Annibale Elia: I modelli teorici? Mai innamorarsene
Annibale Elia: I modelli teorici? Mai innamorarsene
Intervista in occasione della Giornata in onore di Federico Albano Leoni
Professor Elia, è stato invitato a Napoli per una Giornata di studi con Albano Leoni organizzata dalla Federico II e dall'Orientale. Quali sono i punti di contatto tra il suo percorso e quello del professor Albano Leoni?
“La risposta dev’essere per forza lunghissima ma la riassumo in maniera estrema. Diciamo che io, avendo realizzato un lessico-grammatica della lingua italiana che è paragonabile a quello del francese e di altre venti lingue, mi sono reso conto del fatto che ogni verbo ha un comportamento sintattico pressoché individuale; quindi in qualche modo quello che io chiamo l'individualità dei verbi somiglia molto all'individualità dei suoni.”
Un elemento di vicinanza ed uno di divergenza tra lei e il professore Albano Leoni: concezioni, approcci, metodi, prospettive.
“Più che divergenze devo dire che io ho conosciuto Albano Leoni tanti anni fa e quando ero un giovine laureato, nonostante abbia poi scritto tra le mie prime cose un lavoro sulla scoperta del fonema di Henry Sweet, la fonetica e la fonologia non mi piacevano proprio! Allora possiamo dire che questa sia una scherzosa divergenza.”
Lei è stato allievo di De Mauro e si è addottorato con Maurice Gross. Vuole raccontare un ricordo, un aneddoto o un'eredità?
“Una cosa divertente è che ho conosciuto Gross a Pisa, subito dopo il Congresso Mondiale della linguistica che si teneva a Bologna, dove Tullio De Mauro presentava una comunicazione (anche Maurice Gross, ma io non la sentii) e c'era Antonio Zampolli, un altro che se n'è andato purtroppo, che faceva la scuola estiva di linguistica computazionale. Noi andammo a questa scuola e lì conoscemmo Maurice Gross. All'epoca stavo scrivendo quel libro che si chiamò poi Per Saussure, contro Saussure e c'era Maurice Gross che presentava i suoi lavori lessico-grammaticali che faceva poi macinare dal computer e una cosa divertente è che Gross scriveva alla lavagna guardandoci, scriveva dei pezzi di esempi alla lavagna senza guardarla, con la mano cioè rivolta all'indietro, e con la mano sinistra arrotolava la cartina in una sigaretta che poi chiudeva e si metteva a fumare; questa cosa fu da circo, mi piacque moltissimo.”
Un consiglio del suo maestro, o dei suoi maestri, del quale non avrebbe potuto fare a meno e che ha seguito.
“Il consiglio di Tullio De Mauro che mi resta ben impresso nella mente è quello di avere sempre la capacità di collegare e di seguire questa linea: c'è un modello teorico che ti piace? Non te ne innamorare e tieni sempre presente, all'interno di questo modello, la sua criticità; muoviti sempre dialetticamente – che poi è una lezione saussuriana. E di Gross i dati, un approccio cioè molto più radicale: prendi pure qualsiasi modello, ma soprattutto non ti fermare e muoviti verso un ideale esaustivo di raccolta dei dati.”
E il consiglio che non ha seguito?
“Gross mi aveva detto di restare a Parigi... e mi pento di non aver seguito questo suo consiglio. Quelli di De Mauro devo dire che li ho seguiti quasi tutti.”
Quale consiglio darebbe ad un giovane interessato agli studi linguistici in un momento in cui le scienze umane faticano a veder riconosciuto il ruolo che spetta loro nella formazione dell'individuo così come nella sua spendibilità nel mondo del lavoro?
“Questa è una problematica che vivo costantemente, sia come direttore del Dipartimento, sia per il Dottorato con una responsabilità forte. Trovo che la situazione sia molto grave; in particolare c'è in Italia un movimento umanistico e anti-Sud, neanche tanto nascosto devo dire. Basta guardare alla scelta fatta rispetto ai referenti per l'agenzia di valutazione della ricerca in Italia, dove gli umanisti sono semplicemente due economisti e un sociologo. Questi sono gli studi umani, tutto il resto non è contemplato. Ma la cosa più grave è che non c'è nessuno di un'università che sia al di sotto di Roma e non c'è nessuno che poi sia veramente rappresentante degli studi umanistici.”
Pensa che oggi sia ancora possibile aspirare ad essere un linguista completo, ossia arrivare ad una visione d'insieme senza perdere di vista la profondità dei singoli fenomeni?
