Primavere arabe e letteratura migrante: quale rapporto?
Primavere arabe e letteratura migrante: quale rapporto?
“Gli scrittori migranti sono quelli che cambiano vita e lingua, che girano il mondo e lo spazio, che trapassano i mondi. Essi accrescono la presenza della letteratura nel mondo e creolizzano le contrade dove si fermano” (Armando Gnisci)
24 novembre 2011 – Prosegue all’insegna della letteratura il Laboratorio "L'Altro: ospite o nemico? Testimonianze dal Mediterraneo in lotta", con due incontri in cui il professor Hussein Mahmoud, italianista dell’Università Elwan del Cairo, ha passato al setaccio il rapporto fra la letteratura migrante araba e le recenti rivoluzioni. O meglio, quelli che egli definisce piuttosto come tentativi di rivoluzione; processi non ancora giunti a compimento ed il cui impatto democratico ancora tarda a farsi sentire. Avvenimenti che tutti gli intellettuali del mondo arabo avevano però finito col prevedere, dopo aver osservato per anni il modo in cui gli ex dittatori hanno gestito il proprio potere, spartendolo fra i familiari, ed una volta incontrato da vicino la povertà e l’ignoranza diffuse fra la popolazione. Neppure gli scrittori emigrati sono rimasti insensibili a quanto accadeva nei loro paesi. Molti di essi hanno svolto un ruolo fondamentale in quella che nella loro lingua madre chiamano Rabi’ya: hanno diffuso valori come libertà e diritti umani di base, superando i blocchi e la censura dei regimi già prima delle sommosse, con scambi di informazioni che avvenivano attraverso il contatto diretto coi familiari e gli amici in occasione delle vacanze sacre del Ramadan, o, una volta scoppiati i primi fuochi delle proteste, intervenendo come ospiti in programmi televisivi come la BBC arabic, essendo stata loro tolta la possibilità di comunicare attraverso internet o telefoni. Interlocutori forti, ben formati, ma soprattutto, informati. Diversamente dalla maggior parte dei giornalisti. La scrittrice Zaynab Naini ha commentato così l’impatto avuto da questi avvenimenti sugli arabi presenti in Italia: “Dal 14 gennaio, la vita emarginata di noi maghrebini, stranieri, nordafricani, extracomunitari, spazzini, universitari, operai è dottori è svanita al grido di Rivoluzione! Mi danno pacche sulle spalle, incrociando il mio velo per strada mi sorridono e mi gridano Resistete! Le nostre bandiere non sono più simbolo di inciviltà e terrorismo… persino il nostro essere musulmani passa in secondo piano. Saremo ricordati come i primi rivoluzionari del secondo millennio; ma i nostri popoli, non noi: io non ho fatto la storia. Ho speso un’ora al giorno della mia vita guardando il mio popolo che faceva la rivoluzione. Io non ho fatto la storia del mio popolo arabo, ma sono ancora in tempo a fare la storia del mio popolo italiano”. Parole di una verità sconvolgente, che ci fanno rendere conto di quanto cambiata sia la nostra società; di quanto meravigliosamente varia sia diventata. I cosiddetti “stranieri” si sono inseriti nel tessuto sociale italiano, arricchendolo in ogni suo settore; creolizzando soprattutto il tessuto culturale. Abbiamo sociologi, antropologi, giornalisti e anche politici, come Magdi Allam, Khaled Fouad Allam e Mahmoud Salem Al-Sheikh, membro dell’Accademia della Crusca. Gli scrittori migranti in Italia, poi, costituiscono un numero molto più alto di quanto non si pensi, per un totale di cinquantadue, con centotrentuno opere: sedici marocchini, sette algerini, sette iraqeni, sette somali, quattro egiziani, due algerini, tre palestinesi. La maggior parte di essi ha mantenuto la propria lingua d’origine e, specie nel caso degli egiziani, è molto frequente il ricorso al dialetto; segno di un legame ancora forte con la propria terra. Non è raro trovare anche opere in lingua italiana e che hanno ricevuto anche una buona risposta di pubblico, mettendo a punto una poetica nella quale centrale è il ruolo innovativo delle scritture nate dall’incontro di mondi e lingue diverse – un fatto che lo stesso Camilleri invita a prendere seriamente in considerazione –, ma fondamentale il ruolo del processo di “decolonizzazione europea”. È quello che Armando Gnisci ha chiamato “il rovescio del gioco”. Le primavere arabe hanno creato terreno fertile per l’integrazione e che i tassi d’immigrazioni si alzino o si abbassino poco importa, in verità: c’è chi ha già deciso di rimanere e di costruire un futuro non soltanto per se stesso, ma anche per la sua nuova patria. Non resta che dargliene la possibilità.
Annamaria Bianco
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