Istituto Italiano di Cultura di Tōkyō: Giorgio Amitrano è il nuovo direttore
Istituto Italiano di Cultura di Tōkyō: Giorgio Amitrano è il nuovo direttore
Giorgio Amitrano è docente di Lingua, cultura e letteratura giapponese all'Orientale.
Professore Amitrano, qual è l'interesse dei giapponesi verso la cultura italiana e qual è l'importanza dell'Istituto di Cultura per la diffusione della stessa in Giappone?
L'interesse per la cultura italiana da parte dei giapponesi è molto forte. Sono però particolarmente interessati agli aspetti più conosciuti della nostra cultura: dall'arte rinascimentale, al melodramma, ad alcune forme di Made in Italy. La funzione dell'Istituto di Cultura è quella di veicolare anche forme di cultura meno note e cercare di renderle più famose in Giappone. L'Istituto si occupa di molte cose: una delle funzioni è quella di organizzare corsi di lingua italiana, ce ne sono moltissimi e sono molto frequentati. Poi c'è anche qualche corso – non molti, ma ci sono – che riguardano altri aspetti della cultura, come i corsi di latino e di cultura. Inoltre organizza conferenze, incontri, mostre e collabora anche con l'organizzazione di eventi che si tengono in altre sedi.
Di solito chi si rivolge all'Istituto? Chi è solo un appassionato o anche chi è interessato all'Italia professionalmente?
C'è un pubblico molto variegato. Ci sono persone che hanno da anni interessi per l'Italia e li coltivano regolarmente, ci sono curiosi, ci sono persone che per esempio andranno a lavorare in Italia e allora vogliono in qualche modo entrare in contatto anche con aspetti della cultura. E poi ci sono persone che non fanno parte di queste categorie, ma sono attratte da specifici eventi, che sono particolarmente significativi o interessanti.
Che tipo di percorso dovrebbe seguire un laureato italiano per arrivare a lavorare all'Istituto?
Ci sono due tipi di lavoro che riguardano l'Istituto: le collaborazioni part-time e i lavori stabili. Questi ultimi passano attraverso il Ministeri degli Affari Esteri o si ottengono tramite concorso. Per le collaborazioni – poche in verità a causa dei vari tagli ai finanziamenti – non so ancora con quale modalità avvengano i reclutamenti.
A maggio l'Istituto di Cultura ha proposto ai giapponesi per la prima volta il teatro di Eduardo De Filippo. È un'iniziativa che si potrebbe ripetere in futuro? E potrebbe essere questa un'occasione per riportare l'attenzione del Giappone sulla nostra città magari proprio grazie al contributo dell'Istituto, come successe per esempio nel 2005 con la Japan Week?
Sì, naturalmente si spera che l'organizzazione di eventi tipo quelli del teatro di Eduardo abbiamo un'eco che vada al di là del singolo episodio e che quindi spingano le persone a conoscere meglio il mondo napoletano, la cultura napoletana. Per adesso in Giappone si ama molto la canzone napoletana classica. Però è un po' poco. Sarebbe bello che si scoprissero anche altri aspetti della cultura napoletana, anche più contemporanei, incluso quello musicale. Quindi non solo le canzoni napoletane classiche, che sono amatissime e non hanno particolare bisogno di essere incentivate o propagandate, ma per esempio musica recente come Pino Daniele, Enzo Avitabile, Almamegretta: fenomeni di musica napoletana più nuova che, anche se per noi sono già ormai un po' dei classici, in Giappone non sono sufficientemente noti.
In che modo l'Orientale ha contribuito alla formazione delle nuove generazioni di yamatologi?
Ha contribuito molto perché diversi degli yamatologi – ma si possono chiamare anche nipponisti con un termine un po' più moderno – che lavorano in varie parti d'Italia e anche del mondo si sono formati all'Orientale. Quindi è stata, ed è anche in questi anni recenti, un'ottima fucina di persone esperte nel mondo giapponese.
Che importanza ha superare il Nihongo Nōryoku Shiken per chi vuole lavorare all'estero?
È uno strumento in più. A meno che non sia richiesto espressamente in alcuni campi di lavoro, spesso è soprattutto un modo per le persone che studiano il giapponese di misurare la propria capacità e capire se il loro livello linguistico è sufficientemente avanzato. Credo però che anche un laureato dell'Orientale o di un'altra università che abbia una buona conoscenza del giapponese pur senza aver fatto il Nihongo Nōryoku Shiken possa avere ottime chance di trovare lavoro. È una cosa in più, quindi ben venga.
Franco Mazzei, in occasione di una conferenza, ha dichiarato che secondo il modo di pensare nipponico “giapponesi si nasce, non si diventa”. Questo secondo lei può essere d'ostacolo ai ragazzi che vogliono approfondire gli studi giapponesi?
