Al chiaro di luna
Al chiaro di luna
Quarta proiezione all’interno della rassegna di cinema iraniano all’Orientale
Napoli, 6 maggio 2010 – Continua al V piano di palazzo del Mediterraneo (CILA), il ciclo di incontri sulla storia della cinematografia persiana tra teoria e prassi visiva.
Sono ancora degli anni '60 i primi nati dal movimento filmico-editoriale iraniano. A onor del vero, primi tentativi d’una qualche associazione culturale a promozione delle nascenti produzioni festivaliere sono già da attribuire al decennio precedente; ma, è uno sforzo che nella retrodatazione comunque non fa di loro dei precursori nel campo delle pubblicazioni.
I primi accenni relativi alla critica cinematografica – in Turchia, in Egitto, ecc. – risalgono già ai primi anni del '900, praticamente ai tempi della luna col binocolo di Méliès. In Iraq, a rischio di essere noiosi, la stampa non eccedeva esattamente in popolarità e qualità a causa della sempreverde censura che non arricchiva se non in scarsa esperienza e latente consapevolezza professionale. Siamo nel 1951 quando viene riconosciuto a Farrokh Ghaffâri – regista del pluricensurato Jonub-e shahr (Il sud della città) – il primo contributo alla storia del cinema iraniano.
Sarà l’Accademia d’Arti Drammatiche a fornire, dal 1963 in poi, alla società culturale iraniana i primi esperti del settore. Ė nel 1964 invece che si costituisce il Kânun (Istituto per lo sviluppo intellettuale dei bambini e degli adolescenti) che, considerate le finalità dichiaratamente educativo-pedagogiche, è da considerarsi vera e propria creatività in vena, seppur di matrice statale!
Dal 1960 (la Nouvelle Vogue del neo-realismo d’eredità italiana) al ventennio successivo, anche l’Iran produrrà le prime riviste, il primo Festival Internazionale di Film per Bambini, il Fajr International FilmFestival, attualmente il più importante evento del settore che ricade ogni anno nel mese di febbraio a Teheran, in occasione dell'anniversario della rivoluzione iraniana del '79.
Negli anni '70, quando la censura era forse un po’ più permissiva, i palazzi diventavano più alti e le gonne più corte, non era comunque di povertà e di disagi che si poteva discutere. La politica di modernizzazione voluta dallo shâh Mohammad Reza Pahlavi (la c.d. Rivoluzione Bianca) aveva come obiettivo unico quello di trasmettere l’immagine di un Iran sviluppato e al passo con l’occidentalizzazione. Il linguaggio simbolico-metaforico che ne deriverà se da una parte servirà ad aggirare gran parte della censura, dall’altra allontanerà il pubblico dalle sale impegnate, che – per reazione speculare e minor affaticamento intellettuale – affollerà quelle commerciali.
Nell’estate del 1978 circa 430 persone persero la vita a causa di un incendio scoppiato all'interno del cinema Rex, nella città di Abadan. Le sommosse seguite alla strage – attribuita allo Scià – e culminate nel massacro di Piazza Djaleh a Teheran, sfociarono in rivolta nel settembre dello stesso anno, fino al marzo del 1979 – anno che sancì la nascita della Repubblica Islamica dell’Iran.
Delle 400 sale, 180 venne distrutte e molte altre adattate a prigioni e magazzini agricoli, al fine di limitare ogni forma di corruzione occidentale.
Il film di oggi è Zir-e nur-e maâh (Al chiaro di luna) di Rezâ Mir Karimi, Premio della Critica al Festival Cannes nel 2001 e Premio Speciale al 19° Festival Fajr. La semplicità della struttura narrativa non distoglie l’attenzione dal particolarissimo e nuovo approccio alla religiosità che il film vuole ispirare. Tra modernità e tradizione, il tempo dell’azione e della vita di Seyed – aspirante mullah – ruota intorno al secolare tema del viaggio, contestualizzato ora alla ricerca di quegli aspetti dell’Iran contemporaneo da criticare o solo approfondire. La metro e il vestito da mullah: se da una parte il furto ricadrà come un segno nella testa dell’indeciso Seyed ("la carriera religiosa non è né per deboli né per chi desidera successo materiale"), dall’altra, la riconsegna della stoffa da parte della ragazza suicida salvata dal giovane, servirà a spogliare il destino del protagonista da ogni dubbio, generato anche – com’è tipico nelle società patriarcali – per influenza ed eredità legittima paterna. Su di una panchina di un riformatorio, con i vestiti della scelta, "quelli di un lavoro come un altro", il mullah Seyed è ora lui a predire al piccolo ladro un futuro migliore. Per tutti e due.
Claudia Cacace