Franca Orletti: La nostra realtà è mediata dal linguaggio
Franca Orletti: La nostra realtà è mediata dal linguaggio
“Spegniamo i media per qualche secondo”
Professoressa Orletti, le Giornate di studio che si terranno dal 24 al 26 marzo all'Orientale di Napoli sono dedicate a “Comunicazione e Ambiente”. Su che cosa verte il suo intervento?
“Il mio intervento è sull'ambiente sociale, in realtà è sull'istituzione e sul rapporto che un linguista, in particolare un sociolinguista come me, può avere con l'istituzione giudiziaria: note di sociolinguistica giudiziaria, un'introduzione al problema”.
Come considera il rapporto tra la quantità e la qualità delle informazioni che circolano su comunicazione e ambiente?
“Più che la quantità bisogna migliorare la qualità. Bisogna innanzitutto capire cosa si intende per ambiente. Sebbene ci sia molta attenzione a certe tristi vicende, come quelle napoletane, che riguardano l'ecologia, spesso non si fanno circolare abbastanza dati a riguardo e in generale c'è più polemica che altro.”
Esiste una seria identificabilità della comunicazione ambientale di destra o di sinistra?
“La comunicazione ambientale non è né di destra né di sinistra, tutto dipende dall'utilizzo che se ne fa e dal fine con il quale la si fa. Non credo si possano più applicare certe dicotomie, come destra e sinistra, nell'attuale panorama italiano. Rispetto alla questione ambientale, così come rispetto ad altre questioni sociali, c'è una tale differenziazione anche all'interno della stessa corrente politica, con delle sfumature tali che parlare di destra e di sinistra sarebbe riduttivo: bisogna entrare nella notizia e cercare di capire.”
Una vecchia questione: è lo strumento il messaggio, o è il messaggio lo strumento?
“Qui mi invita a nozze, poiché è il medium che fa il messaggio. Questo è lo slogan di McLuhan, ed è estremamente importante perchè ci condiziona. Bisogna però fare veramente attenzione al veicolo, poiché questo ci condiziona le scelte linguistiche e non soltanto quelle linguistiche. In tutto ciò che viene detto o comunicato la scelta del mezzo – un medium scritto rispetto all'orale, la televisione piuttosto che il Web – ci condiziona. Dunque io credo fermamente nell'affermazione di McLuhan.”
Ci sono a suo avviso eco-mode orientate dalla comunicazione di specifici canali massmediali? Ci farebbe un esempio?
“Più che mode, in senso positivo citerei i comportamenti modellati dalla comunicazione ambientale come l'attenzione al riciclo; sensibilità che stanno emergendo nel nostro paese secondo me grazie anche alla comunicazione ambientale. Tra l'altro mi sembra che eco-mode possa essere usato più in senso dispregiativo, invece io mi riferisco a comportamenti culturali che si sviluppano grazie ad una forte sensibilizzazione massmediale.”
Esauribilità delle risorse, nuove forme di gestione delle risorse: a che punto si è? Fa un esempio di comunicazione efficace su questo tema da parte di uno specifico canale massmediale?
“Una pubblicità che mi è rimasta in mente è in realtà un esempio negativo: una pubblicità sull'energia nucleare a mio parere completamente fuorviante. Si diceva qualcosa del tipo ‘io sono a favore e tu no’ che non aiutava assolutamente a comprendere.”
Lingua, linguistica e ambiente: quali sono i rapporti tra biodiversità e diversità linguistica?
“Chiaramente c'è un forte rapporto tra diversità sociale e diversità linguistica. Rispetto alla biodiversità diventa un'affermazione molto forte. Ci sono delle radici genetiche e biologiche del linguaggio però non c'è un rapporto così immediato, non si può dire ci sia una correlazione stretta.”
Come si riflette linguisticamente la concezione che una popolazione ha dell'ambiente in cui vive?
“Ci sono varie ipotesi che hanno caratterizzato la riflessione socio-antropo-linguistica su questa questione: è il tipo di lingua, intesa anche come grammatica, che modifica la visione del mondo o viceversa? É la cosiddetta ipotesi Sapir-Whorf. In realtà ci sono posizioni differenziate, ci sono i classici esempi sulla quantità numerica, ad esempio una cultura non competitiva, non abituata a quantificare la realtà probabilmente avrà una minore attenzione nella propria grammatica ai concetti e alle categorie corrispondenti ai quantificatori. Un altro esempio interessante è quello di uno studio di un antropolinguista, un sociolinguista Charles Briggs che, studiando una cultura amerindia nordamericana, si rese conto che nella lingua non c'era una categoria per il domandare e che si imparava attraverso l'osservazione: in quella cultura era impossibile fare domande. Insomma bisogna rapportare la risposta alle diverse culture e poi decidere che tipo di approccio avere.”
