I filosofi e la fenomenologia

 

I filosofi e la fenomenologia

Edmund Gustav Albrecht Husserl

Giulio Raio illustra i concetti di tempo, coscienza e linguaggio attraverso le voci filosofiche di Husserl, Merleau-Ponty, Heidegger e Derrida

L’Orientale, Martedì 27 aprile 2010 - Nell’ambito del dottorato di ricerca in Teoria delle Lingue e del Linguaggio il professore Giulio Raio, docente di Filosofia teoretica in questo Ateneo, ha tenuto una densa lezione presso il Dipartimento di Filosofia e Politica di Palazzo Giusso.
Oggetto della sua attenzione, pur nei limiti del tempo a disposizione, è stato innanzitutto il pensiero del filosofo tedesco Husserl, cervello di primissimo piano attivo tra la metà dell'800 e gli inizi del '900, che ha magistralmente sviluppato, prima sulla scia di Brentano, poi discostandosi dal maestro, un memorabile e lungo discorso filosofico sul concetto di "intenzionalità" dei fenomeni psichici.
Con Husserl, dal punto di vista fenomenologico viene completamente scardinato il concetto di sapere positivistico, obiettivo o storico-naturalistico, proprio in virtù della soggettività delle percezioni: come è possibile associare direttamente un dato interno ad uno esterno, se non è oggettivamente definibile cosa sia esterno e cosa interno? Husserl fornisce a tale proposito una schematizzazione diagrammatica dell’esistenza dell’oggetto interno, per cui il conscio non diviene altro che un "adombramento" dell’inconscio; la coscienza interna è cioè coscienza di un oggetto temporale , un "oggetto minimo" che rammenta e richiama la totalità monadica della linea del tempo. La coscienza, dunque, è espressiva piuttosto che impressiva e, attraverso una riduzione fenomenologica, contempla i suoi oggetti interni che trascendono la realtà esterna, la presunzione della cui esistenza è sospesa.
Nel 1967, Jacques Derrida confuterà le tesi di Husserl, notando come quest’ultimo abbia parlato di un’essenza piuttosto che di un’esistenza, saltando la fattualità e postulando un trascendentale puro che è vuoto in quanto prescinde dal reale.
Un salto necessario nel discorso di Raio porta poi la questione verso l’orizzonte che fu proprio di Heidegger il quale, vent’anni dopo Husserl, stabilirà un’analogia tra il tempo e l’essere, piuttosto che la coscienza, fino a riscontrare nel linguaggio la compresenza dei tre tempi passato, presente e futuro: cosa che lo condurrà a battezzare il linguaggio stesso con la notissima formula di "casa dell’essere".
Un ulteriore passaggio è infine dedicato a Merlau-Ponty, un altro esponente filosofico che per più di un motivo si deve associare alla parabola di Husserl. Merlau-Ponty conia il termine "consigliere eidetico" per definire il linguaggio: l’aggettivo si riferisce a tutto ciò che riconduce ad un’essenza, a qualcosa che è al di sopra della "fatticità" del mondo e a cui lo sguardo filosofico deve rivolgersi. In questo modo la separazione tra esistenza ed essenza è solo apparente, ed il linguaggio è il mezzo per disvelare un simile assunto. Così, attraverso il primato della percezione, egli identifica in essa - con una raffinata riflessione - la base del corpo come condizione necessaria dell’esperienza pura e di quella incorporazione dell’uomo nella stessa dimensione intersoggettiva: l’uomo è una coscienza inserita in un integrale, in un tutto la relazione col quale il filosofo pone al centro della sua analisi.

Luisa Lupoli

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