Carmela Cammisa: L’aria che si respira all'Orientale è propositiva!
Carmela Cammisa: L’aria che si respira all'Orientale è propositiva!
I corsi, i professori, le materie dell'Orientale non sono mai statici e unidirezionali: un valore aggiunto nel panorama Italiano
Carmela Cammisa, Lei si è laureata quest’anno, nella sessione di febbraio, in Lettere moderne (curriculum letterario-giornalistico). Quali considerazioni hanno determinato questa scelta?
Ho sempre amato la letteratura, passione che ho sviluppato maggiormente in età adolescenziale. In realtà, però, quella in Lettere Moderne non è stata la mia prima immatricolazione. Mi ero iscritta due anni prima al Corso di laurea di “Lingue, culture e istituzioni dei Paesi del Mediterraneo”, spinta dalle voci che circolavano circa gli sbocchi lavorativi che le lingue avrebbero potuto offrire.
Ma le passioni non ci abbandonano e, benché io provi tuttora un'attrazione non indifferente per lo studio delle lingue, è più forte quella per la letteratura e per tutte le materie umanistiche e sociali. A conti fatti, dopo due anni, visti i pochi esami sostenuti, ho deciso di non continuare il percorso iniziale, ho fatto la rinuncia agli studi e mi sono iscritta a Lettere, raggiungendo nei termini previsti la laurea, e percependo ogni anno la borsa di studio prevista dall'ADISU.
Tutto questo a dimostrazione della verità del motto che le passioni non si devono accantonare mai e che “Volere è Potere”!
Lei ha sostenuto un esame di Geografia umana, e nel suo Piano di studio si nota un nucleo ben articolato di discipline che vertono intorno ai temi della comunicazione: Sociologia della letteratura, Semiotica, Studi culturali e postcoloniali, Storia sociale della comunicazione, Teoria dei linguaggi, Teoria e tecnica delle comunicazioni di massa, Storia della comunicazione nell'antichità, Storia del giornalismo. Quali di questi esami è stato davvero interessante per Lei? Quale Le ha ‘dato’ di più in termini di acquisizione di nuove conoscenze?
Tutte le discipline sono state interessanti, ognuna a suo modo mi ha insegnato qualcosa, ha arricchito il mio bagaglio culturale. Ricordo con piacere di aver studiato “Storia sociale della comunicazione”, i testi d’esame proposti sono stati davvero una scoperta per me: leggere Bauman, Sartori, Postman, mi ha aperto la mente, mi ha proiettato nel mondo degli studi sociali, croce e delizia che non ho più mollato, diventati il mio pane quotidiano. Ricordo anche il blog ideato dal prof. Campanelli per il corso di “Teoria e tecnica della comunicazione di massa”, che ci ha permesso scambi, opinioni, confronti su temi di attualità proposti di volta in volta.
Ma credo che, tra tutti i corsi svolti e gli esami sostenuti, quello di “Geografia umana” sia stato il corso che maggiormente mi ha stimolato e incuriosito e mi ha portato di più in termini di nuove conoscenze.
Quindi ha scelto di fare la tesi di laurea in “Geografia umana”. Che cosa ha trovato di particolarmente stimolante in questa disciplina?
Se qualcuno, anni addietro, mi avesse detto che avrei svolto una tesi di laurea in Geografia umana, anche volendo, non gli avrei creduto!
In realtà, questa materia che per alcuni miei colleghi può sembrare ostica e poco mirata a Lettere, è stata una delle più belle che io abbia studiato! Mi ha aperto la mente in un percorso che non pensavo potesse interessarmi, mi ha incuriosito così tanto da svolgerci una tesi di laurea. Devo dire anche che sono convinta di una cosa: nella maggior parte dei casi non sono le materie in sé ad affascinarci, quanto la bravura di un insegnante, e il professore Amato è un maestro da questo punto di vista. Non riesco a ricordare una sola lezione che mi abbia annoiato, tutti i giorni del Corso ho imparato ad amare questa materia senza riserve, a comprenderla, grazie soprattutto alla passione che il professore ha messo nell’insegnarci ogni nuovo concetto. Gli devo un ringraziamento particolare, e sono convinta che non avrei potuto scegliere materia o professore migliore per la mia tesi di laurea.
