Intervista ad Anna Maria Basso

 

Intervista ad Anna Maria Basso

Anna Maria Basso

“Mi è capitato di recente di recarmi in segreteria per richiedere un documento e quasi non credevo ai miei occhi: in due minuti il mio certificato era lì, senza aver fatto alcuna fila. Un’efficienza che non mi aspettavo.”

Lei si è laureata in Lettere, qui da noi. Come mai si è iscritta all'Orientale? Come ne conosceva l'esistenza? La Facoltà di Lettere della Federico II è assai più nota per chi intenda studiare Lettere classiche o moderne…

“In effetti quando ho iniziato l’Università, alla fine degli anni Ottanta, gli iscritti a Lettere Moderne all’Orientale erano pochissimi. Ero la milleseicentottantatreesima matricola: un’inezia, rispetto ai numeri della Federico II. Credo che la scelta sia stata condizionata dai racconti di alcuni ex liceali che si erano diplomati l’anno prima di me e frequentavano i corsi dell’Orientale, chi a Lettere, chi a Scienze Politiche. Mi sembrava che si respirasse un’aria più fresca, che ci fosse una maggiore libertà di scelta nell’ambito dell’offerta formativa. Raccontavano meraviglie dei professori e dei corsi. Al mio immaginario di ragazza, che aveva un’idea dell’Università come di un luogo ‘sacro e spaventoso’, in cui i professori istruivano i discenti dall’alto della loro cattedra rialzata (a rimarcare le gerarchie), è parsa l’unica scelta possibile, dopo gli anni del Liceo vissuti come in una gabbia.“

Che cosa ricorda della Sua esperienza universitaria nel nostro Ateneo? Ritiene che la Sua sia stata una scelta felice? Che cosa Le ha dato l’Orientale, secondo Lei, che non Le avrebbe dato la Federico II?

“Del periodo dell’Università ho un ricordo bellissimo. Allora la libertà nella compilazione del piano di studi era assoluta, ed essendo le facoltà di Lingue e Lettere ancora accorpate, alcuni corsi erano in comune. Questo naturalmente richiedeva un’organizzazione personale quasi ferrea per “incastrare” gli orari delle lezioni che si tenevano in Dipartimenti diversi: quello di Filosofia e Politica a Via Nardones prima, a Via dei Fiorentini poi, quello del Mondo Classico a Palazzo Corigliano, i corsi di Letteratura a Palazzo Giusso.
Ricordo con un sorriso anche le interminabili file in segreteria: allora la burocrazia era piuttosto farraginosa e l’organizzazione dell’Università, da questo punto di vista, non era perfetta. Mi è capitato di recente di recarmi in segreteria per richiedere un documento e quasi non credevo ai miei occhi: in due minuti il mio certificato era lì, senza aver fatto alcuna fila. Un’efficienza che non mi aspettavo.
Aneddoti a parte, il motivo per cui ritengo che l’esperienza universitaria sia stata positiva è proprio quello che mi ha fatto propendere per la scelta dell’iscrizione all’Orientale. Ho potuto constatare che i racconti dei miei amici erano realistici. I corsi erano fortemente partecipati, gli studenti coinvolti in prima persona, stimolati alla ricerca, alla riflessione e alla discussione. Non una semplice “trasmissione” di contenuti in vista degli esami, ma un dialogo culturale continuo. Credo che questo alla Federico II non ci fosse, probabilmente anche a causa del gran numero di iscritti, che rendeva i corsi sovraffollati e, di conseguenza, poco dialogati.”

Su quale tema ha fatto la tesi? A quali suoi interessi profondi rispondeva l’argomento del suo lavoro?

“Mi sono laureata con una tesi su Lo specchio delle anime semplici di Margherita Porete, una mistica fiamminga vissuta tra il XIII e il XIV secolo, arsa sul rogo come eretica a Parigi nel 1310. Il motivo per cui mi sono appassionata a quest’argomento è stato duplice. Da un lato, la vicenda biografica di Margherita, non una semplice mistica chiusa nel suo rapporto privato con Dio. Margherita era una donna colta, che descrisse in un libro la sua esperienza mistica con finalità pedagogiche. Ella ne teneva pubbliche letture ed anche dopo la sua morte, nonostante il divieto dell’Inquisizione, il manoscritto continuò a circolare anonimo, finché Romana Guarnieri è riuscita a ristabilirne la maternità. L’altro motivo di interesse è legato al contenuto del libro e al motivo per cui l’autrice è stata condannata: il fine dell’anima è la suprema libertà, che non si ottiene attraverso la virtù, ma dalla virtù. La perfezione, in sostanza, consiste nella liberazione dalle virtù e da ogni pratica esteriore atta al raggiungimento della virtù.
Un pensiero ‘rivoluzionario’ e inconsapevolmente orientale.”

