Antica Grecia e comunicazione non verbale: immagini ed ethos
Antica Grecia e comunicazione non verbale: immagini ed ethos
La professoressa Maria Luisa Catoni, docente di Archeologia e Storia dell’arte antica presso l’Institute for Advanced Studies di Lucca, tiene una conferenza dal titolo Ethe e natura: immagini, schemata e comportamenti sociali
Napoli, L’Orientale, Dipartimento di Studi del Mondo Classico e del Mediterraneo Antico. Nella sala 4 della Biblioteca “Maurizio Taddei” di Palazzo Corigliano, dopo una breve introduzione dei docenti dell’Orientale Bruno Genito ed Anna Maria D’Onofrio, la professoressa Maria Luisa Catoni presenta un brillante intervento che, come sottolineato dai due colleghi dell’Ateneo ospitante, si attiene perfettamente al DNA dell’Orientale ed abbraccia un discorso interdisciplinare di ampia portata.
Autrice del libro Schemata. La comunicazione non verbale nella Grecia antica (Bollati Boringhieri, Torino 2008), la professoressa Catoni apre la strada ad un percorso che va oltre il testo stesso, la cui trattazione prevede riflessioni di carattere socio-politico così come casi di studi iconografici che si confanno perfettamente alle tematiche affrontate.
Partendo dai concetti di schema e mimesi come basilari nell’antica Grecia – nelle arti e nella vita politica, nella retorica – la docente ricorda quanto lo schema fosse in quel mondo portatore di verità assoluta anche nelle scienze esatte: “schema epideiknytai alken” (“lo schema mostra il valore delle sue azioni”), come recita l’iscrizione metrica alla base di una statua bronzea databile tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a. C..
Dopo un’assoluta equivalenza tra schema e contenuto, però, le arti diventano appannaggio di “artigiani” veri e propri, la cui nuova libertà di scelta dei contenuti porta a riflessioni di tipo politico e metodologico sulle theknai: citando Platone e Senofonte, la Catoni ricorda come i demiourgoi non abbiano la consapevolezza dei filosofi nell’individuare nelle rappresentazioni un valore etico. Il “carattere dell’anima” è, invece, imitabile, al pari delle entità visibili e – dato che le arti occupano uno spazio pubblico – il cittadino posto davanti ai loro schemata non si limita ad acquisirli passivamente ma anche attivamente, dunque ne percepisce l’ethos.
A questo punto la docente sottolinea come i trattati politici di Platone ed Aristotele, così come il comune sentire dell’antica Ellade, abbiano in realtà anticipato una scoperta compiuta di recente in campo neurofisiologico: quella dei neuroni specchio, i quali si attivano nel vedere azioni eseguite da altri e, inconsapevolmente, le realizzano in piccola parte. Ne consegue che due meccanismi biologici ci identificano come animali sociali: l’empatia e l’imitazione, che scaturiscono appunto dalle immagini acquisite.
Sebbene la Catoni noti criticamente quanto queste teorie manchino di riflessioni cross-culturali e si propongano di stabilire meccanismi universali, ciò che le preme ricordare è come gli antichi Greci avessero precocemente intuito la reazione biologica e la comprensione diretta che le immagini e le opere d’arte comportano.
Importante in questo discorso l’interdisciplinarità tra le arti: gli schemata della mousike e della danza vengono presentati come “pittorici” (la docente cita a tale proposito le Quaestiones Convivales di Plutarco) e il corpo stesso non si limita più a faccende private ma diventa latore di valori etici nella sfera pubblica. Ogni aspetto è subordinato alla formazione del perfetto cittadino, e le arti tutte influenzano carattere e natura (non si tratta forse dei neuroni specchio?).
L’ultima parte della conferenza prevede un caso di studio iconografico nell’ambito delle stele funerarie, di solito convenzionalmente funzionali a fissare in immagini valori etici universali, distillati di ethos, come li definisce la Catoni.
All’inizio del IV secolo sorgono due nuove iconografie, una delle quali allude alla maternità e l’altra che rappresenta una serva o donna anziana che regge un infante (con ogni probabilità si tratta di donne morte di parto, nonostante i pareri contrastanti degli studiosi). Mentre all’inizio nessun dettaglio si riferiva al momento preciso della morte della donna, i tre casi di Lekythoi mostrati dalla Catoni presentano una significativa deviazione dalla norma: i capelli non sono più compostamente acconciati ma lunghi e cadenti sulle spalle, le donne non sono canonicamente aggraziate ma scomposte e visibilmente morenti, l’azione si svolge in uno spazio iconografico specifico, quello della morte.
L’ethos non è più generale e universale, ciò che è propriamente espresso è il pathos.
La docente vede l’origine di queste stele nelle iconografie mitologiche (la morte di Semele nel dare alla luce Dioniso) e riscontra degli interessanti paralleli con le stele di guerrieri caduti in battaglia, nonché con la rappresentazione di Fedra nella tragedia euripidea Ippolito.
Un soggetto in particolare si trasforma in questi monumenti funerari: la levatrice che porta aiuto (e/o compiange) diventa una figura squisitamente retorica, non più narrativa, raffigurata mentre accorre con le braccia gettate all’indietro; passando attraverso il Medioevo, è possibile ritrovare una traccia di questa immagine fino a tempi relativamente recenti, nel Guernica di Pablo Picasso.
