Diversità culturale nel Mondo arabo e in Marocco
Diversità culturale nel Mondo arabo e in Marocco
Nadia Amine parla della ricchezza dell’altra sponda del Mediterraneo, alla luce delle recenti rivoluzioni arabe e della redazione della Nuova Costituzione in Marocco
Quando si parla di Mondo Arabo l’immaginario Occidentale, ancor più di quello “Orientalista”, tende immediatamente alla fabbricazione di un blocco monolitico uniforme basato per lo più su stereotipi, se non su veri e propri pregiudizi. Un blocco che la prof.ssa Nadia Amine, docente di Letteratura Italiana presso l’Università Mohammed V Agdal -Rabat del Marocco, ha demolito con sorprendente rapidità nell’àmbito del Laboratorio Intermediterraneo che ha preso il via la settimana scorsa a cura della prof.ssa Maria Donzelli. Attraverso gli incontri di mercoledì 2 e giovedì 3 novembre la docente marocchina ha infatti svelato il quadro della diversità culturale del suo Paese e non soltanto, alla luce delle recenti rivoluzioni arabe e della redazione della Nuova Costituzione; una dimensione che si configura come l’insieme di varie realtà linguistico-dialettali, etniche e religiose esistenti sin dagli albori della società araba. Musulmani, copti ed ebrei hanno sempre convissuto più o meno pacificamente e, ancora oggi, nonostante la maggior parte degli stati abbia fatto propri i principi della Dichiarazione Universale dell’UNESCO del 2001, i livelli di integrazione restano disomogenei. Basta guardare alle realtà tribali della Libia e dello Yemen; ai curdi, armeni e turkmeni in Siria o alla questione dei Cristiani in Egitto…
I conflitti sono continui, frutto di decolonizzazioni arbitrarie in alcuni casi e , in altri, di politiche governative di repressione e discriminazione, celate a volte dietro maschere di tolleranza teorica, come quelle indossate da Mubarack o da Bashar al-Assad, il quale, fatti alla mano, non si è poi dimostrato molto diverso dal padre, mandante di numerosi eccidi, che hanno dimostrato e dimostrano quanto il diritto alla sopravvivenza delle minoranze sia legato ai capricci dei dittatori. Questi ultimi hanno sempre cercato di adottare vere e proprie strategie di manipolazione, sfruttando le divisioni interconfessionali come minacce all’identità nazionale per mantenere saldo il proprio potere, ergendosi come paladini della bandiera del panarabismo alla quale, nell’era della globalizzazione, sempre meno Arabi sembrano credere. I manifestanti non sono più ciechi, né sordi: nel corso di questi mesi hanno infatti protestato tutti assieme contro i regimi che li opprimevano, gridando slogan di unità che dovrebbero far ricredere chi, nel timore post-rivoluzionario, teme lo spettro di una frattura identitaria. I maggiori segni di speranza sono riscontrabili proprio nel Maghreb, dove le rivendicazioni dei diritti dei Berberofoni paiono essere state ascoltate. Almeno sulla carta. Dopo le revisioni subite, la Costituzione Marocchina del 1° luglio si configura come il frutto più tangibile della Primavera Araba e del movimento del 20 febbraio. Il re Mohammed VI ha ben recepito le richieste del suo popolo, realizzando importanti riforme che, da un lato, gli hanno consentito di restare sul trono anche perdendo la sacralità della propria figura, e, dall’altro, hanno permesso di dar voce a critiche a malapena sussurrate nel passato: l’allargamento delle libertà individuali e collettive con la sharia non applicata scripto sensu, la revisione dello Statuto Personale della donna, l’indipendenza della giustizia, elezioni libere e sincere, la formazione di una Corte Costituzionale, un Governo eletto dalla volontà popolare, e soprattutto la consacrazione della pluralità dell’identità del Paese sono alcune fra le conquiste ottenute.
Oltre al preambolo, numerosi articoli fanno riferimento all’eterogenea ambientazione della regione, sancendo come essa sia risultata arricchita “dalla convergenza delle componenti arabo-islamiche, Amazigh e Saharo-Hassani con gli affluenti africano, andaluso, ebraico e mediterraneo” e definendo come “patrimonio comune a tutti i marocchini, senza eccezione” la lingua berbera. Immediata conseguenza, dovrebbe esserne l’introduzione nelle scuole, all’interno delle quali vi si prevede un inserimento completo entro il 2013, mentre, per il momento l’arabo classico ed il francese continuano a farla da padroni. Per non parlare dell’amministrazione e dei media. Tutto questo, del resto, non può certo nascondere l’esistenza di un fronte conservatore che percepisce questi come attacchi alla tradizione: in Parlamento vi sono state numerose battaglie, portate avanti in prima linea dal partito islamico, in special modo sul fronte dell’emancipazione femminile e della laicizzazione dello Stato. Molti modernisti speravano nell’introduzione del concetto di libertà di coscienza, ma non l’hanno spuntata. Non resta che confidare nella gradualità del processo, con le giuste preoccupazioni e senza lasciarsi sopraffare dallo scetticismo. Nadia Amine ci crede con tenacia e deve farlo, così come, quando suo figlio le chiede “Mamma, ma io sono Arabo?”, deve rispondergli di sì: “Sì, sei questo e tanto altro”.
Annamaria Bianco