Aung San Suu Kyi, “mirabile eccezione” del nuovo millennio
Aung San Suu Kyi, “mirabile eccezione” del nuovo millennio
Aung San Suu Kyi e la (nuova) Birmania raccontate nel libro di Ugo Papi
A Palazzo Giusso si è tenuta la presentazione del libro di Ugo Papi “Aung San Suu Kyi. Una storia di coraggio e libertà” edito da Editori Internazionali Riuniti, prefazione del Dalai Lama. Insieme all'autore, ne hanno discusso i professori Giorgio Amitrano e Franco Mazzei ed il direttore de Il Mattino Virman Cusenza.
A parere del professore Amitrano, questa biografia “è di carattere divulgativo, si legge con molta facilità e tuttavia mette in rilievo tutti quegli elementi che il rapporto empatico, ma superficiale, da parte dei lettori tende a sottovalutare”.
All'inizio del nuovo millennio, lo scenario internazionale non ha offerto grandi personaggi, grandi figure che scelgono la non violenza come strumento politico. Aung San Suu Kyi è, in questo senso, una “mirabile eccezione”, come fa notare Ugo Papi nel suo prologo.
Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace nel 1991, in tutti questi anni armata solo del suo coraggio e della sua straordinaria forza di volontà – ha vissuto 15 anni in libertà vigilata lontana dai suoi affetti – ha lottato contro la dura dittatura militare che dal 1962 aveva preso il potere in Birmania.
Passione politica e sacrificio sono le parole che meglio possono descrivere questa donna che è diventata un simbolo non solo per il suo popolo, ma per l'intera comunità internazionale. Difficile infatti trovare nel nostro sistema politico una figura talmente forte da attirare una così grande partecipazione civile.
Il padre Aung San – promotore dell'indipendenza birmana e capo dell'esercito – fu ucciso con tutti gli esponenti principali del governo e la Birmania, senza classe dirigente, precipitò nel caos e nella guerra civile con le molte etnie presenti nella nazione, fino ad arrivare alla dittatura militare. Ed è proprio per ciò che hanno rappresentato il padre e la sua morte per il paese che Aung San Suu Kyi è ben cosciente di avere un ruolo importante nella lotta per la democrazia in Birmania, quasi fosse un dovere per lei cercare di chiudere questo periodo di violenza e sofferenza.
In libertà ormai da quasi due anni, alla guida del suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia, nelle recenti elezioni ha vinto 43 seggi su 44. Il cambiamento iniziato dalla politica birmana in quest'ultimo periodo è dovuto principalmente alla figura di Aung San Suu Kyi, ma anche alla presenza del Presidente Thein Sein. Questi, per cercare di ottenere il consenso popolare che il regime aveva perso da decenni, ha avviato una serie di provvedimenti d'impronta democratica: ha liberato i prigionieri politici, ha eliminato gran parte della censura sui media, ha acconsentito al diritto di sciopero e di manifestazione, ha abolito numerosi progetti mal visti dalla popolazione e ha legalizzato il partito di Aung San Suu Kyi.
L'attenzione dell'Occidente ora è fortemente rivolta verso la Birmania; dopo le numerose sanzioni e le dure critiche, i paesi occidentali, ad iniziare dagli USA, aprono al dialogo con il nuovo governo. Scelta ovviamente legata ad interessi innanzitutto politico-economici: a causa delle sanzioni subite, la Birmania ha stretto rapporti commerciali principalmente con la Cina e quindi il cambio di posizione serve ad evitare che questa diventi il paese di riferimento, sia politico che economico, per uno stato geograficamente strategico – confina sia con l'India che con la Cina. Con la futura abolizione di queste sanzioni sarà possibile investire più facilmente in Birmania e non sono pochi gli esperti che vedono in questo paese una probabile nuova tigre asiatica.
Francesca Ferrara