Qual è l’argomento della Sua tesi? E il titolo preciso? Vuol esporre un po’ il contenuto del Suo lavoro?
Ho svolto una tesi dal titolo «Spazi e luoghi nella letteratura migrante», ed è uno studio sugli immigrati e sul loro senso del luogo, analizzando gli scritti che gli stessi migranti producono direttamente nella lingua del Paese ospitante.
Purtroppo in Italia “la letteratura della migrazione” così denominata da uno dei massimi esponenti del settore, il professore della Sapienza di Roma Armando Gnisci, fa fatica a trovare una collocazione ben precisa. Benché risultino catalogati circa 500 scrittori provenienti soprattutto dall’Europa dell’Est, dall’Africa e dall’America Latina, ed esistono più di 1300 schede bibliografiche, l’Italia (a differenza di Francia, Inghilterra, Germania) resta ancora un paese fortemente chiuso, che non vede nella multiculturalità una risorsa e una potenzialità, relegando ai margini questo fenomeno. Fin dalla sua nascita negli anni Novanta, infatti, questo nuovo filone di studi stenta a trovare un canale serio e sicuro cui legarsi, muovendosi soprattutto grazie alle associazioni non governative e ai focolai di cultura non mercificata come quelli di strada e internet.
È un tema davvero molto interessante. Sarei contento se volesse descrivermi in dettaglio l’articolazione del Suo lavoro…
Nel primo capitolo mi sono occupata del fenomeno migratorio, dando uno sguardo ai numeri che ogni anno aumentano sempre più. Sono circa cinque milioni, infatti, gli stranieri attualmente censiti nell’ultimo rapporto Caritas Migrantes. Poi mi sono occupata del ruolo della letteratura migrante soprattutto nei Paesi che hanno avuto un passato coloniale ricco ed esteso rispetto al nostro, e infine ho analizzato la nascita del fenomeno in Italia, che è venuto alla luce in un momento particolare, dopo la brutale morte di Jerry Masslo nell’agosto dell’89 a Villa Literno.
Nel secondo capitolo mi sono soffermata sul problema della lingua, occupandomi poi dei canali di questa nuova letteratura, che purtroppo (come ho accennato prima) non sono molto generosi nel nostro Paese. Nello specifico ho analizzato: l’editoria, le riviste on-line, banche dati, siti utili e associazioni.
Nel terzo ho ripercorso la nascita della Geografia umana avvenuta negli anni Settanta e il suo rapporto con la letteratura, particolarmente proficuo nella ricerca di dati e informazioni territoriali, cercando di dare un esempio concreto, attraverso gli scritti migranti.
Il lavoro riguarda soltanto questi temi generali, che trovo originali e di grande interesse, o si è soffermato anche su qualche autore in particolare?
Inizialmente mi ero proposta di riuscire a trovare vari autori che all’interno dei loro romanzi, poesie, saggi e quant’altro, analizzassero diverse città italiane, facendoci comprendere come il migrante con i suoi scritti riesca a percepire il territorio, cambiandolo, trasformandolo, inventando e producendo una nuova visione di città.
Ma purtroppo fin dall’inizio ho compreso che mi ero imbattuta in un lavoro di non facile presa. Innanzitutto è stato difficile riuscire a reperire la maggior parte dei testi: ho dovuto ricorrere a biblioteche di settore sparse nella capitale, alla fondazione Ismu di Milano, ad associazioni non governative. In un secondo momento, superato il primo ostacolo, mi sono resa conto dell’infinità di materiale non sempre utile per il mio progetto.
Alla fine sono riuscita a scovare una scrittrice somala di seconda generazione (classe 1974), Igiaba Scego, ripercorrendo – attraverso i suoi scritti e soprattutto nel suo ultimo libro, edito da Rizzoli nel 2010, «La mia casa è dove sono» (che consiglio a chiunque) – la sua doppia identità, il suo senso del luogo, la sua Mogadiscio attraverso Roma.