“Io credo che non sia possibile, anzi la linguistica ha bisogno sempre di più avere delle specializzazioni profonde in verticale, ma io credo che bisogna rilanciare un nuovo tipo di studioso, che chiamerei un filosofo linguista, che invece per obiettivo potrebbe abbracciare i risultati delle varie scienze del linguaggio e darne una visione più generale.”
Cosa deve fare un giovane linguista per non rischiare di restare ancorato al dato particolare?
“A parte quello che ho già detto, attraverso le reti del web di conoscenza e di scambio, il giovane può molto di più e molto meglio di quanto fanno i 'vecchiarelli' orientarsi e vedere fino in fondo dove va un certo tipo di ricerca. Quello che ho sperimentato nel mio dipartimento è che i saperi anche molto specifici di tipo lessicale e sintattico rientrano perfettamente, in un'ottica di linguistica computazionale, verso applicazioni che offrono jobs. In realtà anche gli informatici e gli ingegneri dell'informazione hanno bisogno di contributi linguistici, quindi ai giovani direi di stare attenti ad andare in questa direzione, dove tra l'altro per il momento è necessario solo aggiungere un po' di semantica al web (quindi una cosa 'semplice', anche se non lo è affatto). Noi stiamo facendo delle ricerche sulle modificazioni aspettuali nella lingua – sulla durata, il compiuto, il finito, etc. – che in questo momento non hanno applicazioni; eppure se non facessimo studi lussuosi, quindi che non hanno applicazioni, tra dieci anni non avremmo la possibilità di rispondere a ciò che probabilmente può diventare un'applicazione. Alcune cose resteranno puramente lusso, di conoscenza pura, però da questi lussi verranno poi delle applicazioni per il futuro. Quindi non bisogna mai arrestarsi.”
Quanto conta una solida formazione in linguistica storica nel profilo del linguista contemporaneo?
“Moltissimo...moltissimo e sono molto preoccupato che questo tipo di formazione, proprio per lo scenario appena dipinto, tenderà in alcune sedi universitarie a scomparire del tutto. Sono molto preoccupato, credo che la formazione in linguistica storica sia fondamentale per poter fare adeguatamente anche un mestiere estremamente moderno di linguistica iper-sincronica. Sono proprio avvilito. È un circolo vizioso: diminuiscono gli insegnamenti in linguistica storica e in glottologia e poi, diminuendo, non si creano le condizioni, anche economiche, per ricrearli. Perchè serve la linguistica storica? Serve perchè la lezione della storia è la migliore per fare fronte agli eccessivi e sbagliati ottimismi che vengono da una visione sincronica e semplicistica della realtà. Ecco, rispetto alla variabilità, che secondo me è così importante nelle nuove prospettive di linguistica a cui accennavo prima, la disciplina maestra che fa capire come poi attraverso la storia umana, e quindi attraverso la storia anche delle lingue, noi tocchiamo con mano la costruzione della variabilità è proprio la linguistica storica. In sistemi mentali legati e connessi a principi evolutivi, e quindi non perfetti, la storia è quella che te lo ricorda costantemente. E quindi non avere adeguata preparazione in questo campo è deleterio.”
Che rapporti ha con i due Atenei che organizzano l’evento, vale a dire la Federico II e l'Orientale?
“Alla Federico II mi sono laureato ed ho fatto i miei primi corsi su Saussure. Quando ero studente la linguistica moderna era ospitata da Alberto Varvaro, che era maestro non solo di filologia romanza ma anche di linguistiche. E mi ricordo che fu lui a presentarmi a Tullio De Mauro ancora giovane; quindi per me la Federico II è l'origine di tutto. Riuscii a seguire anche Salvatore Battaglia, Francesco Orlando, Giancarlo Mazzacurati e altri... insomma bello, molto bello. Dell'Orientale ho un ricordo bellissimo perchè da studente io e Emilio D'Agostino, per la nostra tesi su Storia problemi e metodi dell'apprendimento linguistico, andavamo alla biblioteca dell'Orientale dove c'erano Cristina Vallini e Domenico Silvestri giovani – noi eravamo giovanissimi – e cominciò anche lì un rapporto simpaticissimo con queste persone che poi divennero amici dopo. Ottimi rapporti quindi.”
Arrivato a Salerno è diventato direttore dell'Istituto di Linguistica che era stato diretto da Tullio De Mauro, fondando, poi, il primo Laboratorio di informatica linguistica al di fuori di quello del CNR diretto da Antonio Zampolli. Tra i vari frutti di questo investimento vi fu il CILFS (Centro di Informatica Linguistico-letteraria, Filologico-documentaria e Storico-artistica) e la conseguente creazione di una fitta rete di strumentazioni informatiche a disposizione di tutto l'Ateneo. Quanto contano questi investimenti nell'attuale panorama universitario, sopratutto alla luce dei tagli inferti dall'ultima manovra finanziaria e delle recenti disposizioni della legge Gelmini?
