Intervista a Francesca Dovetto

 

Intervista a Francesca Dovetto

Francesca Dovetto

La voce rispecchia noi fisicamente: altezza, età, peso, sesso, e l'intonazione esprime i nostri sentimenti

Professoressa Dovetto, in quali occasioni ha collaborato con il professore Federico Albano Leoni?

"Per quanto riguarda le collaborazioni scientifiche la prima cosa che abbiamo scritto insieme è un articolo su Maine de Biran che è uscito in un numero di storiografia linguistica dedicato alla professoressa Lia Formigari, e si tratta appunto di un testo di storiografia linguistica."

Perché è stata organizzata questa giornata di studi con Federico Albano Leoni?

"Per festeggiarlo al culmine della sua carriera e anche perché è bene che la Federico II festeggi un docente che ha dedicato buona parte, anzi quasi l'intera parte della sua attività didattica e scientifica, a questa università dove ha costruito delle cose di grande valore, come il CIRASS, Centro Interdipartimentale di Ricerca per l’Analisi e la Sintesi dei Segnali, e come altri progetti che continuamente lui ha impostato e elaborato e nei quali ha accolto moltissimi giovani laureandi e laureati."

Può spiegarci quali meccanismi regolano la produzione e la ricezione del messaggio?

"La produzione e la ricezione del messaggio si combinano con diversi meccanismi che non sono soltanto quelli fisiologici, cioè quelli che vengono messi in moto dall'impulso neurale che poi arriva al muscolo che si muove e produce il movimento articolatorio e quindi l'emissione del suono, ma in emissione come anche in ricezione c'è anche l'elaborazione del pensiero e del messaggio che si vuole trasmettere, mentre in ricezione c’è poi la decodifica di questo messaggio. Ci sono quindi molte componenti coinvolte e lo studio ovviamente è uno studio molto complesso che coinvolge diversi livelli di analisi, non tutti a disposizione dello stesso singolo studioso: resta comunque una sfida molto interessante la combinazione di tutti questi punti di vista, approcci e prospettive."

Cosa si intende quando si parla di strategie di designazione delle cose?

"Noi siamo immersi nel nostro mondo e nella nostra lingua; la nostra lingua ci viene dai nostri padri e il parlante in sincronia tante domande non se le fa, accetta il bagaglio che gli viene trasmesso e designa le cose secondo una motivazione che in realtà è storica, nel senso che è data dal fatto che la comunità si serve di quella determinata lingua, in determinati modi. Ci sono degli esempi limite in cui è possibile intervenire nominando in maniera non arbitraria le cose, cioè intervenire nella lingua, ma sono dei casi veramente limite che vanno al di là dell'uso quotidiano del linguaggio che fa il parlante comune: si pensi alle etimologie popolari, tentativo da parte del parlante di ridenominare un qualcosa che gli risulta di difficile comprensione, cercando di appropriarsene, di sentirsi più vicino a quel determinato elemento. Questo accade perché il parlante in realtà ha bisogno di questa vicinanza con la lingua, ha bisogno di motivarla, ma non di motivarla nel senso di non renderla arbitraria, non c'è nulla che va contro l'arbitrarietà saussuriana: è piuttosto un desiderio di motivarla all'interno del proprio vissuto, di agganciarla a quelle che sono le proprie esperienze e le proprie conoscenze. L'etimologia popolare è uno di quei meccanismi forse un po' banali ma comunque che in maniera più macroscopicamente evidente rendono l’idea."

In che modo lo strumento linguistico si lega all’identità del soggetto?

"L'identità del soggetto è dentro la lingua e la lingua conserva l'identità di tutti coloro che la parlano, ne conserva le tracce. Noi siamo fortemente nella nostra lingua, probabilmente non ne siamo neanche tanto consapevoli, ma è così: dallo scritto è meno evidente ma se analizziamo il parlato sono molto evidenti le strategie e le tracce del parlante presenti in tanti piccoli elementi e sfaccettature del nostro parlato, nelle interiezioni che usiamo, nelle pause, nelle modalità con cui noi parliamo, nell'intonazione. Spesso dico ai miei studenti, nelle primissime lezioni, che la lingua che noi utilizziamo, il nostro modo di parlare, come anche di scrivere, è la nostra carta d'identità! È quello che più di ogni altra cosa esprime noi chi siamo, e non soltanto perché nella lingua, cioè nel nostro parlato ci siamo noi fisicamente, perché nella nostra espressione vocale c'è la nostra altezza, il nostro peso; in qualche modo la nostra voce purtroppo rispecchia anche le nostre caratteristiche fisiche, non se siamo biondi o belli, però è anche vero che se sentiamo una voce attraente le attribuiamo istintivamente anche un fisico attraente. Quindi la voce rispecchia noi fisicamente, altezza, età, peso, sesso e poi l'intonazione esprime i nostri sentimenti: un po' la letteratura ha in qualche modo lessicalizzato l’interpretazione di ciò che noi siamo attraverso la classificazione delle voci dei parlanti. Si tratta di una cosa bella e inquietante allo stesso tempo sapere che la nostra voce è tutto noi stessi, non ci possiamo nascondere tanto con la voce."

In particolare come si intreccia la riflessione linguistica agli studi di genere?

