis – La città senza limiti, che s’avvale dei colori e delle nuove tecniche d’animazione, è di produzione ben più recente. A dispetto delle differenze di stile però, entrambi rappresentano realtà tristemente simili che, anzi, a distanza di trent’anni, sembrano essere andate peggiorando. Istanbul è finita col diventare la metropoli più grande del Mare Nostrum, arrivando a contare tra i quindici e i diciotto milioni di abitanti, volendo escludere l’alta percentuale di individui non registrati; ma, dietro la facciata cool da capitale del turismo internazionale e polo d’attrazione per i giovani lavoratori, si nasconde ben altro. Nei primi anni del secolo scorso, quando il centro del potere è stato trasferito ad Ankara, la città ha subito un’ingente perdita di popolazione, soprattutto straniera. Privata sempre più del suo cosmopolitismo, è stata oggetto di un intenso processo di turchizzazione per tutta la durata degli anni Cinquanta, al quale sono seguite politiche di urbanizzazione che hanno visto uno spostamento di massa dalla campagna alla città di poveri lanciatisi all’inseguimento dell’illusione di una vita migliore. La maggior parte di essi si è insediata nelle periferie, a ridosso di discariche e acquedotti, in zone abbandonate e prive di qualsiasi struttura, costruendo da sé le proprie abitazioni nell’arco di una sola notte, per aggirare la legge contro l’abusivismo. Altri, hanno occupato le residenze abbandonate del centro storico, nella zona del Palazzo del Sultano, e lì hanno vissuto più o meno tranquillamente fino al 1980, anno del colpo di stato militare della storia repubblicana. Ad esso, è seguita l’adozione di una politica economica aggressiva di stampo neo-liberista: la Turchia è stata lanciata sul mercato internazionale ed Istanbul è stata scelta come sua vetrina, destinata a diventare una Global City che possa tornare ad attirare l’afflusso di ingenti capitali stranieri. Sono stati costruiti albergoni a cinque stelle sulle colline, due ponti sul Bosforo e, dal 2005, hanno avuto inizio degli sfratti coatti per demolire i quartieri storici del centro allo scopo di costruire nuove case in stile per le famiglie benestanti, che aderiscono ad uno stile di vita prettamente americano. Le proteste da parte degli abitanti storici dei quartieri non hanno tardato a farsi sentire e neppure quelle di urbanisti e ingegneri impegnati, o di ong, sensibili nei confronti dei diritti umani e sociali, che hanno cominciato a svolgere una vera e propria politica di opposizione al Governo. Sono questi i movimenti che agitano in questi giorni le strade turche, finalizzati soprattutto a bloccare il progetto “Istanbul 2023”, per il quale il partito neoeletto di Giustizia e Sviluppo ha pianificato l’apertura di un secondo Bosforo, con la costruzione di un terzo ponte, e la fondazione di due città ex novo; un disegno che porterebbe ad un’ulteriore congestione del traffico e al progressivo regresso delle zone verdi del Paese, che, secondo gli esperti, si avvierebbe già verso il disastro ambientale. Se questo è il prezzo per entrare nell’Unione Europea, la popolazione non sembra disposta a pagarlo.

Annamaria Bianco

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