Cristina Vallini: "La linguistica? All'Orientale, ovviamente!"

 

Cristina Vallini: "La linguistica? All'Orientale, ovviamente!"

"Sto rileggendo Virginia Woolf perché mi piace pazzamente. E sto lavorando a una traduzione del Padre Nostro!"

Professoressa Vallini, che cos'è la linguistica?

"La linguistica è la prima disciplina che io ho incontrato quando mi sono iscritta, nel '64, all'università e così accade anche agli studenti che si iscrivono all'Orientale. La linguistica, quindi, è innanzitutto una disciplina universitaria, che ai miei tempi si chiamava glottologia, ed è una disciplina che ha dei metodi e dei canoni che sono nuovi per gli studenti rispetto a quelli che hanno imparato a scuola. Detto questo la linguistica è un'attività umana che, come è stato detto anche in questi giorni al convegno, tratta la riflessione sulla lingua come un qualcosa che spontaneamente tutti fanno."

A tale proposito, “etimologia scienza del vero”: lei cosa ne pensa?

"È ciò che emerge dalla traduzione che il greco ci affida ed è quello che le persone pensano dell'etimologia quando non si accetta l'arbitrarietà, ossia il fatto che non c'è motivo per cui una parola abbia un determinato significato. In effetti quest'ultimo è un dogma che oggi in molti rifiutano: intuitivamente il parlante crede che le parole abbiano una loro ragione e questa ragione è la verità delle parole. Anche l'etimologia, quindi, è un'attività umana che si manifesta continuamente nella prassi, nella vita direi. Secondo me l'etimologia è una forma di ricerca della verità della lingua, e del mondo aggiungerei, perché poi il rapporto tra la parola e la cosa, anche se di solito si dice che non c'è che, in realtà è essenziale: la lingua serve per parlare del mondo e quindi se si sa perché il cane si chiama cane e il tavolo si chiama tavolo possiamo dire che sappiamo qualcosa sul cane e sul tavolo. Questo accade almeno nella coscienza dei parlanti e anche nell'inconscio dei linguisti."

Ci dica qualcosa della sua ultima pubblicazione Etimologia e linguistica. Nove studi, in rete nell'Open Archive d'Ateneo, dove viene trattato appunto il tema dell'etimologia.

"Si tratta di una raccolta di scritti concepiti tutti all'Orientale, perché è qui che si è sviluppata la mia carriera di docente, e tutti già pubblicati. In effetti dopo essermi laureata a Pisa nel novembre del '68 sono venuta all'Orientale nel settembre del '69 e tutto quello che ho fatto l'ho fatto qui a Napoli. Il più vecchio di questi scritti, il cui simbolo, l'elefante, è raffigurato sulla copertina del mio ultimo libro, è la raccolta delle etimologie della parola greca elèphas: è uno dei primi lavori che ho svolto e il mio professore, Tristano Bolelli, lo commentò dicendomi che era troppo bello, ma non nel senso napoletano dell'espressione, quanto nel senso che era troppo ricco di cose! Quello è uno dei lavori che più mi hanno formato e che mi hanno convinta del fatto che il linguista mette se stesso nel suo lavoro. Voglio aggiungere poi che linguisti hanno di solito una fissazione, quella di essere scientifici ma proprio studiando l'etimologia di elèphas mi sono resa conto che non è la scienza ad essere importante ma è la fantasia: non a caso ho intitolato uno di questi nove studi Etimologia come fantasia un lavoro in cui si parla delle speculazioni etimologiche di un intellettuale dell'ottocento, Adolphe Pictet."

Facendo un passo indietro, quindi, qual è il lavoro che l'ha resa più orgogliosa?

"Sicuramente il mio primo lavoro in assoluto, la mia tesi di laurea, che fu pubblicata immediatamente: è stato qualcosa di molto formativo per me poiché era dedicata al primo lavoro di un grandissimo linguista, Ferdinand de Saussure, un'opera veramente difficile, anche per il tipo di linguaggio impiegato. Ricordo che il libro di Saussure all'università di Pisa non lo aveva letto nessuno e mi affascinò molto perché ci trovai un entusiasmo e una dottrina enormi nonché una genialità stupefacente, che è ciò che caratterizza Saussure. La mia tesi rappresenta quindi il lavoro che mi piace di più e quello che più mi ha più formato anche perché mi diede la possibilità di mettermi di fronte ad una persona che, allora, poteva essere un mio coetaneo, in quanto io avrò avuto una anno in più di quelli che aveva Saussure quando scrisse quell'opera. Sono passata poi ad analizzare la parola elèphas poiché anche Saussure ne aveva studiato l'etimologia e questo mi permise di confrontarmi con studiosi anche del seicento, tradizionalmente prescientifici, che ammiro moltissimo in quanto li considero più liberi rispetto a quelli moderni. Vorrei aggiungere inoltre che ho notato in questo convegno una grande fantasia emersa dalle relazioni ma soprattutto una rivalutazione della metodologia da parte dei nostri colleghi: nessuno ha proposto la verità così come avveniva invece nel passato."

