XIII Congresso dell'Association Internationale de Psychomécanique du Langage. Intervista ad Alberto Manco

 

XIII Congresso dell'Association Internationale de Psychomécanique du Langage. Intervista ad Alberto Manco

"Se il linguista storico è veramente bravo, allora la teoria linguistica è a portata di mano. E forse anche la stessa linguistica teorica lo è."

Professor Manco, che cos’è la psicomeccanica del linguaggio?

La psicomeccanica del linguaggio è una teoria linguistica generale caratterizzata da particolare rigore scientifico, che gode di prestigio ed è in espansione. La sua elaborazione è dovuta alla riflessione sistematica del linguista francese Gustave Guillaume. Si basa su alcuni capisaldi, primo fra tutti quello della processualità soggiacente a qualunque operazione di pensiero; questa impostazione all'inizio non riusciva facilmente ad essere compresa perché si era legati a modelli caratterizzati da staticità. Le cose poi sono cambiate. 

Il nome, “psicomeccanica del linguaggio”, è quello che a suo tempo si è affermato, ma altre denominazioni accettate da Guillaume, sebbene non del tutto sovrapponibili all'altra, erano state “psicosistematica del linguaggio” e, infine, “linguistica di posizione”, che a mio avviso è molto efficace. In ogni caso si tratta di una teoria linguistica molto seria, organica, sistematica: non cose buttate lì come aforismi, impressive, asistematiche, misticheggianti.

Che importanza riveste la figura di Gustave Guillaume in questi studi?

Ne è stato il fondatore. Lo scoprì Antoine Meillet, massimo comparatista, che lo incoraggiò a dedicarsi alla linguistica invitandolo a seguire i suoi corsi. Guillaume lo fece e conseguì una formazione eccellente in linguistica storica e ricostruttiva, che si aggiunse così alle abilità teoriche per le quali Meillet l'aveva già a suo tempo notato e per le quali l'avrebbe un giorno presentato a Sylvain Lévi come “una delle menti più geniali d’Europa”. Meillet era profondamente colpito dalle capacità di Guillaume, e promosse la pubblicazione di opere come Le problème de l'article nel 1919 e Temps et Verbe nel 1929. In particolare questo secondo libro creò qualche turbamento ad alcuni professori un po' troppo assestati nei loro punti di vista. Ma Meillet decise che andava senz'altro pubblicato.

Ci ricorda alcune delle innovazioni introdotte da Guillaume?

Ad esempio la cronogenesi, cioè l'operazione mentale di costruzione dell'immagine-tempo; la teoria tipologica delle aree glossogeniche, per la comprensione della quale bisogna studiare la struttura reale delle lingue sulle quali essa si regge altrimenti si cade fuori dall'ambito della linguistica e questo non è opportuno che avvenga; la teoria dei modi, dei tempi e degli aspetti verbali di cui il libro Temps et Verbe è la prima testimonianza sistematica; la teoria dell’articolo, riassunta nel libro del 1919 che era pronto da qualche anno, dal 1916 per la precisione e non uscì subito a causa della guerra in corso. Le innovazioni sono numerose, e vanno anche sul piano della lessogenesi e della sintassi. Guilllaume ha concepito una teoria linguistica generale allo stesso modo in cui alcuni grandi fisici, per fare un esempio, hanno fatto nel loro campo. Si deve pensare a nomi massimi, non intermedi, per farsi un'idea della portata della sua riflessione complessiva. E uscire dalla impostazione manualistica.

Cos’è l’AIPL?

L'Association Internationale de Psychomécanique du Langage riunisce i linguisti o aspiranti tali che si riconoscono negli studi avviati da Gustave Guillaume. Ma è un'associazione che riunisce coloro che intendono avviare, aumentare, promuovere o condividere le loro competenze in maniera seria studiando anche un'altra linguistica oltre a quella che già conoscono. Può avere la sua utilità aprirsi ad altri punti di vista, e la psicomeccanica del linguaggio è un ottimo strumento per farlo.

