Daniel Tarozzi, raccontare la realtà attraverso Internet

 

Daniel Tarozzi, raccontare la realtà attraverso Internet

Daniel Tarozzi

“Né nucleare, né petrolio, né solare. Semmai ridurre gli sprechi”

Dottor Tarozzi, le Giornate di studio che si terranno dal 24 al 26 marzo all'Orientale nella sede di Procida sono dedicate a “Comunicazione e Ambiente”. Su che cosa verte il suo intervento?

“Presenterò ilcambiamento.it come l’esperienza di un giornalismo sul Web che si interessa di tematiche ambientali e delle eventuali possibilità di raccontare la realtà tramite Internet: tali tematiche sono divenute drammaticamente di moda con la crisi, prima climatica e adesso purtroppo anche nucleare. C’è una vera e propria corsa al parlare di questi argomenti ma spesso lo si fa in modo molto superficiale: green-economy, greenwashing… oggi è tutto eco o green! Proprio per questo io, prima con Terranauta nel 2004 e adesso con Il cambiamento, sto cercando, insieme ad un gruppo di collaboratori, di fare un giornale che racconti tutto quello che gli altri giornali non dicono, o perché si focalizzano su altri temi, o per una particolare scelta dovuta al fatto che parlare di queste cose significa andare ad intaccare pesantemente tutto il sistema economico e politico.”

Come considera il rapporto tra la quantità e la qualità delle informazioni che circolano su comunicazione e ambiente?

“Le informazioni su questi argomenti sono tante sul Web e ultimamente stanno prendendo piede anche sui giornali, ma oltre alla quantità e alla qualità bisognerebbe focalizzare l’attenzione sul tipo di spazio che questa informazione occupa: nei giornali, per esempio, ancora oggi rappresenta un fenomeno un po’ di nicchia. In effetti come così come le pagine dello sport o della cultura, ci sono le pagine dedicate all’ambiente e questo già toglie valore a queste notizie che invece meriterebbero la prima pagina, sicuramente molto più che le dichiarazioni di questo o quel politico. Quando si parla di inquinamento, che incide sulla salute delle persone, pensiamo all’Ilva di Taranto o ai rifiuti a Napoli: insomma se ne parla sempre quando ormai è troppo tardi, quando è scoppiata già l’emergenza, ma non si vanno mai ad analizzare le cause, le possibili soluzioni. C’è quindi una grande quantità di informazione, presentata non sempre bene, mentre per quanto riguarda la qualità, senza voler essere ingenerosi con tutti i giornalisti che fanno bene il proprio lavoro, il mio giudizio è decisamente negativo. Secondo me non si fa vera informazione sulle tematiche ambientali: si rimane sullo scandalo o sul dramma ma non si va mai alle cause e, soprattutto, non si raccontano mai le buone notizie come quelle che riguardano esperienze virtuosissime di comuni che hanno eliminato i rifiuti, di raccolte differenziate a livelli altissimi, di efficienza energetica. Non serve infatti né il nucleare né il petrolio e nemmeno il solare: occorre semplicemente ridurre gli sprechi. Su tutte queste cose manca completamente l’informazione o la si trova solo, ripeto, in piccolissime nicchie: negli ultimi tempi sul Web sono nati molti giornali di qualità ma questo proliferare di attività finisce per squalificare il tutto: il fatto che ci siano moltissimi siti green e moltissimi siti eco è un buttare tutto nel calderone. Si pubblicizza ad esempio l’acqua ecologica in bottiglie biodegradabili ma il problema vero riguarda il come viene trasportata quest’acqua in tutta Italia: l’acqua del nord viene venduta al sud e viceversa e chiaramente tutto ciò non è ecologico ma rappresenta un semplice espediente per inseguire la moda. Il Web è un’ottima fonte di informazioni ma bisogna imparare a selezionare. Riguardo al Web in generale sono comunque molto ottimista: oltre a moltissimi giornali ci sono anche molti blog che riescono a dare una giusta informazione. Per quanto riguarda la televisione invece la situazione è più drammatica, fatta eccezione per quei programmi che, come Report, fanno ottima informazione ambientale. In questi giorni con la crisi nucleare c’è veramente pochissima informazione su quali sono i rischi reali: non vengono mostrati i dati scientifici, non si crea un dibattito basato sui fatti e su quali sono realmente le alternative. Lo stesso vale per ciò che concerne il cambiamento climatico o la guerra in Libia: il motivo per cui tutto il Nord Africa è disseminato di guerre riguarda il petrolio e quindi ambiente, ma le cause, anche in questo caso, vengono tralasciate.”

