Il museo, culla del futuro
Il museo, culla del futuro
“Quello che il museo voleva dire lo scopriremo solo poi”
Il terzo appuntamento di PoEtiche del Museo d’Arte Contemporanea tenutosi all’Aula Laboratorio del PAN (Palazzo delle Arti Napoli) ha visto il Gruppo M.E.L.A., acronimo di European Museums and Libraries in/of the Age of Migrations, presentare un incontro intitolato: Verso un museo post-coloniale. Il gruppo nasce con l’obiettivo di ribaltare l’idea convenzionale di museo come luogo di trasmissione dell’identità di un gruppo sociale dominante proponendo invece un tipo di approccio multi-inter-transculturale della conservazione museale, volto a rendere in maniera sicuramente più adeguata la realtà esterna al museo, quella che si presenta appunto come il risultato delle migrazioni di persone ed idee e quindi come fortemente eterogenea.
Il professore Iain Chambers, professore di Studi Culturali e Postcoloniali all’Orientale, ha aperto la conferenza sottolineando proprio l’importanza di accantonare in qualche modo le vecchie convinzioni legate al museo inteso come luogo di assemblaggio di oggetti del passato, spazio extra-territoriale, cimitero della modernità occidentale, per rintracciare al contrario la potenza di questo dispositivo che può e deve rispecchiare il progresso della contemporaneità mostrandone innanzitutto le differenze. Il museo quindi punta a diventare luogo del futuro a partire dal recupero del passato.
Hanno preso poi la parola i Dottori di ricerca in Studi Culturali e Postcoloniali del Mondo Anglofono all’Orientale tra cui Michaela Quadraro, le cui ricerche trattano le politiche di rappresentazione nelle pratiche artistiche, che ha presentato il museo come luogo di costruzione di un’identità culturale spesso prevalente rispetto ad altre assolutamente escluse da questo processo: è in quest’ottica che si può guardare al museo, ad esempio tramite la frammentaria video arte, come potenziale luogo di svolta, di cambiamento culturale, di trasformazione, a partire dall’arte e dal transito di corpi e cose che vengono dall’altrove.
Alessandra De Angelis, che si occupa di letterature e arti del Mediterraneo e del Sudafrica di lingua inglese, ha invece presentato il caso del District Six Museum di Cape Town: il museo diventa qui voce del Sudafrica post-apartheid e punto nevralgico per la costruzione della comunità a partire proprio dalla contaminazione. Lo spazio è dunque fortemente interattivo e creativo, e il pubblico viene dunque posto in maniera più dialogica con il proprio passato, presente e futuro.
Beatrice Ferrara infine, che si occupa di musica elettronica nera tra Stati Uniti, Giamaica e Regno Unito, ha proposto un’idea di museo nuovo, migrante, come strategia innovativa per rappresentare l’epoca contemporanea, quella delle migrazioni. Il museo insegue dunque una certa dinamicità innanzitutto distruggendo il tradizionale rapporto che lega autore e fruitore presentando l’opera come frutto dell’attività non solo dell’artista ma anche del pubblico. Come la città anche il museo diventa zona di contatto, di incontri di culture differenti, di incrocio.
A chiudere il convegno Lidia Curti, professore onorario di Letteratura Inglese all’Orientale, che ha parlato del museo come possibilità di interruzione di una società pensata come monolitica: “Bisogna pensare ai linguaggi con spirito critico prima che ai contenuti – ha affermato la Curti – l’archivio non può rappresentare il passato perché tende al futuro: quello che il museo voleva dire lo sapremo solo poi”.
Francesca De Rosa
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