Che cosa consiglierebbe di leggere ad un giovanissimo linguista?

"Io gli consiglierei Language: an introduction to the study of speech di Sapir, un libro bellissimo, di facile fruizione, scritto da un uomo di genio oltre che di grande cuore. Un altro libro è il Corso di linguistica generale dove è assolutamente presente lo spirito di Saussure, anche se non è stato scritto da lui. Infine gli consiglierei un libro molto difficile che è Linguaggio e problemi della conoscenza di Chomsky, un libro un po' superato ma che sicuramente dà un'idea di quello che rappresenta questa grande sfida della grammatica generativa e della grammatica universale."

Che spazio ha la linguistica nella sua università, quindi all'Orientale, e che spazio trova invece la linguistica in Italia?

"All'Orientale ha un discreto spazio, con grande disperazione degli studenti: ho letto la dichiarazione di uno studente anonimo dove la linguistica era definita troppo complessa: mi rendo conto che lo studio della linguistica è impegnativo ma era impegnativo anche per me e per tutti noi, solo che oggi forse le cose complesse piacciono meno, e questa è una cosa su cui riflettere. Per quanto riguarda le università italiane si può dire che la linguistica ha fondamentalmente due spazi: nelle facoltà di lettere ad indirizzo classico, ed è il caso della linguistica storica, oppure in altre facoltà dove è appunto grammatica generativa. A mio avviso i linguisti più tradizionali sono anche quelli che sanno di più perché sanno anche di grammatica generativa; viceversa i generativisti sanno solo la grammatica generativa. Questi sono sicuramente in minoranza ma non per questo non sono meno bravi: vorrei citare ad esempio un giovane collega, che stimo moltissimo, Andrea Moro, docente al San Raffaele. Io l'ho incontrato proprio come traduttore di Linguaggio e problemi della conoscenza di Chomsky, e sono rimasta colpita dalla sua linguistica, una linguistica molto moderna e molto aperta all'evoluzione delle scienze naturali e della sperimentazione. Ma come trova questi studenti, quali sono ad esempio le domande più frequenti che le pongono più spesso Me ne fanno poche di domande anche perché oggi, purtroppo, c'è poco contatto. Trovo che alcuni di loro siano molto bravi e, cercando di creare un rapporto con questi, li invito a mandarmi gli appunti delle lezioni per poi metterli on-line. Io cerco di rimanere sul livello degli appunti che loro mi mandano e cioè di non aggiungere molto altro; la difficoltà oggi, come dicevo, è quella di creare un rapporto, non solo perché io ho delle aule piene di gente ma anche per la nomea che la materia, o il professore, si porta dietro. Tra l'altro sono sempre stata a contatto con ragazzi che non conoscono il greco e il latino e a cui bisogna, in qualche modo, suscitare l'amore per la linguistica."

Che applicazione potrebbe trovare la linguistica e cosa non si fa per favorirne la migliore conoscenza possibile?

"L'applicazione che potrebbe trovare la linguistica secondo me è un'applicazione generale: per esempio per gli studenti che studiano le lingue secondo me è indispensabile in quanto permette di prendere coscienza di una lingua altra e anche della propria. Per il resto la linguistica è sempre stata una scienza inutile: si possono scrivere le etimologie sul giornalino parrocchiale ma uno non ci guadagna con queste cose: incontro spesso mie allieve all'aeroporto, dietro ai banchi del check-in, e non sono certo delle linguiste. Ho avuto però la fortuna di vedere anche alcune delle mie allieve continuare negli studi ed essere adesso linguiste vicino a me: questo mi ha fatto enormemente piacere. Certo, con questi chiari di luna è poco pensabile una carriera universitaria per tutti, però penso che comunque la linguistica apra la mente a quello che uno fa senza saperlo, cioè quello che uno fa quando parla."

E secondo lei la linguistica andrebbe insegnata nelle scuole superiori?

"Per quanto mi riguarda io un pochino l'ho studiata al liceo classico: ai miei tempi c'erano professori molto bravi e molto motivati e ci veniva proposta spesso l'analisi della parola. A me ha insegnato per esempio a non memorizzare ma a ricreare la parola: penso quindi che alcune cose potrebbero essere insegnate, ad esempio nell'ambito del latino e soprattutto del greco. Un consiglio che voglio dare, soprattutto agli studenti dell'Orientale, è di non considerare la lingua come un mero strumento per lo studio della letteratura: con una maggiore attenzione alla riflessione sulla lingua automaticamente si capirebbe meglio anche le letteratura."