Ha conservato rapporti con laureati dell'Ateneo? Può dire qualche nome di collega col quale sia ancora in rapporti?

“Sono rimasta in contatto solo con pochissimi laureati dell’Orientale. Molti dei miei ex colleghi di studio, infatti, per motivi lavorativi vivono fuori Napoli. Alcuni sono all’estero.”

Ritiene che l'Orientale offra un ambiente culturale prezioso anche per chi si laurei in Lettere moderne (come lei)? La sua preparazione in Lettere moderne è approfondita da un particolare senso di apertura alle innumerevoli culture del mondo?

“Sì, ritengo che una laurea in Lettere Moderne conseguita all’Orientale offra un quid in più, proprio nel senso dell’apertura a culture altre. Probabilmente la convivenza e l’intreccio di culture talora distanti tra loro costituiscono la matrice delle lezioni partecipate di molti docenti dell’Orientale: quelle di Storia delle Religioni, in particolare, si strutturavano intorno a domande, da cui scaturivano altre domande. Tutti gli studenti avevano diritto di parola e non si poneva mai una gabbia ai pensieri, alle voci diverse, alle diverse esperienze. Ecco, oggi più che mai, e nel mio lavoro in particolare, l’apertura e il confronto con le culture extraeuropee sono fondamentali.”

Qual è il suo lavoro?

“Sono una docente precaria di Lettere in una Scuola Secondaria di primo grado.”

Oltre all’insegnamento le interessa anche la scrittura? Scrive talvolta racconti o poesie?

“In passato mi sono dedicata alla scrittura con costanza, quasi fosse un doloroso mezzo conoscitivo, uno scavo. Poi mi sono fermata per qualche anno. Di recente ho ripreso a scrivere brevi racconti, anche in seguito alle sollecitazioni di una persona a me cara. Questa nuova fase "creativa" ha coinciso con quella che per me è un'esperienza nuova e interessante, la collaborazione con Orientexpress, la casa editrice creata da un gruppo di studenti e docenti dell'Orientale, che si occupa di scoprire e dar voce a scrittori esordienti che, nonostante il loro talento, fanno fatica a entrare nel circuito della grande editoria.”

Se fosse possibile, andrebbe a lavorare all’estero? O preferisce, comunque, restare in Italia?

“Mi è capitato di valutare la possibilità di tentare la strada dell’insegnamento all’estero, esperienza certamente stimolante e formativa. Nell’attuale momento storico-politico, però, vivrei questa possibilità come una fuga, non come una scelta. Per questo ho temporaneamente accantonato quest’idea.”

A distanza di oltre quindici anni, che cosa pensa del cosiddetto”Rinascimento napoletano”? (mi riferisco ai primi anni di governo di Bassolino sindaco…)

“Il periodo del primo mandato di Bassolino alla carica di sindaco ha visto una stupefacente, seppur breve, aria di cambiamento. Molti detrattori hanno sottolineato che si è trattato di un’esperienza effimera, qualcuno ha insinuato che sia stata solo di un’operazione di restyling volta a promuovere il rilancio del turismo internazionale a Napoli. Di fatto, la stessa trasformazione degli spazi pubblici del centro storico, culminata nella chiusura di Piazza Plebiscito al traffico, il miglioramento delle infrastrutture di trasporto, hanno dato il senso della possibilità di una svolta concreta, percepibile nell’entusiasmo collettivo e nella mobilitazione delle coscienze.
Sono stata assente da Napoli cinque anni. Quando sono tornata, quell’esperienza si era dissolta nel nulla, sostituita dal peggiore dei mali: la rassegnazione dei cittadini onesti, che sembrano chiudere gli occhi di fronte alle infinite forme di illegalità. Ciò che risulta evidente è l’idea diffusa di un male radicato e inestirpabile, come se questa città fosse destinata a una decadenza inarrestabile.
Accanto alla rivalutazione delle bellezze territoriali, ci vorrebbe una rivoluzione culturale a partire dal semplice atto di tenere gli occhi sempre aperti e attenti. Da uno sguardo, da tanti sguardi può nascere un grande mutamento.”

Francesco Messapi

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