Donatella Di Cesare: vi racconto Eugenio Coseriu

 

Donatella Di Cesare: vi racconto Eugenio Coseriu

Un libro di Donatella Di Cesare

In occasione del convegno “Dire le cose come sono” in onore di Eugenio Coseriu il Web Magazine dell'Orientale ha intervistato la professoressa Donatella Di Cesare

Professoressa Di Cesare, chi era per lei Eugenio Coseriu?

“Per me Eugenio Coseriu è stato un grande Maestro ma, devo dirlo, è stato per me anche un padre. Ho studiato da lui quattro anni, dal 1979 al 1983 a Tübingen, ma poi sono rimasta molto legata e quindi ho continuato a vederlo anche negli anni a seguire quando vivevo a Heidelberg ed andavo sempre a trovarlo a Tübingen. Fino all'ultimo sono rimasta legatissima a lui.”

Qual è stato, a suo parere, il contributo più significativo che Coseriu ha dato alla linguistica e alla filosofia del linguaggio?

“Coseriu è stato anzitutto un grande umanista che ha avuto la capacità di muoversi tra lingue e tra culture diverse, e il grande contributo che lui ha dato, a mio avviso, è quello di un approccio interdisciplinare: questa è la sua originalità; per cui è stato un linguista però all'interno di un orizzonte filosofico. Faccio un esempio: per Coseriu il linguista in un certo senso finge perché finge di non essere più 'parlante', e allora la consapevolezza del linguista deve essere, per Coseriu, una consapevolezza filosofica, cioè il linguista ha bisogno di riflettere filosoficamente. Per un altro verso, il filosofo del linguaggio ha bisogno anche di essere un linguista, cioè non può parlare semplicemente del linguaggio se non ha delle conoscenze e delle cognizioni. Quindi questo, a mio avviso, è stato innanzitutto il grande contributo complessivo di Coseriu.”

Quali sono i rapporti e dove marchiamo i confini tra linguistica e filosofia del linguaggio?

“Per Coseriu c'è una distinzione importante che lui traccia tra linguistica, teoria del linguaggio e filosofia del linguaggio. Per Coseriu la filosofia del linguaggio, quindi la domanda filosofica, è una domanda non solo legittima, non solo giustificata ma indispensabile. Un esempio che lui faceva sempre è quello di una nave attraccata ad un porto: se io mi interrogo sulla nave, sulla storia della nave, se la descrivo e dico «questa nave è grande e bianca» sto facendo una descrizione della nave che è anche, ovviamente, una descrizione storica e quindi qui sono in un ambito storico in cui anche il linguista si deve muovere; se invece mi chiedo se questa nave attraccata al porto è il rappresentante, l'esponente di una specie – la specie della nave – allora qui mi muovo nell'ambito scientifico, cioè la risposta mi deve indicare i tratti che caratterizzano la specie della nave, la 'navità' potremmo dire – piaceva a Coseriu parlare facendo questo riferimento a Platone – e quindi qui ci muoviamo in un ambito per così dire 'scientifico'. Però poi, se invece mi pongo la domanda sull'esserci della nave, sul perché dell'esserci della nave, mi sto ponendo una domanda filosofica. Quindi la nave resta sempre la stessa, l'oggetto è sempre lo stesso ma in un caso si tratta dell'oggetto particolare – di cui fornisco una descrizione e una storia – nel secondo caso, la domanda scientifica, cerco di dare una classificazione e quindi una definizione; nel terzo caso invece, in qualche modo, mi interrogo sull'esserci della nave ma mi interrogo anche sui rapporti, per esempio, tra la nave e gli altri oggetti, tra la nave e me. Quindi la domanda filosofica per Coseriu è una domanda che, in un certo senso, ha un primato, non è una domanda secondaria: nel caso del linguaggio è la domanda, per esempio, del rapporto tra linguaggio e arte, tra lingua e uomo, che è la grande domanda di Coseriu.”

Lei ha conseguito il dottorato di ricerca proprio con Coseriu a Tübingen a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta. Qual è stato l'insegnamento personale più importante ricevuto da questo illustre Maestro?

“Beh, ho ricevuto tanti insegnamenti, sicuramente quello più importante è stato il sacrificio. Coseriu veniva da una famiglia poverissima e lavorava notte e giorno pur essendo allora già professore ordinario – aveva una cattedra importantissima a Tübingen che era la cattedra di Allgemeine Sprachwissenschaft, di Linguistica generale, e di Filologia romanza – e quindi ho imparato l'importanza del lavoro, del sacrificio e anche dell'umiltà, cioè di saper ascoltare e soprattutto leggere i testi degli altri.”

Crede sia cambiata la ricezione di Coseriu negli ultimi anni, anche alla luce delle nuove tendenze di ricerca in campo linguistico, ad esempio quella delle scienze cognitive?

“Penso di sì. Penso sia cambiata la ricezione di Coseriu e lui, probabilmente, per alcuni versi non sarebbe contento perché non ha avuto mai simpatia per la scienze cognitive – ma non ha avuto mai simpatia per un certo approccio che lui avrebbe chiamato 'positivistico' agli studi sul linguaggio – e dunque la moda delle scienze cognitive ha prodotto negli ultimi anni delle interpretazioni del pensiero di Coseriu che io personalmente non condivido.”