Cosa è cambiato nello studio della linguistica da quando lei ha cominciato a fare ricerca?

"Credo di aver già risposto un po': una volta tutti sapevamo il greco e il latino e i professori erano molto esigenti. Quando ho chiesto la tesi, ad esempio, il mio professore mi sottopose un questionario in cui chiedeva delle mie letture, dei miei gusti nel cinema, nel teatro... insomma c'era una cura e un'attenzione sicuramente maggiore; la linguistica è una disciplina difficile e se allora c'era una certa selezione si può dire che oggi la parola selezione è diventata un parolaccia. Oggi bisogna quasi fare finta di non pretendere niente: noi professori chiediamo di meno, chiediamo a volte il minimo indispensabile proprio per non respingere e per creare amore per la disciplina. Per quanto mi riguarda io credo di spiegare cose abbastanza di base e se queste sono difficili è perché la cultura è difficile."

A questo punto trova adeguato al quadro internazionale il livello di studio della linguistica in Italia?

"Assolutamente si. Io trovo che la linguistica in Italia sia di altissimo livello: oggi, ad esempio, abbiamo constatato con orrore che nell'etimologia i contributi di linguisti italiani straordinari non vengono citati perché gli studiosi anglosassoni non vogliono fare lo sforzo di leggere l'italiano, anche se lo potrebbero fare tranquillamente perché l'italiano non è una lingua illeggibile, non è il turco. I nostri sono studiosi di un certo livello purtroppo non sufficientemente apprezzati da chi pretende che si parli in inglese e ci si esprima in inglese."

Quale università in Italia brilla particolarmente per gli studi in campo linguistico?

"L'Orientale, ovviamente!"

E in quale contesto internazionale invece lo studio della linguistica è particolarmente vivace secondo lei?

"Oggi un po' dappertutto: ci sono state delle epoche in cui brillavano determinati Paesi. Nell'ottocento, ad esempio, brillava la Germania, poi la fiaccola è stata presa dalla Francia, poi ancora dalla Gran Bretagna. Se dicessi che oggi la linguistica è particolarmente sviluppata in America direi una sciocchezza perché lì ci sono stati e ci sono ancora dei grandi linguisti. Ho citato Sapir, che è un grandissimo come lo è del resto Chomsky ma ci sarebbero tanti nomi di grandissimi linguisti anche a livello europeo."

Se dovesse invece farci il nome di un linguista italiano per il quale ha o ha avuto una grande considerazione?

"Ho ammirato moltissimo tre linguisti che sono tre veri capiscuola: Belardi, che ho conosciuto personalmente e che è morto più di recente rispetto agli altri; Pisani che insegnava a Milano e Devoto che insegnava a Firenze. Tra questi non ci metto il mio maestro che è invece nel mio cuore: a lui devo moltissimo e per questo è fuori classifica."

Come vede invece il futuro dell'università pubblica in Italia?

"Lo vedo male: spero che ci si possa riprendere. Non credo che il futuro sia nell'università privata, anzi di questo sono sicura; bisogna che le università italiane, come abbiamo detto anche nelle riunioni accademiche della nostra Società, abbiano la forza di reggere e di resistere. Tutti stiamo facendo la nostra parte: sono contraria al pessimismo diciamo metodologico! In tutti i casi c'è bisogno di persone che si formino bene e che per questo devono formarsi nel pubblico. Noi all'Orientale abbiamo soprattutto ragazzi che vengono dalla provincia di Napoli e se penso anche ai contesti in cui questi ragazzi vivono mi rendo conto del fatto che l'università pubblica ha un grosso compito."

Cosa sta leggendo e cosa sta scrivendo in questo periodo?

"In questo periodo sto leggendo, anzi sto rileggendo Virginia Woolf che mi piace pazzamente; tutte le volte che la leggo provo un'ammirazione sconfinata per la grandezza di questa scrittrice. Quanto a ciò che sto scrivendo sto lavorando già da tempo ad una traduzione del Padre Nostro."

E in futuro cosa le piacerebbe scrivere?

"Intanto voglio continuare a raccogliere le cose che ho già scritto e poi voglio sicuramente continuare a scrivere di etimologia."

Ma riscriverebbe tutto ciò che ha scritto?

"Sì, riscriverei proprio tutto, anzi confesso che quando mi rileggo mi piaccio moltissimo!"

Un auspicio di Cristina Vallini per l'università italiana.

"Il mio auspicio è che l'università ritrovi innanzitutto i soldi, perché senza quelli non si fa niente, ma anche e soprattutto il coraggio e l'orgoglio di essere università italiana."

Intervista raccolta da Francesca De Rosa - Direttore: Alberto Manco

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