Seminario Arte e nuove tecnologie: Maria De Vivo parla di Bioma

 

Seminario Arte e nuove tecnologie: Maria De Vivo parla di Bioma

Un momento dell'incontro

L'installazione di Piero Gilardi raccontata da Maria De Vivo: l'incontro tra arte, natura e tecnologie come percorso di ricerca etica. Intervistata dal Web Magazine per l'occasione, Elena Tavani descrive il taglio del seminario

24 aprile 2013, Università degli studi di Napoli “L'Orientale” – Nell'ambito del seminario dal titolo “Arte e nuove tecnologie: il tempo e i luoghi”, organizzato da Elena Tavani, docente di Estetica all'Orientale, Maria De Vivo, docente di Storia dell'arte contemporanea, ha parlato di arte, tecnologia e ambiente attraverso l'opera di Piero Gilardi.
Al centro dell'incontro, Bioma: un ambiente interattivo realizzato da un gruppo di lavoro di cui fa parte Pietro Gilardi – composto da architetti del paesaggio, esperti di musica elettronica, artisti, esperti di informatica e di altri settori – installato a Torino dal 2004 al 2008 all'interno del PAD (Parco d'Arte Vivente). Il Parco, come affermato da De Vivo: “Non è un giardino d'artista, né un parco di sculture all'aperto, né può essere definito museo...” e la sua eccezionalità è esemplificata dall'aggettivo vivente, sia perché la mission di questo luogo è in costante evoluzione sia perché è dedicato alla bio-arte e all'incontro tra natura e tecnologia.
Dopo aver parlato brevemente del Parco, De Vivo si è concentrata sui precedenti lavori di Gilardi: la rilevanza di Bioma, infatti, è da cercarsi sia nella centralità che assume nell'intero percorso dell'artista sia all'interno del PAV, un presidio in cui i convivono arte, natura e scienza. Osservando il percorso artistico e teorico di Gilardi è possibile rintracciare l'antecedente più lontano di Bioma e capire più a fondo quanto è sotteso a questa opera.

Pietro Gilardi inizia la propria attività a 22 anni, nel 1963, con una mostra dal titolo “Macchine per il futuro”: un progetto urbanistico-architettonico per una società cibernetica pacificata da ogni conflitto umano. Come ricordato da De Vivo, l'artista è mosso da una passione tanto estetica quanto etica, e lo afferma chiaramente: “Pensavo che l'ambito cognitivo fosse una via d'uscita da questa violenza endemica, per rifondare il patto sociale”. Tra queste macchine, Gilardi individua le matrici più fortunate dei suoi futuri lavori, i Tappeti natura: piccoli rettangoli realizzati in gommapiuma con cui l'artista ricrea parti di natura per raggiungere un impressionante effetto di realtà. Dal 1969 al 1981 l'artista attraversa un periodo di contestazione dell'arte stessa, interrompendo la propria produzione per dedicarsi esclusivamente al versante teorico, con la scrittura e con l'organizzazione di mostre. Nel corso degli anni Settanta lavora molto con il teatro di strada e con il living theatre, impegnandosi a creare atmosfere ludiche e festose che diventano un momento di liberazione, di incontro e di riconoscimento empatico tra le persone, per catalizzare le forme di disobbedienza civile e politica affondando le radici in una dimensione popolare della cultura. Ed è in questo momento che affiorano quegli elementi che lo faranno passare da un'arte collettiva ad un'arte interazionale. Giungiamo così alla metà degli anni Ottanta, periodo in cui Gilardi si occuperà della possibilità di invertire le tecnologie. In quegli anni, infatti, la FIAT licenzia più di 24000 dipendenti – come ricordato da De Vivo, siamo in un clima post-fordista, e la macchina sta sostituendo l'uomo nella catena di montaggio – e Gilardi immagina una forma di “omeopatia” positiva: se la tecnologia è il veleno, è l'utilizzo dal basso che consente di recuperare un rapporto corretto con le tecnologie. Mentre lo scienziato è quello che promuove conoscenze, l'artista consente una loro simbolizzazione, ed è l'incontro tra queste due figure che consente questa triangolazione tra arte, natura e scienza.

