Lucio d'Amore: ecco il mio ricordo dell'Orientale
Lucio d'Amore: ecco il mio ricordo dell'Orientale
"La mia esperienza all’Orientale è stata fondamentale per la mia formazione e la mia crescita culturale e ha certamente contribuito a determinare e a tracciare la mia vita professionale"
Lei si è iscritto all’Orientale, allora Istituto Universitario, nel 1974, cioè subito dopo che l’Istituto si era riorganizzato in due Facoltà e nella Scuola di Studi Islamici (la cosiddetta Riforma Gnoli, dal cognome del Rettore del tempo).
Come mai scelse l’Orientale?
Che impressione Le fece l’Istituto quando Lei prese i primi contatti e incominciò a frequentarlo?
Com’era l’ambiente dei docenti e dei Suoi colleghi studenti?
La scelta di studiare all’Orientale è stata perfettamente in linea con i miei interessi culturali e con le mie inclinazioni. Ma l’ho capito solo dopo aver frequentato per ben tre anni la Facoltà di Medicina e Chirurgia (sempre a Napoli), dove peraltro ero in regola con gli esami. Il mio spirito era, ed è, aperto ad ogni forma di conoscenza ed avrei potuto scegliere qualsiasi Facoltà. Ad esempio, mi appassionava molto anche Architettura (al Liceo avevo la votazione di 10 in Disegno architettonico), che vedevo come una Facoltà che avrebbe potuto dare concretezza ai miei sogni di realizzare progetti e città ideali.
… Ma torniamo all’Orientale. Sapevo che era un Ateneo prestigioso, che rappresentava un’eccellenza per lo studio delle lingue e delle civiltà straniere in Italia. La mia particolare predisposizione per le lingue, il naturale desiderio di approfondire la conoscenza di altre culture, la mia vocazione internazionale hanno determinato la scelta decisiva per la mia vita.
L’impressione fu estremamente positiva, anche perché ero pieno di entusiasmo di iniziare una nuova avventura accademica, dopo aver lasciato gli studi di Medicina e Chirurgia. Avendo studiato Tedesco al Liceo, la scelta cadde su questa lingua, per cui frequentavo prevalentemente il Dipartimento di Germanistica. Ricordo che all’epoca (1974/75) eravamo un gruppo ristretto di pionieri, 6 o 7 studenti in tutto, a seguire il corso quadriennale di Tedesco. Pertanto avevamo contatti più diretti e frequenti con i docenti, sempre disponibili, e la possibilità di affinare la nostra preparazione, attraverso esercitazioni e ricerche.
I corsi di lingua inglese, francese e spagnola erano i più affollati, e perciò si ricorreva alla ripartizione in gruppi per ordine alfabetico. Spesso le lezioni, anche di altre discipline, erano tenute fuori dalla sede centrale (Palazzo Giusso), il che ci costringeva a fare delle corse tra una sede e l’altra.
L’ambiente dei docenti era piuttosto eclettico: accanto a professori affermati, c’erano anche altri docenti o assistenti a vario titolo, che cercavano di farsi spazio. Ricordo che, scherzosamente, qualche professore soleva dire che all’Orientale c’erano pochi “baroni” e tanti aspiranti “baronetti”.
Tra gli studenti, c’era una frangia di colleghi più politicizzati, raggruppati nel c.d. CIP (Centro di Iniziative Politiche), ma credo che la maggior parte di noi fosse più interessata allo studio che alle battaglie politiche.
La Sua prima laurea è del 1978, relatore il Prof. Zagari, un grande specialista della letteratura tedesca. Argomento della tesi: Novalis! Grandissimo poeta… Vuol dire qualcosa della Sua prima esperienza di tesi? Scelse Lei Novalis come tema di ricerca?