Per quale motivo il XIII convegno dell’Associazione Internazionale di Psicomeccanica del Linguaggio è stato dedicato al tema dell’acquisizione?

Perché l’acquisizione del linguaggio è una zona fondamentale degli studi linguistici, e i testi fondativi della psicomeccanica, nonché quelli delle riflessioni degli autori delle generazioni successive, sono uno strumento prezioso per la riflessione sull’acquisizione. Del resto sono note anche le applicazioni della psicomeccanica ad alcune patologie del linguaggio.

Di cosa tratteranno i seminari organizzati collateralmente al Convegno?

Si tratta di una introduzione alla linguistica secondo la teoria generale strutturata da Gustave Guillaume. Per l'Italia è una novità assoluta e saranno condotti da colleghi stranieri di comprovata esperienza.

Se dovesse dare una sua personale definizione della linguistica, quale proporrebbe?

In termini tecnici e generali la linguistica è lo studio scientifico del linguaggio relativamente a qualunque sua manifestazione, storica e teorica. In ogni caso, se il linguista è bravo, insegnando linguistica storica riesce a insegnare anche quella teorica, e viceversa.

Un buon teorico sa che non può fare a meno di riflettere sulla storia delle manifestazioni della vicenda linguistica dell’umanità su scala generale e dell'individuo su scala particolare, e quindi lo studio delle lingue è indispensabile: questo va detto con chiarezza altrimenti non si definisce bene la distinzione con altri campi disciplinari che parlano di linguaggio potendo fare a meno di studiare le lingue. Al linguista questo non è consentito, o, detto diversamente, per il linguista questo costituisce quantomeno un limite grave.

Che importanza riveste la diacronia nello studio della lingua?

Molta. Ma la diacronia è importante anche per chi studia il linguaggio, altrimenti non si esce da un vecchio fraintendimento. Si pensi solo alla opposizione, a lungo coltivata, tra linguisti storici e teorici, alla quale in qualche modo si è già accennato. Una cosa comunque superabile, in termini scientifici, e spesso superata in certi ambienti. Poiché la lingua è in sé una teoria ben fatta, è importante riconoscere questa capacità ad alcuni grandi linguisti storici, anche dei giorni nostri e non solo del passato. In Italia tra l’altro, per quella che è la tradizione in questo campo, se ne conta sicuramente qualcuno di grande capacità. 

Come cambia la rappresentazione temporale da una lingua all’altra?

Intanto si dica che cambia, e non si tratta semplicemente del prestito di nozioni spaziali ai fini della verbalizzazione della esperienza temporale. Questo è solo un aspetto della questione, e sta a un livello molto semplice rispetto ad altri. Va piuttosto detto che ogni manifestazione linguistica avviene in un tempo mentale, sì brevissimo ma reale, e lo studio del segmento temporale nel quale essa si produce non deve essere cosa estranea alle preoccupazioni del linguista. Tra l’altro parliamo di qualcosa che richiede riscontri sperimentali, quindi la teoria qua si incrocia con il dato visibile per la gioia di chi aborrisce la prima, che deve forzare l’intelligenza nella direzione di una riflessione su ciò che non è visibile ma che pur si manifesta attraverso i suoi effetti. Bene lo sanno i fisici, tanto per fare un esempio.

Che cos’è il fonema?

Domanda che richiederebbe una risposta molto complessa. Sarebbe facile rispondere come prescritto da un qualunque manuale, e cioè che il fonema è quella unità non ulteriormente scomponibile eccetera. Ma questa risposta non basta. Il fonema piuttosto è un campo di battaglia, ben al di là delle definizioni che se ne danno. Il fonema è un abisso sul quale si sta, un abisso incommensurabile dal punto di vista storico, che ci conduce a una nostra condizione primitiva pressoché assoluta, quasi dell'ordine dell'inconcepibile almeno - appunto - nella misura in cui ha a che fare con la nostra preistoria linguistica. Se ci si rende conto di questo, allora si è tentati di abbandonare il manuale e andare liberamente alla ricerca di emozioni. Il cosiddetto fonema, da questo punto di vista, promette molto quando ridotto a oggetto di riflessione. In Italia il dibattito è stato rilanciato in anni recentissimi da un libro del professore Federico Albano Leoni che dovrebbe essere letto da chiunque. Lo si può suggerire a chi voglia capire quanto sia attuale e profonda la questione, e allo stesso modo si può suggerire di leggere il dibattito in corso su una importante rivista, “Studi e Saggi Linguistici”, diretta dai professori Romano Lazzeroni e Giovanna Marotta.
Per dare un'idea di quanto la questione sia vasta, si deve dire che intorno al fonema si può costruire la differenza stessa tra la cosiddetta “lingua” e la cosiddetta “parola”. Che poi questa costruzione riguardi soltanto l'orizzonte occidentale della riflessione sul linguaggio oppure anche altri orizzonti, direi che non è questa la sede per parlarne.

