Alex Di Nocera: grammatica e sintassi del fumetto

 

Alex Di Nocera: grammatica e sintassi del fumetto

Copertina del libro di Alessandro Di Nocera

L'attenzione alle convenzioni grammaticali e sintattiche, l'analisi del doppio codice grafico-letterario e testuale. La cura dell'insegnamento

Alessandro Di Nocera, su cosa verte il suo intervento alle Giornate di studio dedicate a “Graphic novel e comunicazione” che si terranno all’Orientale dal 3 al 7 maggio?

“Il mio intervento sarà incentrato sull’evoluzione del linguaggio fumettistico, delle convenzioni grammaticali e sintattiche che lo regolano, dei vari stili di disegno, delle divisioni in vignette, fino ad arrivare ai fumetti sul web con le loro caratteristiche”.

Secondo lei quali e quante dimensioni è in grado di creare il fumetto?

“Il fumetto è un medium estremamente duttile. Un paradosso che lo riguarda sta nel fatto che quando era all’apice del successo era poco compreso ora che invece è meno diffuso l’impatto linguistico di questo tipo di linguaggio ha sviluppato un suo potenziale ed è stato finalmente accettato in ambito accademico ”.

Lei ha insegnato nelle scuole d'istruzione superiore utilizzando tecniche da lei definite poco ortodosse. Ci racconti più nello specifico cosa ha rappresentato l’insegnamento per lei e in cosa consistono le sue tecniche di insegnamento.

“Io ho usato il fumetto come chiave di volta per cercare un modo diverso di fare cultura. Il fumetto è molto duttile, è piacevole per certi versi ma comporta anche uno sforzo d’ingresso e comprensione perché si fonda su due codici: 1) grafico-letterario, 2) testuale. Per queste ragioni gli studenti talvolta si trovano in difficoltà di fronte a questo tipo di linguaggio. Ci sono persone che non riescono a seguire la scansione delle sequenze del fumetto, questo denota le caratteristiche complesse della cosiddetta arte sequenziale. Alcuni studenti sono riusciti a capire che comunicare attraverso questo medium aiuta a scardinare le convenzioni tipiche della scuola italiana. Pensare che i sistemi comunicativi possano essere più complessi, che molti autori di fumetti abbiano parodiato a volte opere importanti come i Promessi Sposi, la Divina Commedia o addirittura Alla ricerca del tempo perduto aiuta a svecchiare l’esperienza pregressa per aprire un nuovo orizzonte nell’immaginario e affrontare autori considerati, a torto, obsoleti.”

Quanto influisce la personalità del fumettista sui contenuti pubblicati.

“Esistono vari approcci editoriali: Sergio Bonelli Editore – ma è solo un esempio – ha un forte controllo editoriale sugli autori che devono rispettare le linee all’interno di certi canoni. Poi ci sono autori che invece si muovono in sfere personali ed autonome e quindi abbiamo autori come Andrea Pazienza che, con le sue storie dirompenti e sperimentazioni, ha sovvertito le regole stimolando l’immaginazione del lettore e indirizzandolo altrove. Questa tipologia di autore segue un proprio percorso, la propria personalità si mostra in maniera molto forte, condizionando e provocando il lettore”.

Fumetto, graphic novel, graphic journalism: quali le differenze?

“Questa è una questione che sta interessando gli autori del settore. Tra fumetto e graphic novel non esiste, di fatto, nessuna differenza. Di solito il termine fumetto è generalmente visto in senso dispregiativo mentre il termine graphic novel è usato spesso dai giornalisti perché è più glamour. Si tratta di un termine emerso alla fine degli anni Settanta e tende, generalmente e discutibilmente, a caratterizzare un lavoro realizzato non per la massa bensì con caratteristiche più intellettuali e più sofisticate. Il graphic journalism rappresenta un aspetto del fumetto, è un vero e proprio reportage giornalistico. Tra i tentativi più riusciti sono da evidenziare quelli dell’americano Joe Sacco che ha usato in modo dirompente il fumetto per parlare di questioni di attualità. Tra i lavori più recenti ricordiamo quelli del giornalista e sceneggiatore Marco Rizzo dedicati a Ilaria Alpi, a Peppino Impastato, a Mauro Rostagno e al ciclista Marco Pantani.”

