Giovanni da Nola, Annibale Caccavello, Giovan Domenico D'Auria. Sculture 'ritrovate' tra Napoli e Terra di Lavoro 1545-1565

 

Giovanni da Nola, Annibale Caccavello, Giovan Domenico D'Auria. Sculture 'ritrovate' tra Napoli e Terra di Lavoro 1545-1565

Fonte: http://www.culturacampania.rai.it Giovanni da Nola, Annibale Caccavello e Giovanni Domenico D’Auria, monumento funerario

Giovanni da Nola, Annibale Caccavello, Giovan Domenico D'Auria. Sculture 'ritrovate' tra Napoli e Terra di Lavoro 1545-1565, a cura di Riccardo Naldi, Quaderni del Dipartimento di Filosofia e Politica, Studi di Storia dell'Arte 1, Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" - Napoli, Electa-Napoli, 2007

Il volume racconta il recupero, a Napoli e in Terra di Lavoro, di una serie di cicli scultorei cinquecenteschi ormai dimenticati, riconducibili a Giovanni da Nola e ai suoi due principali collaboratori, poi divenuti maestri autonomi, Annibale Caccavello e Giovan Domenico D’Auri. Si va  dall’altare maggiore di San Giovanni a Carbonara a Napoli, al Trofeo dei bagni di Rocca Mondragone ora nel Museo Campano di Capua, dall’altare della Madonna delle Grazie già in Santa Caterina a Capua ai resti della cappella di Giovanni Antonio Caracciolo nell’Annunziata di Napoli. Il riesame degli arredi plastici della chiesa di Santa Maria Maddalena ad Aversa ha favorito ulteriori connessioni con l’attività svolta dagli scultori napoletani anche per i centri delle Calabria, a riprova della diffusione ad ampio raggio dei manufatti lavorati nelle botteghe della capitale.
Oltre che per il loro intrinseco valore artistico, le opere d’arte prese in esame sono legate anche da una comune ‘sfortuna’ storica: la provenienza da contesti ambientali spesso in abbandono, la circostanza che in molti casi esse siano andate smembrate e disperse, la collocazione in sedi rimaste tagliate fuori dalle grandi rotte del turismo culturale di massa ano fatto sì che buona parte delle sculture considerate siano state completamente rimosse dal raggio di osservazione non solo del "fruitore", ma anche dello studioso specialista. È come se lo stato di degrado attuale finisse con il pregiudicare anche una corretta percezione del nostro passato artistico: persino lo storico finisce con l’essere indotto a credere che lo stato presente delle cose sia stato necessariamente lo stesso anche in passato, così da non riuscire più a scorgere l’appartenenza delle testimonianze figurative – in molti casi persino di considerevole livello qualitativo – a contesti che ora sono stati sì manomessi, ma che in passato non lo furono affatto, specie in un secolo di forte impulso alla produzione di opere d’arte come fu il Cinquecento.
Con un primo numero della serie degli "Studi di storia dell’arte" dedicato a questo genere di opere d’arte, con i problemi che vi si connettono, "L’Orientale" intende anche ribadire la propria volontà di impegno, ormai trentennale, nella segnalazione ed nello studio di complessi monumentali particolarmente a rischio, spesso anche di distruzione e di furto. Una funzione di custodia della memoria che ci si augura possa essere anche di stimolo all’attività di tutela, in un momento in cui l’indirizzo politico delle istituzioni appare piuttosto quello dell’organizzazione di eventi effimeri incentrati sulle poche solite personalità di maggior richiamo presso il grande pubblico, oppure sull’arte contemporanea. Eventi che certo contribuiscono, quando ci riescono, ad attirare grandi masse e quindi ricchezza, ma a cui sarebbe bene affiancare, quanto più possibile, l’ordinaria attività di conservazione, allargata anche ad opere e contesti meno noti, ma senza i quali è impossibile una corretta percezione storica dello spessore e della complessità del nostro passato.
 

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