Perché è necessario supportare progetti di raccolta di dati linguistici come il WALS (World Atlas of Language Structures) e tanti altri?
“È molto importante che la riflessione linguistica venga fatta sulla base di larghe masse di dati. Perchè si rifletta sull'uso della lingua la linguistica dei corpora o degli atlanti è una linguistica che ci può aiutare, poichè è fondata sugli usi reali della lingua. La linguistica formale parte da tutt'altri presupposti, poiché parte da frasi di laboratorio inventate dallo stesso linguista e non riesce a render conto del quotidiano. Per questo motivo è importante continuare gli studi di questo genere e continuare a raccogliere corpora.”
Quale ruolo ha o potrebbe avere la linguistica nell'attuale dibattito sulla salvaguardia dell'ambiente?
“Abbiamo già detto che il medium è fondamentale, e il linguaggio è un medium. Dunque la linguistica può essere intesa come consapevolezza. Uno dei temi di cui mi occupo, ad esempio, è il problema delle trascrizioni delle intercettazioni ambientali per le quali è necessaria una forte consapevolezza sociolinguistica, altrimenti si rischia di alterare ciò che viene trascritto. Ogni volta che si entra nella realtà sociale e ambientale la ricerca linguistica è di estrema rilevanza, perchè tutta la nostra realtà quotidiana è mediata dal linguaggio.”
Linguistica e comunicazione: quali sono i punti di contatto e quelli di divergenza tra le due discipline?
“Dipende dall'approccio teorico che si adotta. Se la domanda venisse posta ad un logico o formalista, un minimalista, la risposta potrebbe essere che vi sono limitati punti di contatto, e fino agli anni Sessanta si poteva dire che linguistica e comunicazione non si toccavano. Però se un linguista è un linguista secolare, come lo avrebbe chiamato Labov, o un sociolinguistica, considera lo strumento del linguaggio verbale come uno degli strumenti della comunicazione, che è multimodale. La lingua è una delle tante modalità con cui comunichiamo, quindi in realtà non c'è contraddizione tra le due.”
Che rapporto c'è tra la diffusione di tematiche ambientali a livello massmediatico e lo sviluppo di tassonomie per tale campo semantico in lingue diverse?
“C'è uno stretto rapporto perchè quanto più è alta la sensibilità ambientale, maggiore è il numero delle categorie e risorse linguistiche che si sviluppano, anche in prospettiva storica. Le lingue introducono attraverso prestiti o calchi parole per concetti nuovi. Quindi quanto più c'è sensibilità ambientale, tanto più si sviluppa il lessico relativo; e non possiamo parlare solo di lessico ma anche di vere e proprie strutture discorsive adatte a quel tipo di contenuti.”
Quanto conta la terminologia ai fini di una buona comunicazione ambientale non specialistica, cioè divulgativa?
“Qui c'è il problema di definire cos'è una buona divulgazione. Una buona divulgazione – e in Italia ne abbiamo ottimi esempi – è una divulgazione che riesce a tradurre il messaggio su piani multimodali e non solo attraverso la terminologia. Non basta parafrasare il termine tecnico per ottenere della buona divulgazione. La buona divulgazione è quella che usa il gesto, la parola, l'immagine. La terminologia tradotta o parafrasata è solo uno degli elementi che vanno coinvolti nella comunicazione multimodale.”
Professoressa Orletti, lei è Responsabile del LION (Laboratorio di ricerca Linguaggio, interazione, nuovi media) sin dalla sua costituzione nel 2005 e si è occupata a lungo dell’influenza dei nuovi mezzi di comunicazione sulla lingua parlata e scritta. Ci può riassumere i punti principali di questa evoluzione?
“L'influenza dei nuovi media come chat e email è cambiata. È interessante notare come all'inizio si parlava di una fortissima influenza, addirittura di pidgin elettronico; mi ricordo della chat in Irc in cui c'era molta creatività per adattare la lingua agli strumenti testuali a disposizione, visto che non c'erano immagini e gli emoticon, ad esempio, dovevano essere costruiti con i segni di punteggiatura. Quest'influenza del medium si è attenuata. Il linguaggio delle chat oggi è semplificato, colloquiale, per ragioni anche economiche visto che i ragazzi comunicano con le chat di facebook o con qualsiasi altro sostituto. Il linguaggio è oggi più colloquiale ma non presenta la creatività e l'invenzione quasi forzata dettata dal mezzo di una volta. C'è una semplificazione ma si è ritornati ad una lingua più colloquiale. In italiano, infatti, non ci sono dizionari di forme abbreviate come per altre lingue come l'inglese.”