Il tema della mia prima tesi di laurea scaturì da un corso sul Romanticismo tedesco tenuto dal prof. Luciano Zagari, che poi accettò di seguirmi come relatore. Tra i poeti romantici, Novalis mi aveva colpito non solo per la sua prematura morte, avvenuta all’età di 29 anni, ma soprattutto per la profondità del suo pensiero, la capacità di trasfigurare la realtà, la sua concezione dell’ “età dell’oro” non come una fuga dalla realtà nel mondo fantastico della poesia, ma come elevazione della realtà all’altezza del mondo ideale. Mi è rimasto bene impresso nella mente un suo pensiero, tratto dai Frammenti : «In uns, oder niergends ist die Ewigkeit mit ihren Welten…» (In noi, o in nessun altro luogo è l’eternità con i suoi mondi … ). E poi, gli Inni alla Notte, dove il sogno e la fantasia sono intesi come veicoli verso l’infinito, l’ Enrico di Ofterdingen, un affresco del Medioevo, peraltro incompiuto, e I Discepoli di Sais, che costituiscono una sorta di percorso iniziatico verso la conoscenza.
Quindi, proposi Novalis come argomento della mia tesi, soffermandomi sul suo pensiero “politico”, che non era mai stato sufficientemente approfondito, in particolare sulle idee esposte nelle opere Fede e Amore e Cristianità o Europa. In una visione idealizzata e oscillante tra realtà e utopia, Novalis concepisce, nella prima, lo Stato come una comunità organica e partecipativa, mentre nella seconda propone il modello dell’Europa medievale come punto di riferimento per ritrovare le nostre radici spirituali e culturali.
Del 1981 è la Sua laurea in Scienze Politiche con una tesi su "Le relazioni intertedesche e l'integrazione europea", relatore il Prof. Antonio Tizzano.
Durante il periodo dei Suoi studi a Scienze Politiche, Facoltà allora molto giovane (all’Orientale), notò differenze significative nel rapporto con gli studenti? Quale delle due Facoltà Le sembrò più aperta nei confronti dei giovani?
Quando mi sono iscritto alla Facoltà di Scienze Politiche, questa era stata effettivamente istituita da poco. Lo feci sia per allargare i miei orizzonti culturali, sia per soddisfare il mio desiderio di nuove conoscenze. Ho sempre cercato di seguire i corsi che più mi interessavano, compatibilmente con la mia attività lavorativa (in questo, favorito dai permessi per studenti lavoratori, in quanto, dopo un breve periodo di insegnamento di Lingua e civiltà tedesca al Liceo scientifico di Avellino, dove ero stato studente, ero intanto diventato funzionario del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali).
La scelta dell’argomento della tesi, condiviso dal relatore prof. Antonio Tizzano, era particolarmente attuale in quel periodo, in cui la Germania era ancora una nazione divisa e in Europa esistevano due Stati tedeschi. Ricordo che, durante la fase di ricerca, mi ero rivolto alle rispettive Ambasciate a Roma, per acquisire materiale utile per la tesi. Mentre l’Ambasciata della Repubblica Federale Tedesca, attraverso il Console generale di Napoli, mi inviò parecchi documenti, l’Ambasciata della Repubblica Democratica Tedesca si limitò ad inviarmi copia del “Trattato fondamentale sulle relazioni tra la RFT e la RDT”. Poi, nel giro di pochi anni, con la caduta del muro di Berlino, tutto sarebbe irreversibilmente cambiato.
Per quanto riguarda il clima generale, e più in particolare il rapporto con gli studenti, non notai differenze sostanziali tra la Facoltà di Lettere e Filosofia (dove era allora inserito il Corso di Laurea in Lingue e Letterature Straniere Moderne) e quella di Scienze Politiche se non nell’approccio più dinamico di quest’ultima, che richiamava giovani maggiormente sensibili alle istanze politiche, economiche e sociali in un mondo in rapido cambiamento.
