Il lavoro etimologico? Molto più di un semplice ricamo di vocali e consonanti

 

Il lavoro etimologico? Molto più di un semplice ricamo di vocali e consonanti

Un momento del convegno

Riflessioni sul tema dell'etimologia: rapporti tra forma e contenuto, tra scrittura e oralità, tra presente e passato

Diego Poli, professore all'Università di Macerata, ha aperto la seduta con la relazione Dall'ovvietà alla congetturalità: le strategie etimologiche come percorsi cognitivi del latino. Il rapporto tra significante e significato è stato il filo conduttore dell'intero intervento passando per la definizione che Pagliaro e Belardi hanno dato di ricerca etimologica: un processo estrattivo rispetto alla materia linguistica volto a motivare la natura del rapporto arbitrario tra referente e realtà designata. Concetto trasversale alle differenti branche della linguistica, l'etimologia opera a partire da un'ipotesi al fine di acquisire verità attraverso il confronto di fatti linguistici noti. Con L'etimologia del greco, l'etimologia dei greci: la prospettiva storica e il quadro attuale, Carlo Consani, professore all'Università di Pisa, ci ha illustrato le differenze di approccio che emergono in diversi dizionari etimologici del greco antico, in particolare l'opera di Chantraine e quella di Frisk risultano essere complementari, l'una con lo sguardo rivolto verso il passato, l'altra invece più al passo coi tempi. Consani ha poi criticato l'opinione di Beekes secondo la quale è possibile trovare, nel lessico greco, un intero blocco di parole importate direttamente dal sanscrito; l'assenza di un'etimologia propriamente indeuropea non permetterebbe, infatti, di ipotizzare un'importazione così massiccia e diretta. Il professore Franco Crevatin, dell'Università di Trieste, si è soffermato invece sulle questioni etimologiche nell'ambito della cultura egiziana antica, una cultura, a suo dire, non abbastanza conosciuta: gli studi occidentali si basano, infatti, sui soli testi pervenuti che fanno riferimento a una cultura d'élite che rappresentava una piccola percentuale della popolazione. Molti temi appartenenti alla quotidianità, peraltro, non erano considerati degni di essere trascritti e questo costituisce un forte condizionamento della nostra percezione della società egiziana. Le comunità linguistiche presenti in Egitto erano molteplici (semitica, cuscitica, berbera e Nilo-Sahariana) e questa diversità ha influenzato profondamente il processo di formazione della scrittura, per cui molte parole conservano ancora influenze semitiche nel segno grafico e influenze cuscitiche sul versante fonetico. L'analisi di casi come questo ci ha ricordato come la natura lacunosa delle fonti rischia costantemente di trasformare il lavoro etimologico in un ricamo di consonanti e vocali grazioso a vedersi, ma di cui è bene diffidare, discorso che vale soprattutto per l'egiziano il cui modello culturale e la cui evoluzione è ancora tutta da studiare. Il caso dell'Iran zoroastriano è stato presentato poi da Marco Mancini, Rettore dell'Università della Tuscia: nonostante pratiche di scrittura e una situazione di plurilinguismo, è opinione diffusa che non ci sia alcuna riflessione metalinguistica nella cultura zoroastriana. Si viene così a creare uno spazio bianco nella bibliografia scientifica in materia posto fra un estremo oriente e un vicino oriente ricchissimi invece di studi e ricerche a riguardo. Nella cultura mazdea troviamo un rapporto molto particolare tra cultura scritta e cultura orale: se da una parte vi sono molte leggende zoroastriane sulla nascita della scrittura, rappresentata come dono dei demoni ai re persiani, dall'altra “la parola è un assistente ben educato guidato dall'intelligenza” il che è indicativo della forte valorizzazione della tradizione orale a scapito di quella scritta.

Francesca De Rosa, Mariavittoria Petrella, Michele Trocchia

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