Un altro tema a cui ha dedicato lunghe ricerche riguarda la costruzione sociale del genere. In un’Italia in cambiamento, che si è aperta negli ultimi anni anche all’immigrazione femminile, quanto conta una coscienza linguistica “di genere” nel processo d’integrazione e di convivenza quotidiana?
“Ultimamente mi sono occupata del genere e degli immigrati, in particolare in una ricerca sulle domme immigrate in un ambulatorio di ginecologia romano. La cosa interessante che è emersa da questa ricerca sull'identità di genere e lo status di immigrata è innanzitutto una sensibilità linguistica da parte dei nativi (ginecologo, ginecologa e dei medici); un'attenzione linguistica che portava ad una tendenza a semplificare, con il rischio però – rilevato anche in altri dati di diversa natura – di un abbassamento del giudizio nei riguardi del destinatario del discorso. Per cui persone che erano competenti su un determinato argomento, magari non in italiano, ma nella propria lingua – persone che avevano una formazione universitaria fatta nel proprio paese – tendevano a semplificare facendo abbassare la valutazione complessiva della loro competenza e del loro bagaglio culturale agli occhi dell'interlocutore nativo. Questo per dire che nella comunicazione è sempre importante adattarsi al destinatario. Le due identità messe insieme – di genere e di non nativo – possono portare a questo errore nel giudizio da parte del partecipante nativo.”
Quali sono le lingue che conservano ancora oggi tratti differenziati o registri diversi per parlanti di genere differente?
“I classici esempi, i più descritti sono quello del giapponese (grammaticalizzato) ed un lavoro di parecchi anni fa (tra gli anni settanta ed ottanta) di Elinor Ochs sulle donne malgasce in cui venne fuori, soprattutto a livello lessicale, come queste donne avessero un lessico dell'aggressività. Questo ribaltava gli stereotipi dei gender studies relativi al modo di parlare delle donne secondo cui, da Lakoff in poi, si parlava di una certa politeness, una certa cortesia nel linguaggio delle donne.”
Professoressa Orletti, alcuni Paesi come la Svizzera e la Germania in cui il ruolo della donna nella società è riconosciuto ed apprezzabile in tutti i settori del mondo del lavoro, a cominciare da quello politico, hanno volto al femminile parecchi nomi di mestieri: secondo lei si tratta solo di una questione terminologica o di una vera e propria affermazione della donna? E in Italia?
“Molti anni fa vi furono dei lavori promossi dalla Commissione Pari Opportunità riguardo l'uso delle formule allocutive e dei titoli per riferirsi alle donne. Il problema è complesso, e dipende dagli atteggiamenti linguistici associati ai titoli volti al maschile o al femminile, come ad esempio la questione circa l'uso di ‘il segretario’ o ‘la segrataria’ della CGL. In realtà bisogna prima cambiare la realtà sociale, non ci può essere solo un cambio formale, poi la lingua si adegua per cui sarà ovvio che la Rettora avrà gli stessi poteri del Rettore. Nel mio caso, ad esempio, mi faccio chiamare ‘direttrice’ del Dipartimento, anche se la nostra Università, pur sensibile alla questione della donna, non ha ancora la carta intestata con il titolo al femminile.”
Ancora nell’ambito della comunicazione interculturale: come giudica il rapporto tra ricerca scientifica in questo settore e la messa in atto dei suoi risultati nel mondo politico-sociale?
“Noi che facciamo ricerca crediamo moltissimo nella possibilità che il nostro lavoro si traduca poi, se non in applicazioni, almeno in implicazioni sul piano politico e sociale. Certamente i tempi sono molto lunghi, in tutti i settori dall'immigrazione alla comunicazione medica – ed oggi le cose si sono complicate molto per la presenza di non nativi. Il lessico della comunicazione ai pazienti, anche quello utilizzato per le etichette esposte in luoghi comuni, non è trasparente già per i nativi, anche per quelli acculturati, e diventa assolutamente oscuro ed incomprensibile per i non nativi.
Noi ricerchiamo delle soluzioni ed offriamo il nostro lavoro alle istituzioni ma ci vorrebbe maggiore integrazione tra studiosi e istituzioni, a cominciare dalla modulistica, dagli avvisi e delle soluzioni per l'integrazione linguistica degli immigrati.”
Un’azione massmediale per salvare il Pianeta…
“Spegniamo i media per qualche secondo.”
Valentina Russo