Quali professori ricorda, in particolare, delle due Facoltà? Intendo: le personalità che La impressionarono maggiormente…
Potrei citare il prof. Zagari per la Facoltà di Lettere e Filosofia, profondo conoscitore della cultura tedesca, le cui lezioni erano particolarmente stimolanti. Ricordo che al quarto anno concordò il programma con il nostro ristretto gruppo di quadriennalisti, proponendo una serie di argomenti relativi al periodo del Romanticismo e riuscendo a conciliare gli interessi di ciascuno di noi. In uno dei nostri numerosi incontri, durante l’elaborazione della tesi, un giorno mi disse: «La cultura è un pane che si spezza …».
Per la Facoltà di Scienze Politiche, oltre al relatore della mia tesi, prof. Tizzano, insigne giurista e grande esperto di diritto internazionale, ricordo volentieri il prof. Mario Agrimi, con il quale ho seguito il corso di Filosofia della Storia. Il prof. Agrimi, che è stato anche correlatore della mia prima tesi di laurea, associava ad una naturale simpatia una grande signorilità e una profonda cultura storica e filosofica.
Oltre ai professori, mi piace anche ricordare una figura particolare, un bidello di nome Alì, di origine yemenita, dalla pelle olivastra, i capelli crespi, ingrigiti dagli anni. Era una persona estremamente gentile, disponibile, sempre sorridente e pronto a dare consigli agli studenti, soprattutto ai nuovi arrivati.
Infine, la laurea in Lettere Moderne nel 1988, con una tesi sulle "Relazioni tra la Scuola Poetica Siciliana e i Minnesängertedeschi", relatrice la Prof. Maria Simonelli. Una bella esperienza? Mi sembra di scorgere in Lei una forte vocazione per gli studi sulla poesia e sui poeti… (anche se nel frattempo si era laureato anche in Scienze Politiche).
A dieci anni dalla mia prima laurea e dopo aver conseguito una seconda laurea, decisi di lanciarmi in una nuova avventura accademica, quando già mi occupavo di relazioni internazionali al Ministero del Turismo e dello Spettacolo, dove nel frattempo ero passato, sempre per scoprire nuovi orizzonti.
Era come se un “fuoco sacro” bruciasse dentro di me, che mi spingeva ad andare oltre, a pormi nuovi traguardi, che potessero appagare le mie pulsioni culturali. È per questo motivo che decisi di iscrivermi al corso di laurea in Lettere moderne, dove ho avuto modo di approfondire materie che già amavo al Liceo, come Letteratura latina, Letteratura italiana, o di studiarne nuove, come Filologia romanza.
L’incontro con la prof. Maria Simonelli fu decisivo per la scelta del tema della mia terza tesi di laurea, anche in questo caso da me proposto e accettato dal docente. Mi piace ricordare anche lei tra le personalità che mi hanno impressionato maggiormente. Il suo corso su Dante fu per me come una folgorazione: con un’analisi del testo particolarmente chiara, incisiva e coinvolgente, con un linguaggio accattivante, mi ha fatto letteralmente “gustare” (non trovo un termine più adatto) la Divina Commedia, come mai mi era capitato prima. La mia tesi con lei, che era una grande specialista della Letteratura italiana antica, è stata un’esperienza particolarmente avvincente: mi ha consentito di analizzare il periodo degli albori della letteratura italiana, di immergermi nell’ambiente della corte di Federico II di Svevia, di studiarne le singole personalità poetiche, per raffrontarle con i Minnesänger tedeschi, scoprirne le affinità culturali e i comuni legami con la lirica dei trovatori provenzali (l’amore cortese o fin’amor). Devo dire che le dame e i cavalieri medievali avevano sempre acceso la mia fantasia fin da bambino: così, «nel mezzo del cammin di nostra vita», con la terza tesi di laurea ho voluto ri-visitare quel mondo epico, di armi, amori e battaglie.