Esiste una seria identificabilità della comunicazione ambientale di destra o di sinistra?

“Secondo me la comunicazione ambientale non dovrebbe essere né di destra né di sinistra: erroneamente si è cercato e si cerca tuttora di identificare l’ambiente come un qualcosa che riguardasse la sinistra perché in Italia storicamente tutti i valori sociali sono nati a sinistra. In realtà in un ottica moderna, ammettendo che continuino a esistere queste divisioni tra destra e sinistra, la comunicazione ambientale deve riguardare tutti. Per dirla tutta quando parliamo di sensibilità ambientale, considerando tutto il discorso sul localismo, sul chilometro zero e sulla valorizzazione delle risorse locali, parliamo di un concetto più vicino alla destra, chiaramente non la destra reazionaria e razzista. Ora però si è scompaginato tutto: ci sono valori che erano di sinistra e ora sono di destra e viceversa. Penso quindi che l’ambiente debba essere un tema che unifichi tutti.”

Ci fa un esempio efficace di comunicazione ambientale?

“A livello televisivo torno a citare le puntate di Report come quella relativa all’inchiesta sui rifiuti a Roma o quella sugli inceneritori; a livello cartaceo ci sono delle riviste di settore che fanno buona informazione: Terranova, Il Consapevole del gruppo Macro, La Nuova Ecologia e, in modo indiretto, parla molto bene di ambiente anche il giornale Internazionale. Sul Web ce ne sono di più: a parte Il cambiamento c’è il sito greenme, e anche il blog di Beppe Grillo – con questo non voglio dire che condivido le sue idee politiche ma a livello di informazione su questi temi siamo su buoni livelli – e poi ci sono il blog crysis e il blog petrolio di Debora Billi.”

Una vecchia questione: è lo strumento il messaggio, o è il messaggio lo strumento?

“Credo che lo strumento influenzi inevitabilmente il messaggio ma che comunque il messaggio dovrebbe andare al di là dello strumento: non saprei schierarmi apertamente su questa cosa. Sicuramente il Web, che è lo strumento che conosco meglio, ha comportato in qualche modo una mutazione nella percezione della realtà ed è quindi diventato il suo stesso messaggio: il Web, che nasceva come sistema militare, è diventato inevitabilmente uno strumento di libertà ma in alcuni casi anche di dipendenza. Direi quindi che lo strumento è il messaggio ma non sono convintissimo.”

Ci sono a suo avviso eco-mode orientate dalla comunicazione di specifici canali massmediali? Ci farebbe un esempio?

“Assolutamente sì e la ritengo una cosa in parte negativa perché si sta sfruttando una sensibilità diffusa per mercificare; d’altra parte però questo può essere visto come un segnale positivo perché vuol dire che questa sensibilità c’è. Per me un esempio negativo è la pubblicità di una nota casa di automobili che per pubblicizzare la propria auto la definisce eco-chic e questo utilizzo della parola eco è paradossale perché si sfrutta una particolare sensibilità. La gente è stanca dell’inquinamento, del traffico, della spazzatura e vorrebbe che l’ambiente fosse meraviglioso e quindi si vedono queste belle auto che corrono in mezzo ai boschi, che tra l’altro non ci sono più, e non ci si rende conto del fatto che è proprio per far camminare quell’auto che bisogna disboscare e che l’auto è prevalentemente usata per stare in mezzo al traffico per ore inquinando e distruggendo il nostro pianeta. Magari ci mettiamo il gpl e quindi la macchina è eco, ma come è stata prodotta quell’auto? Come verrà smaltita? Da dove viene il combustibile? Oggi tutto è eco, la parola è ovunque ed è totalmente inflazionata.”

Esauribilità delle risorse, nuove forme di gestione delle risorse: a che punto si è? Fa un esempio di comunicazione efficace su questo tema da parte di uno specifico canale massmediale?

