Jasminka Domaš: Rebecca tra scrittura e musica

 

Jasminka Domaš: Rebecca tra scrittura e musica

Particolare del romanzo "Rebecca, nel profondo dell'anima", di J. Domaš

21 settembre, ore 17.45, nella sala Recanati della Comunità Ebraica di Napoli, si svolge Conversazione sul romanzo Rebecca, nel profondo dell’anima, alla presenza di Suzana Glavaš (L’Orientale), Iaia De Marco (SOB), Miriam Rebhun Gaudino (Associazione AEC di Napoli), accompagnate dal violoncello di Luca Signorini (Orchestra Teatro San Carlo di Napoli)

L’evento inizia, così come si concluderà, sulle note di una delle suite per violoncello di Bach. Le corde come filo conduttore dell’evento e del romanzo: una scrittura poetica, evocativa, in cui giocano un ruolo molto importante immagini e dimensione sonora. Siamo a Zagabria, poco prima degli anni Quaranta, e Rebecca è una giovane violoncellista che resta “scottata” dalla Shoah. Miriam Rebhun la definisce così: “Non è né una sommersa, né una salvata – citando Primo Levi – ma è stata, invece, lambita dalle fiamme dello sterminio riuscendo a sfuggire alla cattura per un colpo di fortuna, mentre l’intera famiglia – genitori, una sorella minore e la nonna – non farà ritorno dai campi”. Tutto il mondo di Rebecca cambia definitivamente: per quattro anni resterà nascosta in una soffitta, a casa di un’amica non ebrea, mentre il silenzio forzato del violoncello verrà riempito dalla meditazione e dal dialogo con Dio. La Rebhun prosegue: “Ciò che mi ha colpito è stato la lingua adoperata e l’uso dei tempi nel corso della narrazione. All’inizio pensavo ci fosse un errore di traduzione: il presente per tutte le sensazioni, il passato per le vicende? E invece...”. Mentre la dimensione percettiva è sempre pregnante, presente non solo nel suo aspetto verbale, e lascia trasparire la forza vitale di Rebecca, tutto il mondo conosciuto fino ad allora invece è ormai definitivamente passato e l’uso del tempo marca ancora di più questa distanza: l’intuizione della Rebhun viene confermata da Suzana Glavaš, traduttrice del romanzo, che ha svelato alcuni segreti relativi al suo primo incontro con il testo. “Ero a Zagabria, a casa di un’amica, e ho visto il libro su un tavolo. Non so come mai… ma senza conoscerne il contenuto, senza averlo sfogliato, senza saperne nulla, mi sono detta: Io questo libro lo tradurrò in italiano. L’ho letto nel corso della stessa notte. Una scrittura intessuta di musica… mi ha preso subito”. Per scelta della traduttrice, l’edizione italiana è sosia di quella croata, con la medesima veste grafica, anche per rispettare una particolarità dell’originale: l’uso del corsivo per richiamare ancor di più la forma di un diario interiore. “Per essere un buon traduttore” – ha proseguito la Glavaš – “è necessario essere un interprete simbiotico. Ho tradotto con passione e compenetrazione anche perché la storia di Rebecca mi ricorda quella di una delle sorelle di mia madre, medico e pianista, e delle vicende della mia famiglia durante la Shoah.” Iaia De Marco, impegnata nella supervisione alla traduzione quando era allieva della Glavaš, ha parlato delle difficoltà incontrate nel rendere un linguaggio poetico così ricco di musica, nel quale si perdono le coordinate dello spazio e del tempo in una perenne sensazione di straniamento, non necessariamente drammatica. E nella traduzione, che ha richiesto una mediazione notevole e il confronto delle due interpreti, questo senso di straniamento viene reso anche nel fluire della lingua, che a tratti sembra fermarsi, incontrando ostacoli e frizioni, necessari per rendere la tensione delle corde dell’anima della protagonista.

Azzurra Mancini

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Luca Signorini al violoncello - Suite di Bach per Violoncello solo

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