Intervista al professore Lacerenza, Segretario del Centro di Studi Ebraici

 

Intervista al professore Lacerenza, Segretario del Centro di Studi Ebraici

Un momento del convegno

"A sud di Roma è l’unico luogo in cui è possibile seguire attività e lezioni sulla cultura ebraica, sulla storia dell’ebraismo, su tutte le discipline connesse"
 

Professore Lacerenza, lei è il Segretario del Centro di Studi Ebraici che ha sede all’Orientale. Quali sono le principali attività del Centro?

"Il Centro, presieduto dal collega Riccardo Contini, è tra quelli di più recente istituzione in Ateneo. Siamo nati alla fine del 2007 e quindi abbiamo alle spalle solo tre anni di attività, però siamo attualmente uno dei Centri più attivi. Il campo degli studi ebraici è vasto e possiamo contare su un continuo rinnovamento delle tematiche da presentare e affrontare."

Di cosa vi siete occupati recentemente?

"Un progetto su cui abbiamo già svolto un seminario e che ora sta per diventare un libro e un laboratorio teatrale riguarda il tema del Dybbuk nella cultura ebraica. L’anno scorso è stato particolarmente denso di iniziative: abbiamo celebrato due importanti convegni, uno sul diritto ebraico e l’altro sull’espulsione degli ebrei dall’Italia meridionale nel 1510. Abbiamo svolto varie conferenze, un concerto, un seminario sulle giudeo-lingue e due rassegne di cinema ebraico in lingua originale: la prima sul cinema yiddish, curata dal dottor Raffaele Esposito, e la seconda sul cinema israeliano, curata dalla lettrice Yael Meroz: visto il successo quest’anno le replicheremo entrambe, con nuovi temi."

Quali sono invece gli obiettivi del Centro?

"Tra i nostri obiettivi primari c’è sicuramente il rafforzamento degli studi ebraici nell’ambiente accademico e specialmente a Napoli, considerando che questo genere di studi, pur di grandissimo interesse, in Italia meridionale è ancora poco coltivato. Ma ci rivolgiamo anche al resto della città, dimostrando che l’Orientale, luogo privilegiato per l’incontro con lingue, culture, e le tradizioni più diverse, è anche il luogo dove meglio che altrove hanno senso gli studi ebraici, interculturali per loro stessa natura."

Quanto è grande l’interesse degli studenti e dei colleghi rispetto alle attività proposte?

"L’interesse degli studenti è sempre stato molto alto: ormai ci capita sempre più spesso di dover ricorrere, per alcuni seminari e cicli di lezioni, quasi al numero chiuso, perché non sempre riusciamo a reperire aule sufficientemente grandi… e non parlo di seminari apparentemente di più facile approccio, come quelli sul cinema, ma di quelli sulla lingua o sulla storia: penso al convegno sulle Leggi Razziali, al seminario sulla Regina di Saba, o a quello sulle giudeo-lingue, ad esempio, con tantissime persone in piedi! Per quanto riguarda la partecipazione dei colleghi, anche in questo caso registriamo un alto indice d’interesse, però se si tratta in genere di una partecipazione passiva, da ospiti o spettatori, mentre ci piacerebbe coinvolgere i colleghi in maniera più attiva."

Quali sono gli interlocutori in Italia, ma anche fuori, del Centro e quali potrebbero essere idee sul futuro in questo senso?

"Il Centro ha vocazione internazionale e abbiamo sempre ospitato studiosi stranieri, sfruttando tutte le risorse a nostra disposizione, anche grazie ai contributi occasionali di Rettorato, Dipartimenti e Facoltà. L’ausilio di specialisti esterni ci arricchisce e quand’è possibile sfruttiamo le nostre convenzioni con le università israeliane, i rapporti Erasmus, oppure approfittiamo del passaggio in città di colleghi stranieri per coinvolgerli nelle nostre iniziative. Da qualche tempo ci capita di essere contattati in anticipo da colleghi che, sapendo di essere in Italia per un certo periodo, chiedono di venire all’Orientale per svolgere un seminario o una conferenza per il nostro Centro. L’anno scorso hanno chiesto di lavorare con noi, senza ricevere alcun compenso, il professor Tudor Parfitt della School of Oriental and African Studies di Londra e il professor Daniel Galay di Tel Aviv, che ci ha regalato una magnifica lezione-concerto nel Conservatorio di San Pietro a Majella. Il professor Steven Bowman, bizantinista e docente di Studi Ebraici presso la Ohio State University, quest’anno sarà in Italia per un periodo di ricerca e ci ha chiesto di tenere una conferenza sugli ebrei nell’Italia meridionale bizantina: dedicheremo al tema una giornata di studi."