“La risorsa principale attualmente è il petrolio: secondo molti il dubbio non riguarda il raggiungimento del picco del petrolio, e con picco del petrolio non s’intende il suo esaurimento ma semplicemente che estrarlo diventa sempre più costoso e quindi economicamente svantaggioso. Quando si supererà il picco del petrolio l’economia crollerà perché oggi il petrolio non è solo legato alla nostra mobilità e alle auto ma anche ai prodotti alimentari: ci basti pensare che la crisi in Libia ha portato all’aumento dei prezzi del cibo perché tutto viene trasportato tramite auto, aerei o treni che si muovono direttamente o indirettamente a benzina. Le crisi energetiche comportano aumenti del nostro cibo: noi, vivendo in città, siamo totalmente dipendenti dai prodotti che acquistiamo nei negozi grazie al petrolio e la crisi della risorsa petrolio è imminente. Abbiamo pochissimo tempo quindi per invertire drasticamente quanto stiamo facendo e, o lo facciamo noi o lo faremo comunque noi ma subendolo perché ormai si è giunti a un punto di non ritorno. L’unico canale che ha dato vera informazione sull’esauribilità delle risorse è il Web: tramite Youtube, ad esempio, sono stati diffusi una serie di video che arrivano dal mondo anglosassone; tanto per citarne uno The Story of Stuff, «la storia delle cose», che secondo me è uno dei video più efficaci realizzati su questo argomento.”

Cosa pensa delle cosiddette energie alternative? Ci sono casi esemplari di comunicazione sulla questione?

“Penso che le energie rinnovabili siano l’unica possibilità di approvvigionamento a livello energetico: sono totalmente contrario al nucleare, non per motivi ideologici ma per motivi logici, e mi riferisco al problema delle scorie, però non ci prendiamo in giro, non esiste un’energia totalmente rinnovabile. Il sole è un’energia rinnovabile ma il pannello solare è un oggetto che viene costruito con dei materiali e poi va rottamato e lo stesso discorso vale per le pale eoliche. Con questo voglio dire che non esiste una soluzione magica al problema energetico che non si risolverà puntando solo su un tipo di energia ma facendo un mix di solare, eolico, geotermico, idroelettrico e, possibilmente, non con i mega impianti che sottraggono spazio all’agricoltura ma mettendo i pannelli solari sopra ai tetti dei capannoni, delle case, mettendo mini eolico ovunque e così via. Ma tutto questo discorso non ha alcun senso se noi non abbattiamo gli sprechi: la vera energia rinnovabile è il risparmio energetico e quando parlo di questo non parlo di rinunciare al computer e all’auto ma parlo di evitare gli sprechi. Noi sprechiamo il 70% dell’energia perché le nostre case sono costruite in modo tale da sprecarla: il riscaldamento è la prima fonte di inquinamento, prima ancora delle automobili, e quindi invece di impazzire con solare o eolico se cominciassimo a ristrutturare le case degli italiani ci sarebbe una marea di occupazione, la gente pagherebbe meno bollette e si inquinerebbe molto meno. Per concludere, la prima fonte rinnovabile in questo momento nel nostro Paese è il risparmio energetico e l’efficienza energetica. Per quanto riguarda la comunicazione ci sono alcuni spot di aziende che mostrano quanto siano brave a costruire pannelli solari ma se devo dire che esiste una campagna che unisce al messaggio anche una informazione valida non me ne viene in mente nessuna.”

Come è rappresentato in Italia sul piano della comunicazione il quadro europeo delle reali emergenze ambientali ?

“Malissimo. In Italia o non si parla di queste cose o se ne parla male: penso che siamo tra i paesi in cui queste cose sono rappresentate peggio.”

Politiche ambientali, finanza, economia. Sponsorizzazioni, preorientamento della percezione positiva del marchio. Ingenti investimenti di tipo comunicazionale spingono a consumare risorse primarie, oltre quelle effimere. Un esempio che caratterizza l’Italia: le acque minerali. Cosa dice a questo proposito? E avrebbe qualche altro esempio da suggerire?

“Secondo me la spinta verso il consumo dell’acqua minerale è uno dei più grandi crimini nei confronti dell’umanità: l’acqua è la base della vita ed è resa merce. Si dibatte molto contro la privatizzazione dell’acqua pubblica ma non ci si rende conto che ci hanno convinto a comprare l’acqua e, non solo noi l’acquistiamo, ma acquistiamo anche l’acqua che viene dal lato opposto dell’Italia, quindi oltre a finanziare l’uso della plastica, il cosiddetto usa e getta che è una vera aberrazione, finanziamo anche i camion che inquinano il Paese per portare l’acqua del Trentino in Sicilia e viceversa. È un paradosso agghiacciante legato al modo in cui è impostata la nostra economia che, essendo incentrata sul consumo di merci, punta a mercificare tutto. Un altro esempio che posso fare è relativo alla plastica, che viene dal petrolio: il petrolio rappresenta una risorsa in sé straordinaria, poiché è con questo che abbiamo innovato la mobilità, ma abbiamo esaurito in cento anni gran parte dei giacimenti disponibili su questo pianeta, giacimenti che sarebbero bastati per millenni se ce ne fossimo serviti con coscienza e consapevolezza. Non esiste nessuna fonte in grado di sostituire il petrolio ma l’uso che se ne è fatto come fonte e il conseguente inquinamento, buste di plastica, bottiglie, usa e getta, è una vera mostruosità.”