Lei è autrice della celebre traduzione di Humboldt: quale è stata la più grande difficoltà in questa enorme impresa?

“La grande difficoltà è stata, indubbiamente, anzitutto studiare Humboldt, perché io non volevo fare una traduzione strumentale, non volevo semplicemente arrivare al risultato ma volevo passare attraverso le parole scelte da Humboldt; potrei fare molti esempi, da Weltansichtalla parola Andeutung,per cui ci ho messo tantissimo tempo a trovare un corrispondente accettabile in italiano. La difficoltà è stata quindi quella di applicare a Humboldt l'idea di una traduzione ermeneutica, anche nel segno di Coseriu, cioè una traduzione che in qualche modo rispetti l'originale e faccia emergere una nostalgia per l'originale, che cioè sia da stimolo per il lettore affinché prenda in mano il testo tedesco di Humboldt.”

Lei si è occupata e si occupa di grandi pensatori di varie epoche, da Humboldt a Heidegger a Gadamer passando per tanti altri: cosa pensa della “etichettatura”, in alcuni casi politicizzazione, dei pensatori che viene spesso fatta a posteriori: come recuperare una visione “neutrale”?

“Per quanto riguarda Humboldt, proprio pochi mesi fa ho partecipato a Berlino a un grande convegno organizzato dall'Accademia delle Scienze ed ho parlato proprio del pensiero politico di Humboldt, definendolo un pensatore della comunità. Le idee sui limiti dello stato, cioè il grande libro di Humboldt sul pensiero politico, ne fanno addirittura nemmeno un liberale ma quasi un anarchico, nel senso che lui mette in dubbio il concetto stesso di stato, quindi, da un punto di vista politico, Humboldt io lo collocherei senza dubbio all'interno di un pensiero critico, un pensiero di sinistra. Poi gli usi che ne sono stati fatti sono in realtà molteplici. Per quanto riguarda Heidegger il discorso è più complesso – e quindi richiederebbe una risposta molto più articolata – ma anche per quanto riguarda Heidegger credo che l'esempio di Platone sia un buon esempio, cioè Platone è il filosofo che però poi naufraga a Siracusa quindi i filosofi hanno sempre avuto il problema del naufragio delle loro teorie sul piano politico. Fa parte del filosofo stare al margine della città, della polis, come d'altra parte insegna Socrate: essere in fondo uno straniero e un estraneo e passare attraverso la città per interrogare criticamente gli altri. Non mi permetterei mai per questo di giudicare politicamente un filosofo, anche se mi rendo conto che il caso di Heidegger è un caso molto complesso, non per Heidegger in sé che, secondo me, per alcuni versi è un capro espiatorio – perché non si parla mai abbastanza del coinvolgimento delle scienze durante il periodo nazista – ma perché effettivamente il caso di Heidegger è un caso molto molto complicato per tanti motivi.”

Quali sono per Lei i must per una riflessione sulle lingue e sul linguaggio, in termini di testi e/o di autori?

“Per una riflessione non specificamente filosofica ma a tutto tondo, adesso a bruciapelo mi vengono in mente diversi testi. Sicuramente il saggio di Coseriu Forma e sostanza nei suoni del linguaggioche, secondo me, è uno dei testi più importanti della linguistica del Novecento; leRicerche filosofiche di Wittgenstein; In cammino verso il linguaggiodi Heidegger; il capitolo sulla logica poetica di Vico contenuta ne La scienza nuova; mi viene in mente anche il Cratilodi Platone ed anche, naturalmente, pagine importantissime di Aristotele.”

Lei ha una lunga esperienza di lavoro all'estero ed ha avuto modo di confrontarsi con diverse realtà accademiche nel mondo: cosa pensa dell'attuale situazione universitaria italiana, in particolare nell'ambito della ricerca?

“La situazione attuale in Italia è una situazione a dir poco catastrofica. Ai miei tempi, quando mi sono laureata nel '79, non c'era il dottorato di ricerca e quindi ho dovuto andar via e sono andata a Tübingen. Allora era molto difficile andare all'estero, adesso è più facile e quindi molti giovani vanno all'estero ma, purtroppo, restano all'estero perché vengono apprezzati, perché all'estero vengono dati borse di studio, supporti e sostegni per la ricerca. A me è capitato di veder andar via tanti allievi in questi ultimi anni; noi siamo in una situazione in cui non abbiamo neppure i soldi per comprare i libri che ci servirebbero e quindi, purtroppo, la situazione della ricerca e dell'università è una situazione che riflette la situazione generale di questo Paese. Se non ci sarà una ripresa, proprio per quanto riguarda la ricerca, l'Italia rischia di diventare un Paese del tutto periferico.”

Un'ultima domanda: a cosa sta lavorando al momento?

“Al momento sto lavorando, a dir la verità, a diversi progetti. In particolare sto lavorando a un libro sulla filosofia ebraica, un'introduzione alla filosofia ebraica, perché negli ultimi anni ho insegnato e mi sono occupata proprio di questo.”

Valentina Russo

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