In Rete risulta pubblicata una lista di alcuni nomi accomunati dal fatto di riferirsi ad ebrei; secondo lei esistono ancora luoghi comuni sui quali intervenire?

"In verità di liste antisemite in rete ce ne sono parecchie. Quella a cui lei si riferisce è un vecchio elenco di cognomi ebraici, o presunti tali, oggetto d’interesse per i gruppi di estrema destra o neonazisti. Sono solo manifestazioni di stupidità ma da non sottovalutare e che possono nuocere seriamente."

Qual è oggi il livello di conoscenza e di effettiva diffusione del testo biblico?

"Purtoppo in Italia poco si fa per la conoscenza della Bibbia: spesso ne viene più sostenuta la diffusione libraria che incoraggiata la lettura. È l’eredità dell’approccio cattolico, nel cui ambito la lettura della Bibbia è stata a lungo limitata al clero oppure impedita o scoraggiata; pensi che le prime traduzioni ‘autorizzate’ dalle lingue originali risalgono non molti pochi decenni fa. In area protestante c’è invece una familiarità con la Bibbia altrove sconosciuta. Ma si fatica a far comprendere che la Bibbia non è solo un testo fondamentale nella sfera religiosa, ma è anche un grande tesoro letterario, senza la cui conoscenza perdiamo gran parte dei riferimenti culturali presenti nelle arti visive e nella letteratura."

Quale spazio dedicano allo studio della cultura ebraica le università italiane?

"Uno spazio disuguale: in vari Atenei per esempio è diffuso l’insegnamento di Storia dell’ebraismo (che a noi manca), ma non vi sono corsi di lingua né di letteratura; altrove si trova la lingua moderna, ma non quella classica, o viceversa. Raramente entrambe. Al momento in nessuna università italiana sono presenti contemporaneamente tutte le discipline che potrebbero garantire un approccio abbastanza completo alla cultura ebraica: storia, lingua, letteratura, religione, filosofia e filologia. Anni fa era ancora possibile, in alcuni Atenei, avere un quadro d’insieme; in seguito è avvenuto qualcosa di paradossale: proprio mentre l’interesse pubblico nei confronti dell’ebraismo cresceva vistosamente, nelle università è avvenuto un singolare impoverimento nella ricerca e nella didattica proprio in un settore la cui vitalità non conosce mai crisi. Certo il problema affligge anche altre aree, come gli studi orientali in particolare e quelli umanistici in generale; trascurare però questi studi significa spesso far migrare gli studenti e quindi le risorse verso Atenei con meno tradizioni, ma più avveduti.”

In quale ateneo ci si occupa ad esempio della lingua ebraica?

"In primo luogo, naturalmente all’Orientale! Siamo una delle rare università con corsi differenziati di lingua e letteratura ebraica classica (ossia biblica e medievale) e moderna e contemporanea e una bravissima lettrice madrelingua; altrove questi corsi sono a volte fusi in un unico insegnamento, differenziando il contenuto nelle varie annualità, passando dall’ebraico antico a quello moderno. In ogni caso ci sono validi corsi di ebraico, per esempio, a Roma, Firenze, Bologna, Torino, Venezia; al sud se ne trovano a Cosenza e Lecce.”

Cosa consiglierebbe a un suo studente interessato alla cultura ebraica?

"Di leggere più che può, non soltanto sulla cultura ebraica, ma anche sui contesti in cui la cultura ebraica si è diffusa nei paesi della diaspora, cominciando dall’Italia, proseguendo con Polonia, Francia, Stati Uniti, eccetera. Consiglierei caldamente, com’è ovvio, di seguire tutti gli appuntamenti del Centro di Studi Ebraici, anche perché a sud di Roma è l’unico luogo in cui è possibile seguire attività e lezioni sulla cultura ebraica, sulla storia dell’ebraismo e su tutte le discipline connesse."