Un’azione massmediale per salvare il Pianeta…

“Io credo che bisogna trovare il modo per far capire alle persone che non sono i politici o le multinazionali a dover cambiare le cose, ma siamo noi a doverle cambiare con le nostre azioni quotidiane. Siamo noi con i nostri spostamenti e il nostro consumo sregolato a distruggere il pianeta, con il nostro riscaldamento e i nostri acquisti. Io cercherei di costruire un video che possa girare sia sul Web che in televisione, un video molto duro, scioccante, sugli effetti delle nostre azioni, sulla morte e la distruzione che provocano, e che subito dopo proponga delle alternative perché se dopo la denuncia non c’è la proposta non si ottiene niente se non lo spaventare la gente. Ottimi esempi di video di questo tipo li ha fatti Green Peace, ad esempio con la sua campagna contro la deforestazione del Borneo che nel giro di venti giorni riuscì a convincere una nota azienda a non tagliare più alberi nella foresta indonesiana.”

Lei è stato il fondatore e direttore per circa sei anni della rivista online Terranauta, fino a quando nel giugno del 2010 ha deciso di interrompere le pubblicazioni per dedicarsi ad un altro progetto: ilcambiamento.it; ci parli dell’esperienza di Terranauta e dei suoi protagonisti e ci motivi la scelta di dare vita ad un altro progetto.

Terranauta nasce come un progetto mio e di Francesca Giomo nel 2004. Dopo essermi laureato nel 2002 con una tesi sul giornalismo di inchiesta tra stampa e Rete andai a Milano e cominciai a lavorare nel campo del video, ho fatto l’autore televisivo e il documentarista ma la mia passione era il giornalismo. Nel 2004 incontrai Francesca e decidemmo di creare un giornale, perché non riuscivamo a fare del giornalismo come lo volevamo noi: creammo così Terranauta al quale iniziammo a lavorare nel dicembre 2003 per andare online nel maggio 2004 appoggiandoci ad un editore, «Fn Editrice», che semplicemente ci dava una ragione sociale ma non ci pagava per farlo. L’accordo con «Fn Editrice» consisteva nel fatto che noi davamo visibilità alle loro cose e loro ci pagavano il server e le spese di gestione del sito: nacque così questo giornale che all’inizio aveva un taglio più generalista e si incentrava su ecologia e spiritualità ma, andando avanti per qualche anno, ci orientammo sempre più su tematiche ambientali ottenendo un successo inaspettato in termini di attenzione. Nel 2008 però Francesca Giomo decise di prendere un'altra strada, e io non facendocela più a fare Terranauta volontaristicamente decisi assieme al mio piccolo gruppo di collaboratori di fare il salto di qualità: incontrammo la Macro Edizioni, un editore di Cesena abbastanza noto al quale cedemmo gratuitamente la proprietà del giornale in cambio dello stipendio per me e per una persona che mi assisteva in redazione, oltre che dei minimi compensi per i collaboratori. In quel periodo Terrannova diventò quello che si può vedere ancora oggi online. Questa esperienza in Macro Edizioni durò circa un anno e mezzo durante il quale il giornale andò molto bene nonostante non venisse fatto alcun tipo di investimento e di pubblicità. Nel 2010 capii però che il giornale in sé non era più sufficiente e che doveva essere accompagnato da una serie di altre cose, e mi resi anche conto di avere una diversità di opinioni con il mio editore: così decisi di andare via, e con me tutta la redazione storica formata nel 2004. Fondammo così, grazie al finanziamento dell’associazione Paea, Il cambiamento che è un po’ l’evoluzione di Terranauta e che, accanto al giornale, affianca altre aree come quella della formazione che partirà a breve e che consisterà in una serie di schede di approfondimento cercando quindi di mettere a fianco della denuncia anche la proposta: se si parla ad esempio di petrolio ci saranno delle schede che insegnano come non usare il petrolio; se si parla di rifiuti ci saranno delle schede che spiegano come smaltire i rifiuti. Ci sarà poi l’area azione che si svilupperà nell’area incontri e geolocalizzazione: una volta iscritti si potranno incontrare persone vicine con le quali mettere in pratica proposte concrete di cambiamento; infine l’area reti dove si metterà a disposizione delle varie associazioni uno spazio autogestito in modo che intorno a Il cambiamento sarà possibile incontrare altre realtà.”

