I saperi dell'Orientale: in un libro le interviste ai nostri laureati
I saperi dell'Orientale: in un libro le interviste ai nostri laureati
Raccolte in volume alcune delle interviste a laureati dell'Orientale uscite nel Web Magazine d'Ateneo
L'Orientale, giugno 2011 - Bella sorpresa di fine anno accademico fatta recapitare (“con soddisfazione”, ha scritto nella lettera di accompagnamento) dal Rettore Lida Viganoni sui tavoli dei colleghi dell’Orientale: un libro, I saperi dell'Orientale (Napoli, OXP, ISBN 9788895007373, 10 €), che raccoglie alcune interviste a laureati della nostra Università, già pubblicate nei mesi scorsi nel Web Magazine d’Ateneo (magazine.unior.it) e ora in parte raccolte in questo elegante volume a cura di Francesco De Sio Lazzari, non nuovo negli anni a simili operazioni di valorizzazione del patrimonio umano formatosi tra le spesse pareti dell’ex Collegio dei Cinesi.
Un libro da leggere, per capire meglio che cos’è l’Orientale anche attraverso le parole di coloro che vi hanno studiato. Ricordando che all’Orientale si insegna anche a non aver paura delle vite diverse, del sorprendente, dell’altro, e dell’umano errare: "negli studenti di questo originale Ateneo, unico in tutta Italia e non solo, c'è un desiderio di libertà e di creatività", scrive De Sio Lazzari, rimarcando la tradizione secondo la quale coloro che scelgono l'Orientale hanno carattere e personalità del tutto specifici. E ancora: "Gli studenti dell'Orientale rifiutano di essere intrappolati nei dogmi, sia nello studio sia nella vita, e preferiscono cercare vie sempre nuove". Noi aggiungiamo: con la possibilità di coniugare simili attitudini con la certezza della formazione, imparando - sia pure con leggerezza e con modo intrinsecamente diverso - a poggiare bene i piedi per terra: ne sono esempio le soluzioni (anche proprio lavorative) trovate da coloro che ci parlano dalle belle pagine del libro. Esemplare, a questo proposito, quanto Nadia Colella scrive nella sua equilibrata postfazione: "è questa la dote maggiore che i laureati dell'Orientale portano con sé: l'essere a casa, ovunque". Come dire, insomma, che spirito di concretezza e sete di interculturalità trovano in questa Università un luogo di intersezione eccezionale.
Il libro – su un piano strettamente comunicazionale, fatto salvo quello informativo e, perché no, quello emotivo – ha il merito non secondario di contribuire alla diffusione dell’immagine dell’Ateneo, cosa quanto mai importante di questi tempi e della quale coloro che sono attenti a quanto accade in questa fase intorno alle Università non potranno non apprezzare il valore. Sembrerà infatti lontano dalle elevate cose universitarie il movente di una simile considerazione, ma è necessario dire che il lavoro di costruzione della percezione dell’immagine di un ateneo non è fondato solo sulla produzione scientifica come tale ma anche sul complesso di feedback che essa produce nelle storie individuali, nel futuro dei singoli, nella semiosfera universitaria: cosa di cui questo libro è un testimone (e, detto senza inutili pudori: uno strumento) prezioso.
Le interviste, quasi tutte inizialmente firmate con lo pseudonimo (per nulla immotivato) di Francesco Messapi suggerito da un amico a tutela della nota propensione dell’Autore a curare l’anonimato piuttosto che coltivare la visibilità (persino esilarante la questione posta anni fa da un incredulo studente, che chiedeva se il professore esistesse davvero: lo sentiva al telefono da mesi e non l’aveva mai visto), erano state appunto raccolte e pubblicate con ottimi riscontri di lettura nel Web Magazine nel corso di una folgorante e proficua stagione di collaborazione.