Ci sono state iniziative di rilievo negli ultimi tempi a Napoli relativamente alla diffusione della cultura ebraica?

"Non molte, purtroppo. La Comunità Ebraica di Napoli, che ha sede presso Piazza dei Martiri, ha un ricco programma d’incontri, benché sia molto piccola. Ci ritroviamo spesso a collaborare e condividiamo gli stessi problemi: la mancanza di fondi, di personale, di spazi. Nell’università, il Centro di Studi Ebraici dell’Orientale è l’unico polo di riferimento per studi del genere."

Il più delle volte si parla di "questione ebraica" con riferimento a vicende a tutti note, ma quanto si parla invece di "cultura ebraica"?

"Se per vicende note intende quelle legate al conflitto israeliano-palestinese, è abbastanza facile essere al corrente dei fatti, leggendo i giornali o guardando i telegiornali. La cultura ebraica fa capolino molto spesso e nelle occasioni più diverse – ultimamente per esempio vanno abbastanza di moda la letteratura israeliana e la qabbalà – e da tempo è stata anche istituzionalizzata una Giornata Europea della Cultura Ebraica che cade all’inizio di settembre: è possibile visitare musei e sinagoghe, mostre, partecipare a conferenze e varie attività. Non è abbastanza, ma è pur sempre un’occasione preziosa."

Che libro consiglia di leggere invece a chi voglia avvicinarsi a simili questioni?

"Io suggerirei di partire dai propri interessi: la civiltà e la cultura ebraica è internamente così differenziata che non è possibile indicare un unico testo, a meno che non si voglia limitare l’argomento ai caratteri fondamentali dell’identità ebraica e della pratica religiosa. Ma non è possibile ridurre l’ebraismo soltanto alla pratica religiosa."

Quali sono gli autori di cui tener conto oggi a suo avviso?

"Dopo la Shoah è diventato difficile parlare di una letteratura ebraica europea, non perché manchino gli scrittori ebrei europei, ma perché si è persa, con la distruzione degli ebrei d’Europa, quella continuità nella produzione culturale, anche in lingue volgari, espressa dagli ebrei sin dal Rinascimento. Comunque, se parliamo di letteratura degli ultimi anni, secondo me lo scrittore statunitense più profondo e importante è senza dubbio Chaim Potok. In Italia, forse Lia Levi. Fra gli israeliani, il mio preferito è Aharon Appelfeld: ma nessuno sarò deluso dalla lettura di Yehoshua, di Grossman o di Amos Oz, già classici viventi. C’è però anche una letteratura femminile molto interessante e meno pubblicizzata, tradotta anche in italiano, che vale la pena di leggere."

Le è mai capitato di sentire in strada o altrove una battuta o una barzelletta di cattivo gusto?

"Continuamente! La cosa più frequente che sento dire fra studenti è: «rabbino», di una persona avara… quando è un titolo onorifico riservato a persone che si distinguono per uno studio difficile e la conoscenza di almeno tre lingue: dovrebbe essere un complimento, più che un insulto. Mi offende allo stesso modo dell’uso gratuito di «mongoloide» e di certe barzellette raccontate a sproposito, purtroppo, anche da qualche personaggio pubblico."

In conclusione due parole sulla giornata della memoria di quest’anno al Centro di studi Ebraici.

"Il Centro ha deciso, per scelta, di presentare ogni anno solo un piccolo spicchio della tragedia della Shoah e, seguendo la tradizione dell’Orientale, di puntare sulle lingue e sul meno visto, sentito o conosciuto. È possibile vedere qualcosa di grande anche attraverso un piccolo specchio. Partendo dal tema la Shoah dei bambini, ho proposto la vicenda umana e professionale di un pedagogista ebreo polacco, Janusz Korczak, direttore del principale orfanotrofio di Varsavia, il quale pur avendo la possibilità di salvarsi seguì i suoi bambini a Treblinka. Ci siamo serviti del film ‘Korczak’ di Andrzej Wajda, bello e poco noto, che abbiamo mostrato in lingua originale con sottotitoli in italiano preparati per l’occasione. E credo che continueremo su questa strada."


 

Redazione - Francesca De Rosa

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