Enikő Gréczi-Zsoldos: due lezioni all'Orientale

 

Enikő Gréczi-Zsoldos: due lezioni all'Orientale

La copertina dell'opera di Madách

La professoressa Enikő Gréczi-Zsoldos tiene due conferenze all’Università degli Studi di Napoli “l’Orientale” sulla letteratura e la lingua ungherese

10 maggio 2012 - Enikő Gréczi-Zsoldos ha tenuto due lezioni riguardati alcuni aspetti particolari della lingua e della letteratura ungherese lasciando ai partecipanti la possibilità di confrontarsi sui temi trattati.
La prima parte della conferenza ha avuto come oggetto i prestiti italiani nella lingua ungherese e come questi siano entrati a far parte del lessico comune. Un esplicativo power point ha mostrato alcuni tra i prestiti più evidenti come:
sparago > spárga, mostra > mustra, capisco > kapiskál, struzzo > strucc , spagnolo > spanyol, doge > dús.
A seguito di questi esempi si è aperto un dibattito tra i parteciparti su un particolare prestito per fenomeni sociali: digó. Questo termine abbastanza utilizzato e connotato negativamente designa nella lingua ungherese la visione stereotipata del maschio italiano. Si è cercato di ricostruire l’etimologia della parola anche attraverso l’utilizzo di dizionari etimologici scoprendo che deriva dal dialetto veneto (cfr. it. ven. digo) e la prima attestazione nella lingua ungherese risale al 1835 col significato di ‘uomo italiano’. Il termine entra nella lingua ungherese più volte tramite contatto diretto (le sue accezioni sono ‘italiano’, ‘contadino italiano’, ‘gelataio italiano, serbo’). Intorno agli anni Settanta del ventesimo secolo il termine ha assunto una connotazione dispregiativa e fa parte del gergo e del linguaggio scherzoso (digózik, ad esempio, vuol dire per le donne ‘andare in cerca di italiani’). Anche gli operai italiani che lavoravano nelle industrie ungheresi diedero forte impulso al lessico apportando molti dei prestiti analizzati da Enikő Gréczi-Zsoldos.
La seconda conferenza ha invece trattato di letteratura e della figura di uno tra i più importanti drammaturghi e poeti ungherese, Imre Madách (1823-1864). La professoressa ha cercato attraverso l’analisi di un rapporto epistolare dello scrittore Zsolt Harsányi (1887-1943) che ha scritto una vita romanzata sul drammaturgo (Ember küzdj!, 1932) di capire se l’opera maestra La tragedia dell’uomo (Az ember tragédiája, 1862) di Madách sia realmente stata scritta da lui o invece come sostengono diversi intellettuali ungheresi sia stata opera di un suo amico (László Bory). La vita di questo drammaturgo è stata ricca spesso di eventi per lo più tristi, separato dalla moglie, uccisi sorella, cognato e nipote della truppe rumene e incarcerato inseguito alla rivoluzione a cui aveva preso parte. Scrive intorno agli anni ’60 dell’Ottocento il romanzo geniale La tragedia dell’uomo, pubblicata nel 1962. La struttura dell’opera è hegeliana con una cornice biblica segnata dai tre protagonisti: Adamo, Eva e Lucifero sempre presenti nella storia sotto mentite spoglie. Lo scrittore ungherese Harsányi quando, nei primi anni del Novecento, decide di scrivere una vita romanzata dell’autore pubblica un appello nel Pesti Hírlap (Giornale di Pest) con l’obiettivo di raccogliere lettere e testimonianze su Madách. Egli riceverà 66 lettere e proprio queste sono state oggetto di studio della docente che ha cercato di individuare se l’opera maestra sia o meno da attribuire a Madách, considerato dai suoi contemporanei un mediocre scrittore di poesie. Al termine della conferenza si è cercato di dare una risposta al quesito iniziale affermando che la letteratura critica ungherese concorda nell’attribuire allo stesso Madách l’opera e non al suo amico László Bory che, prima di morire, aveva consegnato un suo manoscritto al nostro drammaturgo (A bolhák eredete, Mythologiai HőskölteményL’origine delle pulci. Poema epico mitologico’). Bory, sebbene mostrasse ambizioni letterarie, era inadeguato a scrivere una tale opera.

Tiziana Meninno

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