Bioma rappresenta, in sintesi, un luogo in cui confluiscono tutte queste pulsioni, un ambiente in cui si uniscono biosfera e antroposfera e con cui si allude alla dimensione globale del vivente. Il nome stesso fa riferimento tanto all'ambiente interno quanto alla struttura che lo ospita: una struttura ottagonale, semi-ipogea, che si sviluppa anche nel sottosuolo. Per Gilardi, un luogo che porta ad un percorso iniziatico tra natura e tecnologia e che sembra ribaltare il concetto stesso di architettura recuperando, per sottrazione, il rapporto con la terra madre. All'interno di Bioma, diversi micro-ambienti dedicati a numerosi temi, tra cui Essenze Odorose, Mutazioni Vegetali, Suoni Mutevoli ed Energie Invisibili, per citarne alcuni. Ognuno di questi ambienti presenta più elementi con cui fare esperienza diretta della natura che poi viene modificata, di volta in volta, grazie all'interazione con le macchine: l'esperienza individuale con i diversi elementi naturali presenti nell'ambiente viene sviluppata con logaritmi biometrici modificandosi automaticamente e dando un risultato diverso per ogni fruitore. Come sottolineato da De Vivo, è proprio il rapporto che si viene a creare tra le diverse scelte degli elementi operate dai singoli individui nei diversi ambienti e la loro modificazione, sempre particolare, a puntare alla responsabilità etica dell'uomo verso la natura, un rapporto che Gilardi definisce co-evolvente, riprendendo una formulazione di Maturana e Varela. Per l'artista, quindi, le tecnologie interattive vanno usate con questo senso di grande responsabilità sociale e l'esperienza ludica riesce ad avere sempre allo sfondo un concept di responsabilità etica: un passaggio che rimanda ad altre attività e alla riflessione sui rapporti che si instaurano tra uomo, macchina e ambiente.
Nonostante la chiarezza e i numerosi dettagli forniti, come ricordato più volte da De Vivo, è davvero difficile poter spiegare, con le parole, ciò che può essere soltanto esperito: il modo migliore per conoscere Bioma, quindi, è quello di viverlo e percorrerlo alla ricerca di nuove forme di esperienza consapevole.

In occasione dell'incontro, il Web Magazine d'Ateneo ha intervistato l'organizzatrice, Elena Tavani.

Professoressa, quali sono i motivi che l'hanno spinta ad organizzare questo seminario dal titolo “Arte e nuove tecnologie: il tempo e i luoghi”?

Il titolo del seminario è “Arte e nuove tecnologie” e il perché è occasionale, nel senso in cui è una tematica che fa parte della mia ricerca. Da alcuni anni, infatti, dedico qualche attenzione agli aspetti estetici – sia emotivi sia percettivi – della fruizione di fenomeni che riguardano i media, i vecchi ma soprattutto i nuovi media, e in particolar modo, dei fenomeni artistici. Quella dell'arte e delle nuove tecnologie è una frontiera in continuo movimento che merita di essere osservata. Per questo il seminario si avvale di contributi molto diversi, come è accaduto in questa occasione con Maria De Vivo.
Contributi di filosofi e di esperti di estetica, più vicini alla mia disciplina, ma anche sociologi come Stefano Cristante e Tiziana Terranova, che insegna nel nostro Ateneo, e che si occupano principalmente di questioni legate ai media. E, ancora – facendo una breve rassegna degli appuntamenti – ci sarà un collega dell'Orientale, Fabio Amato, geografo, che si concentrerà sulla dimensione spaziale nel senso della geografia umana: gli ho chiesto di parlare, ad esempio, anche di arte pubblica e del rapporto che si intrattiene con la città. Antonio Somaini, che insegna a Paris III, parlerà dell'alta e bassa definizione dell'arte contemporanea, in cui il riferimento ai nuovi media è evidente. Valentina Valentini, invece, nel precedente incontro, ha parlato di Studio Azzurro e di Bill Viola – lei è tra i massimi esperti per la video-arte in ambito non solo nazionale – aiutandoci a capire come le tecnologie non servono all'arte, ma piuttosto si incontrano con essa.
Questo il tema che mi interessa più di altri: nonostante tutto, nonostante i pericoli dell'anestetizzazione, nonostante il fatto che siamo presi da un sistema che ci vede spesso come “azionati” più che come protagonisti, attraverso gli esperimenti più avvertiti, ovvero quelli capaci di relazionarsi con le nuove tecnologie, l'arte mostra di essere un territorio nel quale i mezzi possono essere provocati, tutti i mezzi, compresi i nuovi media digitali, e sono chiamati a rispondere secondo delle esigenze che poniamo. E questa mi sembra una chiave di lettura che in un immediato futuro può essere utile.
Per quanto riguarda il perché de “il tempo e i luoghi”, l'appendice al titolo del seminario, la spiegazione è la seguente. Il tempo, secondo me, è il grande protagonista che viene chiamato in causa, e non in senso plurale, perché si riconfigura propriamente come una nuova modalità. Storicamente, nella riflessione filosofica, è la dimensione più soggettiva dell'esperienza, mentre gli spazi sono quelli che sono: se, per esempio, faccio le scale velocemente e penso a qualcosa, non mi accorgo di essere arrivata al quarto piano; sto parlando di una discesa più che di una salita. Ecco, questa dimensione del tempo si sta modificando, e quello dei nuovi media sta diventando spesso un tempo oggettivo. Ho voluto chiedere a questi colleghi qualche tassello per capire se questa ipotesi si può validare o meno.
Infine i luoghi. I luoghi che sono multipli e molteplici, compresi quelli rappresentati dai punti di vista con cui si guarda ai fenomeni. L'intento del seminario è anche quello di dar voce a molti punti di vista, anche a colleghi che lavorano in diverse realtà, sia in Italia sia all'estero, come accadrà nel prossimo incontro con un collega, Dario Giugliano, che interverrà su questioni naturalmente legate al tema del seminario ma che lavora all'Accademia di Belle Arti di Napoli, un'altra realtà napoletana che fa sentire il proprio punto di vista.

Autore: Azzurra Mancini - Direttore: Alberto Manco

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