Cosa pensa dell’innatismo?

Se se ne vuole parlare e si è avvertiti anche sul piano storico-linguistico allora ci sono possibilità di fare ragionamenti ancora più completi, mentre è riduttivo volerne parlare se si trascurano le lingue storiche e gli aspetti che la riflessione sulle stesse comporta. Detto questo, si può essere innatisti nella misura minima indispensabile per non essere dei mistici di ritorno. Ma esistono molti altri ambiti di riflessione scientifica degni di rispetto. Questo è quello che penso.

Si può definire con soddisfazione e sinteticamente al tempo stesso cosa sia una parola?

Per cominciare si potrebbe rispondere prendendo il dizionario e vedere cosa significa la parola "parola", ad esempio. Ma sarebe insufficiente. Si potrebbe ricorrere a una enciclopedia di linguistica, ma sono anch'esse opere diverse tra loro. Si potrebbe ricorrere poi all'etimologia, e spiegare che c'è di mezzo un antefatto come "parabola", e così via. L’unica cosa da fare è una delimitazione della questione. In questo caso si può dire che la parola è un vettore di espressione. Naturalmente poi bisogna spiegare cos’è l’espressione, e cos’è il vettore linguistico.

È difficile fare etimologia?

Sì, è difficile, talvolta impossibile. Si tratta di una pratica spesso delusiva, perché illusiva. È questione riservata a chi può occuparsene. Certamente, tutti possono esprimere un loro parere allo stesso modo in cui al bar si parla del più e del meno su qualunque argomento, ma la ricostruzione scientifica è altra cosa. Ci sono regole e conoscenze che non possono essere aggirate.

Ma dunque che differenza c’è tra etimologia e paraetimologia?

La differenza tra etimologia e paretimologia è la stessa che c’è tra un fiore vero e uno di plastica, tra una persona perbene e una che finge di esserlo, tra un amico e un falso amico. La differenza a volte può non essere immediatamente chiara nemmeno a chi ne capisce. Spesso anche le seconde ipostasi, quelle "false", hanno la loro collocazione nel sistema complessivo della storia di quella parola, per così dire. Proprio per questo la paretimologia può far parte a pieno titolo delle complesse vie della etimologia, e deve essere tenuta nella giusta considerazione ai fini ricostruttivi quando è realmente nel sistema della vicenda linguistica di una data forma. Sia chiaro e si ripeta: quando ci è. Ad esempio, nel passaggio dall’osco al latino potevano intervenire fenomeni di ridefinizione di alcuni suoni sentiti come estranei e che dunque al tempo stesso venivano aggiustati paretimologicamente.

In Italia comunque ci sono ottimi professori ai quali rivolgere questa domanda e nel 2010 c’è stato un importante convegno sull’etimologia al quale hanno partecipato alcune voci eccellenti. Ma bisogna ricordarsi anche dei “classici”, e andarli a leggere o a rileggere. Quello italiano è un patrimonio straordinario, per la linguistica, al di là delle specifiche tradizioni, scuole, visioni.

Compresa la psicomeccanica?

Certo. Mai rinchiudersi nell'ortodossia. Come nella vita. Anche Guillaume, se può essere di conforto ricordarlo, aveva la sua vita, con dolori e gioie.

Francesca De Rosa

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