Si nasce giapponesi anche essendo italiani. Ci sono dei casi di persone che sono nate in Italia, ma che hanno una vocazione spiccatamente nipponica. Credo comunque che questa particolarità valga anche per gli italiani: gli stranieri che stanno molto tempo qui acquisiscono delle abitudini, però poi ognuno conserva la propria individualità. Volendo vivere in Giappone, la cosa importante non è diventare giapponesi, ma imparare le regole di quel paese, adattarsi e saperne trarre gli aspetti migliori.
Data la sua imminente partenza, è costretto a lasciare dei progetti qui a Napoli?
Io ho concluso il mio mandato come Preside perché è finito a causa dello scioglimento delle Facoltà, quindi questo era un capitolo che si sarebbe chiuso anche senza questo incarico in Giappone. Avevo altri incarichi, come quello di coordinatore del dottorato in Asia Orientale e Meridionale, che sono arrivati a conclusione allo stesso tempo. E diciamo che ci sono sempre degli studi, delle ricerche in corso. In parte spero di continuarle con i miei colleghi napoletani anche da lontano. E quello che naturalmente non potrò fare è insegnare per qualche anno. Questo penso che mi mancherà molto. Però metterò le mie energie in altre cose.
Lei è il traduttore di alcuni tra gli scrittori giapponesi più importanti. Continuerà anche a Tōkyō il suo lavoro di traduzione o prenderà una pausa?
Non so se avrò il tempo. Devo dire che sono riuscito a continuare con le traduzioni nonostante l'incarico da Preside, nonostante tante altre cose che avevo in ballo sono andato avanti, però adesso sono anche un pochino stanco. Per cui forse approfitterò di questo cambiamento di vita per ridurre, non credo per eliminare, la mia attività come traduttore. Penso invece di continuare a scrivere, cosa che faccio ininterrottamente da molto tempo.
In questo periodo l'attenzione internazionale è allertata dallo scontro tra Cina e Giappone per le isole Senkaku. Per i giapponesi queste isole hanno solo un interesse politico-economico? A cosa potrebbe portare questa disputa?
A cosa potrebbe portare non lo so, in questo momento credo anche i maggiori analisti internazionali non potrebbero rispondere a questa domanda; ovviamente speriamo che queste tensioni non degenerino. Personalmente non credo che sia un territorio di grande importanza strategica. Adesso dicono che sarebbe importante per i giacimenti, per la possibilità di ricavarne energia, ma in realtà queste isole sono state semi dimenticate, se non completamente dimenticate, sino a poco tempo fa. Ciò che le ha riportate alla ribalta è il fatto che appartenevano a dei privati, che le hanno vendute al governo giapponese; questo ha fatto ricordare ai cinesi la loro esistenza. E questo scontro forse è più che altro un tirar fuori antichi rancori e fare per il momento una sorta di guerra di influenza di potere. Sono ovviamente anche io molto preoccupato come lo sono tutti, però mi auguro che questo conflitto non degeneri perché è inutile dire che potrebbe avere delle ripercussioni molto gravi.
La popolazione giapponese come ha affrontato questi mesi di crisi economica, arrivata tra l'altro dopo il terremoto del marzo 2011?
Tenga conto che io naturalmente fino a questo momento l'ho vissuta dall'Italia, però attraverso i telegiornali e la televisione giapponesi – che vedo regolarmente – e attraverso la lettura della stampa, la mia sensazione è che il problema della crisi economica non sia in questo momento così drammatizzato né considerato come un problema grave in maniera analoga a quello che avviene in Europa, in Spagna e in Grecia, o anche da noi. Il Giappone è in una fase molto particolare; i problemi sono tanti: si mischiano il problema del nucleare, il problema del reperimento di nuove fonti di energia, il problema di una ricostruzione dopo il terremoto particolarmente difficile e naturalmente anche la crisi economica, che però non è una novità assoluta. Il Giappone sta gestendo da tempo situazioni problematiche dal punto di vista economico e sociale.
In passato, gli studenti dell'Orientale potevano effettuare un periodo di stage all'Istituto Italiano di Cultura di Kyōto. Potrebbe esserci in futuro la stessa possibilità all'Istituto di Tōkyō?
Penso di sì. Rispondo ‘penso’ semplicemente perché, non avendo ancora preso servizio, non conosco ancora i meccanismi con cui viene gestito l'Istituto. Immagino che questa possibilità ci sia e se ci sarà ovviamente sarà utilizzabile anche per gli studenti dell'Orientale.
Francesca Ferrara - Direttore: Alberto Manco