Immigrazione in Campania: orientarsi verso nuove politiche abitative

 

Immigrazione in Campania: orientarsi verso nuove politiche abitative

Locandina dell'evento

Venerdì 8 giugno 2012 presso il Dipartimento di Scienze Umani e Sociali è stata presentata l'indagine conoscitiva Immigrati e disagio abitativo. Possibili emergenze nelle aree di Eboli, Mondragone, Villaricca
 

L'indagine, realizzata dal Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell'Università degli Studi di Napoli “L'Orientale”, è parte di un progetto del Ministero dell'Interno, Sulla soglia. Accompagnamento all'abitare, affidato alla Aliseicoop e alla UIL (Unione Italiana del Lavoro) della Campania. L'indagine è stata coordinata e presentata dal professore Fabio Amato (“L'Orientale”) con la collaborazione dell'équipe formata da Nadia Matarazzo, che ha svolto ricerche sulla zona di Eboli, Denise Di Lauro, che si è occupata di Villaricca, Margherita Ranaldo, impegnata su Mondragone, insieme a Carla Barbarella (per Aliseicoop) e Luciana Del Fico (per la UIL Campania). Lo scopo di tale indagine è quello di approfondire la conoscenza della condizione abitativa della popolazione immigrata in alcuni spazi periferici che soffrono di gravi disagi.

Carla Barbarella ha presentato la ricerca nell'ambito di un progetto del Ministero degli Interni atto ad accrescere le opportunità per gli immigrati al fine di giungere a disporre di soluzioni abitative adeguate. Tale progetto sta utilizzando molti strumenti di sostegno, come ad esempio sportelli che offrono servizio di front-office per gli immigrati, sperimentando pratiche di locazione già applicate nel Nord Italia; è inoltre in atto un'azione mediatica sugli affittuari per dimostrare la “normalità” degli immigrati, che è come dire la loro adeguatezza a stare nella norma della legge. Ma, sottolinea Carla Barbarella, lo strumento più efficace è proprio questa ricerca, perché solo la conoscenza della reale situazione di emergenza abitativa può aiutare a trovare rimedio alla costante situazione di degrado e ai continui conflitti sociali ed etnici che ne derivano. Barbarella afferma che l'obiettivo principale dell'Aliseicoop è quello di non lasciare in sospeso i risultati di tali indagini, di presentarle alle Amministrazioni comunali in modo da agire per evitare un degrado oltre ogni possibilità di contenimento, evitando in questo modo di andare incontro a situazioni ancor più drammatiche come il pericolo di conflitti sociali, etnici e multietnici.

Luciana Del Fico, ricollegandosi al precedente contributo, aggiunge che è stato appena approvato dal Governo un piano nazionale per le famiglie che conterrebbe anche politiche abitative. Ovviamente già si prevede un riscontro crudo e severo da parte delle organizzazioni sindacali che non giudicheranno opportuno il periodo di attuazione, un periodo segnato da una crisi che non lascia molto spazio ad atti di generosità. In modo particolare, per quanto riguarda le politiche abitative, Del fico ricorda che quelle del comune di Napoli sono ferme da diversi anni, e ipotizza una proposta per riadattare le strutture confiscate alla criminalità organizzata dandole in gestione alle organizzazioni del terzo settore.

Significativo è stato il contributo di Antonio Casale del Centro Fernandes di Castel Volturno il quale, soffermandosi sulla zona di Mondragone, e in particolar modo di Pescopagano, ha posto l'attenzione non tanto sul problema delle case ma dell'abitare. Casale ha fatto notare come, nelle zone di Castel Volturno, Mondragone, sulla fascia costiera soprattutto, si sia sviluppato un concetto dell'abitare molto particolare. Per gli immigranti, il concetto dell'abitare è inteso in modo più ampio rispetto al nostro, rimandando alle usanze dei nostri antenati e all'essere un tutt’uno con l’ambiente circostante, e non occupare semplicemente uno spazio dove si vive.
Ben note sono le condizioni in cui vivono gli immigrati nell'hinterland di Castel Volturno: senza corrente elettrica, senza acqua potabile, in case semi diroccate, pagando un affitto superiore al normale, e il tutto senza alcuna garanzia. Da sfatare è, inoltre, il mito degli immigrati irregolari, infatti, è maggiore il numero degli stranieri con regolare permesso di soggiorno rispetto a coloro che ne sono sprovvisti. Nonostante questo, ricollegandosi a quanto detto dalla professoressa Barbarella e alla politica di informazione sugli immigrati per gli affittuari, Casale ha affermato che, paradossalmente, in quella zona si ha timore di affittare case agli italiani, in quanto questi ultimi pretenderebbero garanzie e contratti. Gli immigrati che occupano queste abitazioni invece, possono essere sfrattati dalla sera alla mattina, come accade nel periodo estivo quando si deve far posto ai vacanzieri. Si richiama chiaramente, a questo punto, il problema della legalizzazione senza la quale il cittadino straniero è preda dello sfruttamento, soprattutto in relazione agli affitti.