La sua Mogadiscio attraverso Roma? Cioè?
Sì, la sua Mogadiscio attraverso Roma! Può sembrare una frase senza significato, ma in realtà racchiude tutto il senso del mio lavoro.
I luoghi sono i posti più importanti per l’esistenza umana, sono imbevuti di esperienza e significati. Con essi abbiamo un legame emotivo con un forte contenuto psicologico: non ci appaiono come sono, ma come una presenza simbolica di ciò che rappresentano.
A tal proposito ho ricreato una mappa che racchiudesse tutti i luoghi più significativi di Igiaba. Ho trasportato Mogadiscio nella sua Roma, ho evidenziato (ad esempio) come l’elefante del Bernini di piazza della Minerva potesse cambiare la visione della città.
Nell’insieme ritiene positiva la Sua esperienza dell’Orientale? Se dovesse riscriversi, s’iscriverebbe ancora al nostro Ateneo?
A parte tutte le pratiche burocratiche e di segreteria che il più delle volte sembravano molto più complesse degli esami stessi, a questa domanda risponderei con un “sì” secco! Ma poi pensandoci, anche volendo, non credo che potrei riscrivermi ancora. Purtroppo Lettere Moderne, così come Lettere Classiche o altri Corsi, sono a esaurimento nell’Ateneo. La mia esperienza all’Orientale è stata altamente costruttiva e positiva, rifarei volentieri il percorso fatto, la consiglierei a chiunque, ma a malincuore non si può più. Approfitto per porgere un ringraziamento al nostro ministro dell’istruzione, Mariastella Gelmini.
Che cosa, in particolare, Le appare positivo nell’Orientale? Che cosa pensa di avervi trovato che non avrebbe trovato altrove?
L’aria! Credo che l’aria che si respira in quest’Ateneo sia altamente propositiva. I corsi, i professori, le materie, non sono mai statici e unidirezionali, ma spaziano con il passare degli anni e della società e questo è un grosso valore aggiunto, in un’Italia che non riesce ancora a equipararsi agli altri Atenei europei.
Quali sono ora, a laurea conseguita, i Suoi progetti?
I progetti sono tanti. Innanzitutto vorrei riuscire a prendere il patentino da giornalista pubblicista, per iscrivermi all’albo, e cercare di intraprendere la carriera di giornalista, che da sempre mi ha affascinato. Al tempo stesso, sono alla ricerca di stage o tirocini proposti da vari enti e società, per affacciarmi pienamente al mondo del lavoro. E in questo periodo sono in bilico, tra la scelta di continuare con la Laurea magistrale all’Orientale in “Filologia Moderna”, o trasferirmi nella capitale per iscrivermi al Corso di laurea in “Informazioni e sistemi editoriali”, che purtroppo qui a Napoli manca.
Se non dovesse trovare lavoro, accetterebbe di andare all’estero?
Un’esperienza lavorativa all’estero non mi dispiacerebbe, anzi credo arricchirebbe chiunque. Il punto è cercare di comprendere come la si viva, se come scelta di vita o come esperienza a sé. Forse sulla prima ipotesi sarei un po’ scettica… In realtà c’è una cosa che mi spaventa da morire: ”la lingua”.
Ho un rapporto un po’ strano e morboso con la lingua madre. Appena sono fuori dall’Italia sento una mancanza enorme, anche se quando ascolto altri codici mi sento in pieno fermento! Una cosa, purtroppo, non riesco ancora a gestire: l’ansia di non riuscire a trasportare totalmente in altre lingue il lessico che utilizzo nella lingua madre. Ho paura di perdere quei termini, cui sono particolarmente affezionata, e quel suono che tanto mi piace sentire… Questo sarebbe il mio grosso limite in un trasferimento permanente all’estero. Se non ci fosse questo ostacolo, allora direi
che gli altri Paesi offrano molto di più rispetto a un’Italia gestita male e ancora fortemente arretrata..
Francesco Messapi