Amore, amore!, una virgola fra Italia e Germania
Amore, amore!, una virgola fra Italia e Germania
L’Orientale ha ospitato la presentazione dell’ultimo libro di Maria Carmen Morese, direttrice del Goethe Institut di Napoli
“Ti sei mai accorta che ripeti sempre la stessa frase? ‘Sii serio per favore, sii serio per favore’. Carissima, l’amore è anche un gioco”.
Il corsivo della citazione – qui proposta in una traduzione estemporanea – restituisce la forma tipografica originale: nel romanzo Amore, amore! la lingua italiana viene a galla solo qua e là, appunto in corsivo, in un reticolo di tracce espressive disseminate fra dialoghi e narrazione; ma il libro, pubblicato in Germania da Ullstein, è scritto in tedesco e pensato in origine per un lettore tedesco. Il quale si ritrova ad inciampare di continuo fra modi di dire, locuzioni, proverbi ed espressioni dialettali tipici della nostra lingua e rappresentativi di piccoli scorci della nostra cultura. Al pubblico tedesco è offerta una traduzione letterale, volta per volta, che mentre svela l’intraducibilità di fondo di molte espressioni fisse e localizzate suscita immediatamente divertimento durante la lettura. Una traduzione in italiano di questo romanzo sarebbe dunque problematica, e non è ancora prevista, anche perché il mercato editoriale nostrano ha un bacino d’utenza diverso e sicuramente meno attivo rispetto a quello messo in moto dai lettori in Germania, dove il libro ha venduto ben 27.000 copie.
La prospettiva è focalizzata intorno ad una protagonista femminile, Valeria Fest, nata in Germania da padre tedesco e madre napoletana trapiantata all’estero da giovane. Valeria lavora ad Amburgo nella redazione di una rivista, ma in seguito a un trauma sentimentale decide di lasciare per un po’ il suo paese e far visita ai parenti di Napoli. Dal suo racconto in prima persona nasce un confronto costante Germania-Italia, che si articola su diversi piani sovrapposti: linguistico, antropologico, etnologico, sociopsicologico. Con la lingua come impronta di un’identità culturale, viene fuori talvolta anche la specificità napoletana. Attraverso lo sguardo colto, consapevole e acuto di una giovane giornalista, si rilevano in questo romanzo anche riscontri su Napoli stessa: la protagonista vi si ritrova proprio nel momento “caldo” di questi ultimi anni, in cui è emersa di fronte all’opinione pubblica internazionale la piaga della camorra, e in cui la città affonda nell’emergenza della spazzatura, anch’essa ben nota al di là dei nostri confini e appunto in Germania, paese molto sensibile sia alla legalità che ai problemi ambientali. Ma l’attualità è solo una piccola parte dello sfondo: il romanzo è prima di tutto un romanzo d’indagine socio-antropologica, in grado di reggersi costantemente su toni disimpegnati e momenti spassosi, e allo stesso tempo sottolineare con puntualità caratteristiche e differenze che dividono due mondi.
La leggerezza della narrazione si sostiene sulla “leggerezza” che contraddistingue il popolo locale agli occhi della protagonista: mentalità, abitudini sociali, usi e costumi individuali e collettivi disegnano un quadro d’insieme che illustra e sorride degli stereotipi propri dell’uno e dell’altro paese. Anche di quelli più tipizzati e noti: si sa, troppo seri e precisi i tedeschi, troppo poco affidabili e mai puntuali gli italiani, maestri del “più o meno”. Il resto è un’anatomia etnografica, fatta di spunti originali e pur sempre veritieri – è più che legittima la polemica scherzosa fra Valeria e l’italianissimo Ercole: in Germania si usano coperte singole anche per i letti matrimoniali, e il letto non ha due strati di lenzuola fra cui infilarsi, bensì si usa un piumino – secondo Valeria molto più pratico e comodo – da adagiare sul corpo, e soltanto il materasso è coperto da un lenzuolo. Meglio un letto in cui potersi muovere liberamente, senza sentirsi intrappolati e oppressi? O meglio un letto accogliente e caldo come un ventre materno? “Mia madre ha ragione, gli italiani sono mammoni”, questa è la verità secondo Valeria. Ma non è un caso che, mentre lo pensa, lei stessa cerchi conferme agli insegnamenti di sua madre: è l’intreccio prospettico, sempre bivalente, che Maria Carmen Morese ha voluto costruire – un telaio sul quale non si muovono pupazzetti già confezionati, biondi e alti da una parte, mori e abbronzati dall’altra; e mai nel libro prevale un’intenzione parodistica unilaterale, il confronto è alla pari e finisce pari, spesso offrendo al lettore – che sia italiano, tedesco o altro – la possibilità di identificarsi nell’una o nell’altra posizione, ammesso che le posizioni stesse non siano intersecate.
Durante la presentazione del libro, tenuta mercoledì 11 maggio nel Palazzo Santa Maria Porta Coeli sotto la moderazione di Nicole Gauly, lettrice di lingua tedesca all’Orientale e referente per il DAAD, l’autrice ha condiviso con i presenti parte dei metodi di realizzazione adottati per la sua terza pubblicazione: Amore, amore! è il risultato di un lavoro diviso egualmente fra indagini linguistiche e sociologiche, esperienze personali, letture, interviste e testimonianze indirette. Ad arricchire l’immaginario – rivela l’autrice – ha contribuito anche la conoscenza dei classici della letteratura; e, sebbene l’editore Ullstein abbia imposto un registro adatto a un pubblico di media cultura, non mancano, ben nascoste, alcune citazioni colte.
Maria Carmen Morese è direttrice del Goethe Institut di Napoli, unica italiana a ricoprire questo ruolo, e ha trascorso diversi anni, per studio e lavoro, in Germania. Ma a una domanda dal pubblico risponde di sentirsi in ogni caso italiana, sebbene nel corso del tempo sia stata parzialmente germanizzata. E racconta come un italiano, anche quando parli perfettamente il tedesco, sia facilmente riconoscibile dal suo linguaggio gestuale, che difficilmente riuscirebbe a rimuovere o modificare.
Riguardo al titolo, l’autrice spiega come amore sia una parola fin troppo nota in Germania, stereotipata anch’essa, quasi un’etichetta per la nostra lingua, presente sulle insegne di pizzerie ed altri locali – svuotata quindi del suo significato. Abusata a volte anche dagli stessi italiani, si ripete nel titolo come a volersi riprendere il suo reale contenuto semantico, e il suo vero contesto.
Si citava all’inizio:“Carissima, l’amore è anche un gioco”. Non c’è pretesa di troppa serietà né sentimentalismo in questo romanzo dal titolo fraintendibile. Amore, amore!, la virgola sembra come una soglia fra due nazioni, le cui storie confinano da sempre, che qui si guardano in faccia e non si riconoscono, se non nel sorriso reciproco che si rivolgono, divertite, nell’osservarsi l’un l’altra. L’amore è l’occasione e la macchina narrativa per raccontare questo sguardo, se è vero che, per antonomasia, è una forma intensa e profonda di contatto con l’altro. E l’altro è qui contemporaneamente un’altra nazione, un’altra cultura, un’altra persona: con un altro modo di vivere l’amore.
Lorenzo Licciardi
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