Lei, di fatto, ritornò nella Facoltà di Lettere per la sua terza laurea dopo circa dieci anni dal conseguimento della prima laurea. Ebbe l’impressione che l’Istituto fosse cambiato? E in questo caso: in meglio o in peggio? Credo, per inciso, che fosse cresciuto il numero degli studenti frequentanti…
Dal 1978 al 1988 l’Orientale era indubbiamente cambiato: nuova organizzazione dei dipartimenti, nuovi professori, nuove discipline, il che consentiva agli studenti, in numero sempre crescente, di avere maggiori possibilità di scelta. Anche se probabilmente non tutti quelli che frequentavano arrivavano poi a conseguire la laurea, ho notato tra i colleghi persone decisamente motivate e con le idee chiare su quello che avrebbero voluto fare.
Per quanto mi è stato possibile frequentare, ho avuto l’impressione che la “politicizzazione” in atto negli anni Settanta si fosse un po’ attenuata, forse anche a seguito dell’evoluzione generale della politica e della società italiana.
Quanto Le è stata utile l’esperienza all’Orientale nei traguardi che Lei ha raggiunto nella Sua carriera? Penso ai Suoi incarichi presso la Presidenza del Consiglio, dove Lei si occupa di relazioni comunitarie e internazionali presso il Dipartimento Turismo.
La mia esperienza all’Orientale è stata fondamentale per la mia formazione e la mia crescita culturale e ha certamente contribuito, unitamente alle successive specializzazioni a Roma in Studi europei, Relazioni internazionali e Cooperazione internazionale, a determinare e a tracciare la mia vita professionale.
Fin dall’inizio, ho avuto l’opportunità di fare un lavoro che mi piaceva e conforme ai miei studi, e cioè lavorare in ambito internazionale. Come funzionario ministeriale mi sono occupato sia di turismo che di spettacolo, curando i rapporti con gli Organismi internazionali, gli accordi culturali e di collaborazione turistica tra l’Italia e altri Paesi. Ho fatto parte di delegazioni ufficiali al seguito di Ministri, di commissioni miste, comitati e gruppi di lavoro e ho rappresentato l’Amministrazione a conferenze ed altri eventi internazionali in Italia e all’estero, nei vari continenti.
Attualmente sono responsabile delle relazioni internazionali e comunitarie presso il Dipartimento per lo Sviluppo e la Competitività del Turismo della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Seguo in particolare le tematiche dello sviluppo sostenibile, della gestione della qualità, del turismo sociale e culturale, della cooperazione internazionale.
E l’esperienza presso la Commissione Europea a Bruxelles? Un’esperienza durata ben sette anni…
Grazie al mio CV e a seguito di colloquio selettivo, ho effettuato un primo mandato di Esperto nazionale presso la Commissione Europea a Bruxelles, dal 1991 al 1994. Ho svolto la mia attività presso la Direzione Generale “Ambiente, Sicurezza Nucleare e Protezione Civile”, occupandomi specificamente delle strategie e delle politiche di integrazione tra turismo e ambiente.
Successivamente, sempre previa selezione, dal 2000 al 2004, ho effettuato un secondo mandato come Esperto Nazionale alla Commissione Europea, questa volta presso la Direzione Generale “Imprese”. Qui mi sono occupato in particolare delle tematiche relative al turismo sostenibile, della valorizzazione del patrimonio naturale e culturale, delle politiche di sviluppo regionale.
L’esperienza presso la Commissione Europea mi ha dato la possibilità di lavorare in un ambiente internazionale, fianco a fianco con colleghi di varia cultura e provenienza, di affinare le modalità di lavoro, di perfezionare le mie conoscenze.
Avrei avuto la possibilità di restare, ma ho preferito rientrare in Italia, dove ho conosciuto mia moglie, dalla quale ho avuto due magnifici bambini, anche perché amo vivere a Roma, che considero in assoluto la città più bella del mondo.
In sintesi, che ricordo ha del nostro Ateneo?
Ho un ricordo bellissimo, per l’atmosfera internazionale che vi si respirava, perché legato agli anni della mia formazione universitaria, perché lì ho avuto modo di studiare materie che mi piacevano e di coltivare i miei interessi culturali, ma soprattutto perché, come ho già detto, ha contribuito in maniera determinante alle scelte della mia vita.
Intervista a cura di Francesco De Sio Lazzari