IlCambiamento.it presenta le varie categorie divise in: Conoscere e Cambiare.

“Anche qui è perché c’è la necessità che da un lato ci sia la denuncia, che tendenzialmente rientra nella parte «conoscere» del giornale, e dall’altro la proposta, che è quella che poi manca nella maggior parte dei giornali. Quindi in «conoscere» seguiamo un po’ l’agenda, che è anche quella dei grandi mass media, e nella parte «cambiare» raccontiamo tutte quelle esperienze di cambiamento, italiane o straniere, nei vari campi che trattiamo, quindi i rifiuti, la bioedilizia, gli stili di vita quotidiani, l’economia, la società; insomma azioni concrete per un mondo diverso.”

Crede che i mezzi di comunicazione di massa possano contribuire alla diffusione di una nuova coscienza ecologica globale?

“Sì, senz’altro e non lo stanno facendo, fatta eccezione per Internet e i libri. Se la televisione dedicasse mezz’ora a sera a questi temi avrebbe un ritorno straordinario a livello di impatto sul pianeta ma non essendoci da nessuna parte un tipo di televisione fatta così penso che la possibilità sia prevalentemente legata al Web e agli approfondimenti video o librari. In che modo? Informando e proponendo, facendo vedere tutto ciò che funziona.”

In che modo è possibile intervenire sui media al fine di invertire quel flusso che propone modelli di consumo sregolati e dannosi?

“I modi sarebbero molteplici: i media sono finalizzati alla pubblicità e la pubblicità al consumo, quindi finché i mass media dipendono dalla pubblicità non possono lottare contro i consumi. Per questo l’unica speranza è Internet, perché è l’unico media che seppur con una fatica mostruosa permette di fare informazione con pochi soldi, il che non è sempre un vantaggio perché avere pochi soldi vuol dire non poter fare inchieste come si dovrebbe ma vuol dire anche non dipendere da multinazionali che vogliono che si aumentino i consumi.”

Quale crede siano i doveri di ogni individuo per far sì che questo cambiamento, questa inversione di rotta, si concretizzi?

“Penso che il dovere di ognuno sia quello di farsi continuamente domande e sentire sulla propria pelle la responsabilità del mondo, capire che ogni nostra azione è anche una scelta politica. Quando vado a fare la spesa, può sembrare banale, ma è lì che decido. Quando non mi chiedo cosa c’è dentro ad un prodotto faccio male al pianeta ma faccio male anche a me stesso. Noi non sappiamo più cosa mangiamo, mangiamo medicine, mangiamo OGM (Organismo Geneticamente Modificato), mangiamo schifezze di ogni tipo senza saperlo. L’unica soluzione è farsi delle domande, scoprire cosa si nasconde dietro le etichette. Se cerco la soluzione da altri mi prenderanno sempre in giro, mi diranno che c’è la macchina eco-chic, e che per essere ecologici bisogna usare i pannelli solari, ma se per costruire i pannelli solari si toglie spazio all’agricoltura non si fa bene all’ambiente. Si fa bene all’ambiente solo ponendosi domande.”

Secondo lei qual è la relazione tra comunicazione e ambiente?

“È un rapporto scadente: l’ambiente in questo momento è solo un eccezionale strumento per vendere. La campagna di Obama era tutta green ma lui non ha fatto niente per l’ecologia, anzi, le sue prime azioni sono state far cadere l’accordo di Copenaghen. Quella che è orrendamente definita controinformazione è l’informazione vera: lì il rapporto ha potenzialità enormi perché l’ambiente è tutto, ambiente vuol dire qualità della vita, vuol dire salute, e di più importante non c’è niente.”

Quale potrebbe essere un primo passo verso un mutamento di costumi e di abitudini in favore di un nuovo modello di consumo critico ed ecosostenibile?

“Credo che l’unico passo concreto sia quello di cambiare stile di vita ed orientarsi verso una maggiore sobrietà. Ci tengo a specificare che parlare di queste cose non significa ritornare nelle caverne, non usare il cellulare e il computer: abbiamo una marea di cose superflue e sta a ognuno di noi la scelta per decidere cosa è necessario e cosa non lo è in base ai propri valori. Bisogna scegliere però quello che provoca un minor impatto ambientale: l’impatto zero, vero e proprio, non esiste ma si può cercare di minimizzarlo tanto.”

Davide Aliberti

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