I primi risultati di indagine proposti sono stati quelli di Mondragone a cura di Margherita Ranaldo. Circa il 61% degli immigrati posseggono un permesso di soggiorno e lavorano come braccianti agricoli. La ricerca mostra che la presenza di migranti caratterizza particolari zone del centro abitato, le quali, a loro volta, arrivano ad identificarsi nella logica del “ghetto” anche con il fatto di essere abitate da migranti di una certa nazionalità. Una maggiore concentrazione di migranti è segnalata nelle zone del centro storico, con una maggioranza di soggetti di provenienza magrebina. A Pescopagano si registra la situazione più drammatica, spiega Ranaldo, dal punto di vista sociale e abitativo. Il comune è popolato infatti interamente da immigrati provenienti dall'Africa Sub-Sahariana e le diverse etnie, soprattutto nigeriani e ghanesi, sono spesso in conflitto per motivi culturali, per un diverso approccio alla vita e non ultimo per questioni legate alla criminalità. Il fenomeno “immigrazione” viene così metabolizzato con la discriminazione da parte degli italiani e con l'autoisolamento da parte degli immigrati, con l'unica eccezione dei nordafricani tendenti ad una maggiore integrazione.

Per il caso di Villaricca è intervenuta Denise De Lauro mostrando i risultati della propria indagine, i quali non sembrano essere legati a particolari fenomeni di degrado abitativo e sociale. Anche in questo caso la maggior parte dei migranti di origine africana, magrebina e sub-sahariana si concentra nel centro storico, formando le cosiddette “insule”, abitando nei tipici portoni con corte e nei “bassi”, in alcuni casi coabitando nello stesso stabile degli autoctoni. Diversa è la situazione abitativa dei migranti provenienti dall'Europa dell'Est. Si tratta soprattutto di donne, che abitano spesso al centro e magari nella stessa abitazione del datore di lavoro, essendo per lo più colf e badanti. Molto particolare è il caso delle rotonde di Villaricca, che intervallano la strada del doppio senso e assurgono a luoghi di reclutamento sistematico e illegale di lavoro nero. Presenti, nelle zone limitrofe, anche campi Rom che sorgono nelle zone di confine tra un comune e l'altro.

L'ultima indagine è quella presentata da Nadia Matarazzo, svolta sulla zona di Eboli, un paese che ha subito un forte incremento migratorio e dove è possibile riconoscere lo scenario più problematico, tant’è che la ricercatrice afferma che ad Eboli non è necessario “scovare il disagio abitativo” perché è visibile da sé e si mostra ai nostri occhi in modo alquanto violento. Di particolare rilievo sono le zone di Santa Cecilia e la costiera Campolongo. La frazione di Santa Cecilia è occupata soprattutto dalla presenza di migranti magrebini che abitano fabbriche dismesse, senza acqua corrente, elettricità e naturalmente senza riscaldamento. La frazione di Campolongo è vista come una seconda Eboli, cioè un territorio ad altissima concentrazione di popolazione migrante, come si può osservare percorrendo la strada litoranea in questo tratto, frequentata quasi esclusivamente da stranieri in bicicletta o a piedi e da persone coinvolte nei giri della prostituzione.
Interessante infine segnalare quanto affermato da Nadia Matarazzo: la “silenziosità” del caso Eboli che, rispetto a alle più note Castel Volturno o Rosarno, è forse dovuta ad una maggiore tolleranza della presenza straniera.

L’insieme di queste ricerche mostra che esiste, nonostante tutto, una possibilità di recupero. Solamente attraverso la presa di coscienza di queste realtà è possibile promuovere progetti ed iniziative che, come ha sottolineato Carla Barbarella, potrebbero diventare uno stimolo rivolto alle amministrazioni locali e si auspica, inoltre, che tutto ciò non rimanga solo un progetto su carta ma si possa concretizzare in risultati concreti che contribuiscano a migliorare le condizioni degli immigrati in queste aree, e non solo.
 

Nicolina Della Monica, Laura Ricciardi

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