All’insegna di una precisa lezione culturale l’attacco della Premessa del Curatore, chiara peraltro a chi ne conosca il rimpianto magistero: “studiare una lingua, aprirsi al mondo della sua letteratura, della sua cultura, del suo vissuto, significa trovarsi per un certo punto di fronte a un vuoto di parola, a immagini senza un segno certo che le denomini”. E, più avanti, in un improvviso e sicuramente inaspettato elogio della pazienza, citando Rilke: “Essere artisti significa: non calcolare o contare; maturare come l’albero, che non incalza i suoi succhi e fiducioso sta nelle tempeste di primavera, senza l’ansia che dopo possa non giungere l’estate. L’estate giunge”. Ecco: chi passa per l’Orientale sa che l’estate giunge.
Tante le testimonianze e certamente ognuno saprà apprezzarle: in ordine alfabetico, si va da quella offerta da Serena Ammendola, laureatasi nel lontano 1997 (“Gli studenti dell’Orientale sfuggono a ogni schematizzazione. Liberi e pronti al confronto”) a quella della pugliese Angela Zavettieri (“All'Orientale si è, in un certo modo, come delle creature esotiche”), che a Napoli alla fine c’è rimasta.
Numerose le prove che studiare all’Orientale offre la possibilità di trovare lavoro all’estero: bastino gli esempi della bellissima intervista a Silvia Citarella, oggi insegnante in Spagna, o quello offerto dall’esperienza di Donato Di Crecchio, stabilizzato in Giappone nella sede edochiana della Luxottica: intervista cliccatissima, peraltro, nel Web Magazine. Oppure valga come esempio la possibilità di sperimentare una modalità di apprendimento impensabile altrove, dovuta al carattere disciplinare proprio dell’Ateneo, carattere che ne fa un unicum nel panorama universitario nazionale: “certamente l’Orientale ha uno stile inconfondibile, frutto anche del tipo di sapere che trasmette”, dice acutamente Antonio Ciccarelli, che si è laureato in Filosofia nel 2010 con una tesi sul dialogo interculturale fra “psicologia del profondo” e buddhismo, con particolare riferimento al pensiero di Mark Epstein.
Lasciano il segno anche le parole di Paola D’Agostino, oggi apprezzata docente all’Istituto Italiano di Cultura di Lisbona, che di parole è peraltro un’esperta in quanto anche scrittrice oltre che bravissima traduttrice: “provai a iscrivermi all’Orientale e devo dire che mi è andata bene. Ciò che ricordo di fatto è un contesto molto fertile, un luogo in cui anche il rapporto tra studenti e docenti era mediato dalla creatività. Questa è stata la mia esperienza, immagino sia stato un momento della mia vita che in qualche modo ha avuto un peso negli sviluppi futuri”. Non male, per una ragazza che decideva di trasferire il suo destino da Sapri a Napoli.
Altra intervista significativa – tra le altre – è quella rilasciata da Flavia Coccia, che racconta di aver lasciato da un momento all’altro la certezza di studiare medicina a favore dell’iscrizione all’Orientale: “Sono sempre stata incuriosita dalle lingue altre, e da piccola quando sentivo qualcuno parlare in una lingua diversa dalla mia mi sarebbe piaciuto capire che cosa dicesse. Dopo le superiori stavo preparando l’esame di ingresso alla Facoltà di Medicina, ma incontrai un mio amico con un fascicolo enorme sulle Facoltà universitarie italiane e così, scorrendo le pagine, lessi dell’Orientale di Napoli. Non esitai un attimo, lessi tutto quanto c’era da leggere sull’Orientale, tornai a casa e dissi a mio padre «andiamo a Napoli, mi iscrivo all’Orientale»”. Poi Flavia Coccia aggiunge parole che coloro che all’Orientale hanno speso molti dei loro anni potranno ben comprendere: “Palazzo Corigliano è stata la mia casa e ancora adesso, quando mi capita di passarci, avverto un’emozione”.
Una emozione ben nota a chi ama questo Ateneo unico al mondo, al quale si continua ad appartenere con orgoglio anche dopo esserne usciti.
Alberto Manco - Fonte per la citazione: magazine.unior.it
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