Algeria: rivoluzione mancata?
Algeria: rivoluzione mancata?
La storia algerina fra repressioni e movimenti di rinnovamento. Ancora una riflessione sulla primavera araba all'Orientale
17 dicembre 2011 – Perché l’Algeria non sembra essere stata toccata dal vento di rinnovamento che ha investito gli altri Paesi del Nordafrica nel corso dell’ultimo anno? In cosa è diversa questa terra? In cosa sono diversi i suoi abitanti? Malika Akbi, nell’ambito del Laboratorio “L’altro, ospite o nemico? Testimonianze dal Mediterraneo in lotta”, ha condotto il pubblico attraverso la sua storia postcoloniale, ripercorrendone le tappe fondamentali: l’indipendenza dai Francesi del 1962, ottenuta dopo anni di dura lotta, guidata dal FNL; l’istituzione della Repubblica Popolare Algerina, con l’ascesa al potere dei militari, in un contesto dittatoriale accettato fino al 1985, quando la caduta del prezzo del petrolio ha causato una spaventosa ondata di disoccupazione ed un clima di crisi sociale, sfociato in una serie di sommosse represse duramente. Ci sono voluti 500 morti perché il regime decidesse di ascoltare le rivendicazioni del popolo, nell’89, anno in cui fu permessa la creazione di nuovi partiti, redatta una nuova Costituzione e diffusa una certa libertà di stampa, con la fondazione del giornale “El-Watan”. Sono stati questi eventi ad essere percepiti come una vera e propria rivoluzione nella memoria collettiva; quelli che ancora oggi gli Algerini ricordano con orgoglio, affermando di aver anticipato Tunisia, Egitto e Libia nella ribellione ai propri governi. Eventi che, tuttavia, vengono ricordati anche con terrore: con la nascita del FIS, il partito islamico, e la sua vittoria al primo turno delle elezioni, annullata dal Governo, scoppiò la guerra civile. I gruppi islamisti che erano scampati alle persecuzioni e al carcere formarono delle cellule estremiste, fra cui il GIA, che dichiararono guerra allo Stato e alla popolazione civile troppo occidentalizzata, lacerando il paese con gli attentati e disseminando un clima di terrore. L’Algeria si ritrovò in uno stato di vero e proprio isolamento, che vide la fuga degli stranieri e degli autctoni, mentre il Governo reagiva all’offensiva. Questi anni, che vanno dal 1992 al 2002, vengono ancora ricordati come “il decennio nero”; un trauma da cui la maggior parte della gente non sembra ancora essersi liberata. È stata la paura del caos, infatti, a impedire che il paese si sollevasse nuovamente contro il regime, e la Akbi ha ricordato come qualche eco delle primavere arabe, dopotutto, abbia comunque raggiunto alcune frange della popolazione: si tratta soprattutto delle nuove generazioni, giovani con coscienza sociale e politica. Per l’occasione sono state ripescate le loro voci dagli archivi online di Alger Nouvelle Génération, una serie di interviste realizzate da alcune giornaliste francesi per France Inter, tre mesi dopo le rivolte tunisine ed egiziane. Importanti alcune testimonianze: quella di Sophiane, che a 22 anni ha smesso di studiare per dedicarsi alla politica creando “Le mouvement de la jeunesse independente pour le changement”; di Amel, che lavora in una libreria militante; Younès, blogger che ha dato vita alla pagina Facebook “Les envoyés spéciaux algeriens”; e Taher, un disoccupato del Sud che ha creato un comitato col quale va a manifestare ad Algeri ogni domenica. Le loro voci coraggiose hanno denunciato i veri mali della loro società: la mancanza di audacia e la mancanza di una vera politica, che possa agitare le acque. Loro, almeno, hanno cominciato a smuoverle. Forse, se “la primavera è stata araba, l’estate sarà algerina”.
Annamaria Bianco