Graphic novel: cosa rappresenta per lei?

“Ripeto: nulla di differente dal fumetto in generale. Nelle accezioni che oggi vanno di moda, mentre con il termine 'fumetto' si definiscono i lavori diretti alla serialità di ampio consumo, il graphic novel dovrebbe essere qualcosa di più sofisticato, più vicino alla 'dignità' della letteratura. Il termine 'graphic novel' è oggetto di una querelle: non sono pochi gli autori e i critici che confeririscono a questo termine una valenza chic e spocchiosa.”

Ci fa un esempio di comunicazione, a suo parere ben riuscita, attraverso il fumetto?

Maus, un graphic novel di Art Spiegelman, vincitore del premio Pulitzer, ambientato durante la seconda guerra mondiale ed incentrato sulla tragedia dell'Olocausto, sulla base dei racconti del padre dell'autore, un sopravvissuto ad Auschwitz. I personaggi dell'opera sono rappresentati non in forma umana, bensì in quella animale, che caratterizza la loro posizione sociale, secondo una serie di metafore; per esempio, i protagonisti, gli ebrei perseguitati, sono rappresentati da dei topi , e sono contrapposti ai nazisti dipinti come gatti. Questo tipo di comunicazione si è rivelata estremamente efficace ed ha mostrato come il fumetto sia in grado di esporre un argomento delicato e di spessore come quello della Shoah. Un altro esempio può essere Sin City di Frank Miller, una serie che ancora ora detta legge nell’estetica delle pubblicità”.

Come è cambiata la percezione del fumetto negli ultimi cinquant'anni? E i suoi contenuti?

“Il fumetto è una forma d’arte popolare che nasce in contemporanea con lo sviluppo delle metropoli, è una forma comunicativa aperta alla massa. Nel momento in cui la gente lo accettò, ci fu una resistenza da parte della cultura alta. Poi, negli anni Sessanta, alcuni illuminati – Umberto Eco, Oreste del Buono, Cesare Zavattini, ecc. – incominciarono a individuarne e a teorizzarne le potenzialità comunicative circa l’approccio al medium. Poi il fumetto perse il suo appeal immediato a favore dei new media. Solo recentemente c’è stata una rinnovata, molto forte, valutazione critica che ne inquadra le caratteristiche pregnanti”.

Qual è per lei il lettore ideale di fumetti?

“Non c’è una definizione un il fruitore ideale del fumetto , così come per qualsiasi altra forma di comunicazione”.

Ci sono temi che si prestano meglio o peggio al racconto tramite il fumetto? Se sì quali?

“Per le loro caratteristiche ci sono medium che si prestano meglio ad alcune tematiche, il fumetto può trattarle un po’ tutte. All’inizio era più votato all’avventura e all’azione poi negli anni Sessanta si è passati a tematiche più intimiste e minimali. Il gusto del cloro del giovanissimo Bastien Vivès – pubblicato con grande riscontro di critica da Black Velvet – né è proprio un esempio con lunghe vignette che si susseguono attorno al bordo di una piscina senza che si verifichi alcuna azione, se non psicologica”.

La costruzione dell'immaginario del lettore è “guidata” nel fumetto dalle immagini (anche sonore) che fanno da contesto alla scena. In questo senso, rispetto ad un romanzo o racconto scritto “tradizionale”, nella trasposizione da una lingua ad un altra c'è una parte del racconto (una parte fondamentale) che resta immutata. Rispetto all'immediatezza delle immagini, quanto contano le parole nel fumetto?