Dopo la conferenza abbiamo posto qualche domanda alla professoressa D’Onofrio, organizzatrice dell’evento, e alla relatrice stessa.
Professoressa D’Onofrio, come accennato da lei e dal professor Genito, la conferenza sarà seguita, venerdì 15 aprile, da un workshop dal titolo “La comunicazione tra visualità e scrittura: approcci e contesti a confronto”, che si terrà a Palazzo Du Mesnil a partire dalle 9.30 e che presenta una certa continuità col tema della conferenza di oggi. Può anticiparne le linee generali?
“Si susseguiranno sette più sette interventi, ciascuno dalla durata di circa venti minuti distribuiti nell’arco della giornata ad intervalli piuttosto brevi l’uno dall’altro. Il tema verterà sui molteplici aspetti del linguaggio, prenderanno parte per lo più colleghi dell’Orientale, tra cui il professor Alberto Manco, con alcuni ospiti, anche stranieri.
La volontà è stata quella di creare una «tavola rotonda» in primo luogo tra linguisti, filologi e archeologi dell’Ateneo, contemplando anche la partecipazione di colleghi da altre Università italiane ed estere. Chiaramente la mia pretesa non è quella di completezza o universalità, impossibili da perseguire in una sola di giornata: piuttosto che di un convegno vero e proprio si tratta di un’occasione per sfruttare al massimo, come è accaduto oggi, ospitando una persona che porta con sé un background culturale notevole ed una ricerca eccellente. La stessa professoressa Catoni sarà con noi, sebbene non da relatrice, e avrà la possibilità di conoscere anche il nostro ambiente, il che è il senso stesso della ricerca: uno scambio e un dialogo che la renda «pura», interessata anche a dibattere su un terreno diversificato, purché comporti una condivisione alla cui base c’è sempre una forte motivazione.”
Professoressa Catoni, nel suo intervento lei ha sottolineato come, nell’antica Grecia, le immagini, figurative e non, artistiche o anche semplicemente comportamentali, fossero per i cittadini significanti di comportamenti sociali e valori etici. Se provassimo a trasporre questo discorso nella contemporaneità, crede che ciò accada ancora e, se sì, in che tipo di immagini?
“Direi che lo schema corporeo ancora oggi gioca un ruolo fondamentale: chiunque tende naturalmente a fare inferenze sulle persone semplicemente in base alla maniera in cui sono vestite, se più o meno formale, sportiva e così via, pertanto il non verbale vale tantissimo anche oggi, con la sola differenza che nel mondo contemporaneo si violano maggiormente i «limiti del genere», una donna con abiti non propriamente femminili o un insegnante senza una giacca, ad esempio.
È preoccupante, però, che ciò che nell’antichità, nello spazio pubblico, imponeva determinati comportamenti, controllati o talvolta stilizzati, ora è venuto totalmente a mancare. Non che un ethos sia del tutto assente, ma ciò che il personaggio pubblico o politico comunica, cosa che allora godeva di un significato veramente fortissimo, si è trasformato in un ethos assolutamente negativo: nessuno si pone più il problema di che tipo di modello veicoli il proprio corpo, e questo non-controllo del corpo è, a mio avviso, la perdita di valori più grave di cui soffriamo oggi.”
Nel dibattito seguito al suo intervento, lei accennava a una ricerca da lei svolta anche in ambito lessicale. In che misura il verbale e il non verbale si intrecciano?
“È molto curioso il fatto che la stessa parola «schema», dunque un’entità verbale, si riferisca però ad entità non verbali: il rapporto è interessantissimo, e nell’antica Grecia un campo in cui questa coesistenza si snoda perfettamente è il teatro. In questo caso, a noi rimane il testo (il verbale) eppure c’era una componente non verbale enorme: visuale, iconografica, pittorica, che è difficile ritrovare solo grazie all’immaginazione, non essendone rimasta alcuna traccia.
Anche nei casi iconografici da me presentati in conferenza, il verbale e non verbale andavano insieme e servivano lo stesso scopo, sebbene tutto sia un certo senso andato a favore del verbale, data l’impossibilità di ricatturare perfomance effimere.”
Parte delle sue riflessioni di quest’oggi fanno capo al suo libro Schemata. La comunicazione non verbale nella Grecia antica. Si sente di dirci qualcos’altro in merito al suo testo?
“Prima dell’edizione più recente (Bollati Beringhieri, 2008) ce n’è stata una, antecedente, del 2005. Ma tre anni dopo aver già scritto il libro venni a conoscenza delle scoperte in campo neurofisiologico, compiute proprio in quell’anno, sui neuroni specchio, che mi portarono a ripensare tutto e ad aggiungere un’introduzione. Questa conferenza, in particolare, va molto avanti rispetto al libro nel senso che, grazie all’iniziativa della professoressa Anna Maria D’Onofrio, ho avuto ancor di più modo di capire come dovrebbe essere esattamente la ricerca: lei ed io non ci conoscevamo affatto, ciononostante sono stata contattata dalla collega dopo che ha letto il testo. Un caso di assoluta curiosità reciproca, che ci ha spinto ad incontrarci dal vivo e ad arricchirci a vicenda l’una delle sollecitazioni dell’altra, il che ha generato quanto di più fruttuoso ci sia nel nostro ambiente: un’ibridazione.”
Luisa Lupoli