“Posso dire che all'epoca non me ne rendevo conto, ma aver sviluppato e orientato gran parte delle ricerche – anche per l'amicizia e il rapporto scientifico con Maurice Gross – verso la linguistica computazionale mi ha in qualche modo preservato dalla progressiva carenza di fondi per la ricerca. Nel senso che siamo entrati abbastanza rapidamente in progetti internazionali che ci collegavano con gli informatici e con gli ingegneri dell'informazione, e questo ci ha dato diversi fondi che mi hanno permesso, per esempio, di mantenere gruppi di ricerca per svariati anni; questo ha permesso ad alcuni giovani innanzitutto di poter aspettare anche se non avevano genitori ricchi alle spalle, e ad altri di potersene volare in altri Paesi dove poi hanno cominciato a lavorare. Ripeto, all'epoca non pensavo andasse a finire così, pensavo fosse importante e basta e alla fine è stato più che importante. Quello che mi è dispiaciuto è che, essendo il tipo di linguistica e di ricerca che faccio – e che facciamo insieme con colleghi di vario grado – di natura tecnica, non mi ha permesso di contribuire a rafforzare anche l'ambito più lussuoso della glottologia e della linguistica storica...però tutto non si può fare.”
A lei si deve anche l'organizzazione del primo corso di laurea in scienze della comunicazione a Fisciano, nel 1990, e l'istituzione del primo Dottorato di Ricerca in Scienze della Comunicazione. Un percorso, il suo, caratterizzato dalla pluralità d'interessi e dalla promozione di un ambiente di ricerca e di confronto scientifico pluridisciplinare. Come si colloca nel tradizionale dibattito sui compiti e gli ambiti di studio della linguistica, che vede opporsi posizioni per così dire eterodosse/ortodosse – olistiche/specialistiche o addirittura multidisciplinari/'conservatrici'?
“La risposta è abbastanza semplice, data la mia natura che è stata quella di mescolare; per anni ho tenuto un grandissimo spazio in Dipartimento dove ci si incontrava, c'erano tavoli e computer usati da sociologi, economisti, etc., e nei momenti di relax, magari mangiando un panino, si cominciava a discutere a partire dagli argomenti più disparati. La cosa importante è che noi a Salerno abbiamo voluto che Comunicazione fosse centrata su discipline che avessero in ogni caso un versante hard, ovvero molto legato ai dati (eredità ingegneristica di Gross) e che ci fosse continuamente un confronto tra modelli e dati di tutti i tipi, e questa cosa mi ha permesso e mi permette ancora di dare alla linguistica un ruolo centrale nella formazione sia delle triennali che delle magistrali. Ovviamente quando c'era il corso quinquennale era molto meglio, ed abbiamo avuto un successo occupazionale con un tasso di occupazione che è arrivato al 92% a distanza di tre anni dalla laurea. Con il 3+2 c'è uno sfacelo generale in tutta l'Italia, e quindi è diverso, ma ho comunque mantenuto la centralità della linguistica ed abbiamo usato questa centralità per avere degli scambi di progetti di ricerca, in alcuni casi anche con confronti durissimi e liti violente di tipo scientifico tra semiotica, comunicazione d'impresa, metodologie tecniche... ribollente. In conclusione, credo che se vogliamo far sopravvivere concretamente la linguistica in questo mondo che è cambiato, dobbiamo mescidare le discipline, quindi da questo punto di vista non credo a una visione olistica. D'altra parte, però, quando ho un corso di linguistica generale o di glottologia, pretendo che ci siano i principi fondamentali, cioè non voglio fare un corso di 'linguistica generale per pubblicitari', credo che qualcuno che farà il pubblicitario faccia bene a seguire un vero e proprio corso di linguistica generale. C'è una formazione di base che deve conservare necessariamente i fondamentali. Non possiamo 'abbassarli' o piegarli. Il livello applicativo di mescolanza è qualcosa che si costruisce, quindi per me la triennale deve essere organizzata su principi fondamentali; nelle magistrali si può procedere, invece, a maggiori integrazioni, perchè altrimenti è un guaio. La difesa olistica è una difesa giusta, da un punto di vista concettuale mentre da un punto di vista comportamentale può arrivare a dei guai tremendi.”
Valentina Russo - Revisione: Redazione