“Il fumetto nasce come un ibrido tra testi scritti ed immagine. Man mano è poi diventata un’arte sequenziale, una narrazione basata sul susseguirsi di vignette non necessariamente contenenti testo, l’attenzione richiesta dal lettore è dettata dalle caratteristiche del fumetto. Se non c’è il testo, il lettore deve integrare le informazioni mancanti operando un passaggio con una closure. Il fumetto talvolta richiede uno sforzo logico molto alto. Il regista cinematografico Alain Resnais diceva: «Quando non sono stanco preferisco dedicarmi ad un buon fumetto in caso contrario preferisco un volume di letteratura». Ciò mette in evidenza lo sforzo necessario per accostarsi al medium a dispetto di ciò che si pensava una volta. L’ immagine come 'appoggio' non impigrisce la lettura anzi, viene richiesta al lettore un’ interpretazione e un’ integrazione di linguaggi”.

Quali sono secondo lei le motivazioni della minore (o tarda) attenzione rivolta a questo genere nell'ambito degli studi letterari e accademici in generale?

“Il fumetto era considerato uno strumento volgare, aperto a tutti, l’ibridazione dei linguaggi era vista come un qualcosa di negativo, il fumetto era inviso alle culture elitarie. Quando poi è stata accettata e, per certi versi, 'codificata', attraverso le evoluzioni critiche contemporanee,l’importanza, la pregnanza, la necessità vitale delle contaminazioni, il fumetto è subito diventato degno di alta considerazione.”

Qual è il suo fumetto preferito?

“Non ho un fumetto preferito, sicuramente ci sono autori che mi interessano per il loro modo di usare il linguaggio. Per esempio Alan Moore con Watchmen ha determinato un salto di qualità nell’evoluzione del fumetto. Ultimamente sto andando a ritroso apprezzando ciò che non riuscivo a valutare meglio prima: le opere di Alex Raymond, di Milton Caniff, di Will Eisner, di Harvey Kurtzman e così via. Questo prova, per fortuna, anche una maturità diversa e una rinnovata voglia di esplorazione”.

Ha mai letto un fumetto in lingua straniera? Qual è la bellezza della lettura in lingua originale, quali le perdite nella trasposizione in un'altra lingua e dunque cultura?

“Per mia grande fortuna riesco a leggere in quattro lingue: italiano, inglese, francese e spagnolo. Il problema della traduzione del testo è lo stesso che si riscontra anche in letteratura. A volte si ha la fortuna di disporre di traduzioni pressoché perfette: quella più nota è la traduzione di Asterix in cui – grazie all’estro dell’umorista Marcello Marchesi – sono stati resi tutti i sofisticati giochi di parole di René Goscinny. Un problema caratteristico è invece rappresentato dalla necessità di far entrare il testo tradotto all’interno delle didascalie e dei ballon: per questo motivo, talvolta, i traduttori sono costretti – onde permettere al letterista di eseguire il suo lavoro – a 'stringere' fin troppo le loro traduzioni.”

Quale ruolo ha o può avere il fumetto nella mediazione interculturale, anche considerando la sua vasta circolazione?

“La risposta è nella domanda stessa. La forza iconica delle immagini aiuta lo scambio culturale. Ci sono autori che sono in grado di colpire il lettore aldilà del testo. Si può leggere il fumetto nipponico Akira e cercare di seguirlo anche non comprendendo il giapponese, esaltati solamente dalla sua forza esplosiva in termini di scansione e segno grafico. Esistono poi fumetti di qualsiasi nazionalità in cui non si ricorre al testo ma solo alle immagini.”

Cosa consiglierebbe di fare a un giovane che aspira a diventare un fumettista?

“Dipende. Se vuole fare lo sceneggiatore deve saper scrivere, coltivare l’inventiva. La creatività è un muscolo, immaginare anche senza ispirazione deve essere un lavoro costante e faticoso. Il disegnatore invece non è solo un illustratore, ci sono tante difficoltà: una tra tante è, ad esempio, il riprendere volti, corpi, oggetti, figure da una vignetta all’altra. Il disegnatore deve essere anche un regista. Un buon fumettista deve saper individuare gli autori di riferimento, deve capire il linguaggio da adoperare, capire l’operato di chi l’ha preceduto nel tempo, capire perché un certo tipo di linguaggio ha o non ha funzionato. Si tratta di un mestiere molto faticoso ma che può dare davvero – a costo, però di gavette spesso lunghissime – molte soddisfazioni”.

Raffaella Sbrescia

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