"Gli studi di genere sono qualcosa che va al di là degli studi linguistici e gli studi linguistici rientrano anche in una parte degli studi di genere. Ovviamente, per esempio ritornando al discorso di prima, nella voce è riflesso anche il sesso delle persone. La voce quindi, anche se questo argomento è molto discusso, riflette anche un'identità femminile, ovviamente molto connotata culturalmente: non è universale che il modo di parlare femminile sia in un modo magari sottomesso, secondo tanta tradizione che conosciamo, oppure no; questo dipende dalla nostra identità culturale ma sono degli aspetti anche molto interessanti perché ci fanno capire non soltanto il modo di essere delle donne nella lingua ma anche il modo in cui gli altri vedono il modo di essere delle donne nella lingua. Da un altro punto di vista è molto interessante andare a vedere anche, per esempio, come la lingua considera la donna osservando i termini che sono dedicati alla donna e che rispecchiano in qualche modo il suo mondo, parliamo quindi di semplificazioni presenti nei dizionari sotto questi lessemi. Ma sarebbe interessante vedere anche che nelle nostre culture alla donna, tradizionalmente, sono assegnati degli spazi e non altri e così via. È un modo, anche questo, di prendere consapevolezza della nostra storia, di ciò che siamo e di ciò che vogliamo essere."

Quali sono i fenomeni legati alla sfera femminile che emergono in Parole di donne, saggio curato da lei ed edito da Aracne?

"Il mio saggio in particolare è dedicato alla voce delle donne e quindi al modo di interpretare la voce delle donne in culture in diacronia, comunque abbastanza note e vicine a noi, come per esempio la classicità greca. Si tratta quindi di un'osservazione della voce delle donne in un momento in cui alla donna è assegnato soprattutto lo spazio del silenzio, perché la donna appunto deve offrire il silenzio della lingua allo sposo, così come è scritto nell'Iliade. Ma la voce delle donne però, allo stesso tempo, può avere qualcosa di inquietante per l'uomo perché è vista come qualcosa di altro che affascina, seduce, ipnotizza come le sirene, ma di cui in un certo senso si ha paura perché vista dall’uomo come qualcosa di radicalmente altro da se stesso, anche di pericoloso perché mette a rischio l'identità maschile. È la voce di una straniera che è motivo di grande fascino, ma allo stesso tempo rende inquieto uomo, lo preoccupa."

Cos’è l’etimologia?

"L'etimologia, come dice la parola stessa, è la ricerca del vero, del vero nucleo che è nelle parole ma questa è la storia della disciplina, cioè la ricerca fin dove possiamo arrivare di ciò che possiamo ricostruire. Quello che è affascinante nell’ etimologia è la storia, il percorso che un determinato blocco fonico attraversa nel corso dei secoli e tra le culture, perché a mano a mano che questa storia viene percorsa, si arricchisce, diventa addirittura molteplice perché non è una storia sola ma sono tante storie che vengono scritte e che possono essere lette. Nel momento in cui vengono lette vengono anche reinterpretate: c'è un percorso molto complesso che si intreccia con tutta la vita culturale dei popoli; non c'è una etimologia lineare e semplice se non quella molto antica che noi possiamo ipotizzare in base alle leggi fonetiche o semantiche, magari ricostruendo a tavolino. Quando poi andiamo a lavorare sulle attestazioni concrete con percorsi etimologici, magari più vicini a noi, per i quali possiamo sfruttare una maggiore ricchezza di fonti, ci rendiamo conto che le cose sono molto più complesse perché i percorsi dei termini e delle parole seguono la vita dei parlanti e la vita dei parlanti è complessa! Non possono non essere tali anche le storie delle parole che si arricchiscono della vita dei parlanti, quindi della loro cultura, di ciò che cambia nella loro vita. Chiaramente tutto questo è imprescindibile anche dal mutamento fonetico che segue le leggi fonetiche, semantiche…"

Da dove nasce il suo interesse per la semantica?

"Per la traccia dell'utente che comunque porta, per il fatto che ci fa vedere che il singolo e la comunità sono vivamente presenti nella lingua che parliamo e questo è molto evidente nei percorsi, appunto, di storia delle parole, così come ce lo dimostrano gli studi lessicali di genere o lo studio della fonetica. La traccia dell'utente nella lingua che parla, del singolo utente ma anche della comunità linguistica intesa nel suo complesso."

Quali sono gli obiettivi del centro di ricerca interdipartimentale di cui lei è membro, il CIRASS?

"Si tratta di differenti dipartimenti che afferiscono a questo centro di ricerca: lo scopo di questo centro inizialmente era stato quello di coordinare gli sforzi per dotare anche l'italiano di una banca dati notevole e cospicua per poter studiare l'italiano parlato. Altrove, fuori Italia si disponeva di banche dati così ricche e qualcosa del genere non c'era per l'italiano. Si è ottenuta questa banca dati, CLIPS, gratuitamente disponibile sul web, che permette finalmente a questo punto, completata la raccolta che tra l’altro è molto ricca, stratificata da diversi punti di vista, di riflettere sui dati. Adesso che finalmente abbiamo i dati possiamo ragionarci su, cercando possibilmente di integrare i livelli di analisi. È questo a cui mirava questa raccolta di dati, voluta da Albano Leoni: integrare i diversi livelli di analisi, cioè non soltanto quello fonetico e fonologico, ma anche quello morfologico, sintattico, prosodico e così via."

Cosa è emerso dall’analisi condotta nei suoi recenti lavori sul parlato patologico?

"I miei lavori sul parlato patologico sono ancora in corso. Per quanto riguarda il parlato patologico stiamo lavorando appunto soltanto sul parlato e non sullo scritto: innanzitutto la prima cosa che emerge è che è necessario, su questo versante, aprire una nuova stagione di studi perché di studi precedentemente ne sono stati fatti moltissimi ovviamente, però quasi tutti sono basati sulla memoria che l'analista aveva del parlato del paziente, prodotto durante la seduta di analisi. Adesso abbiamo un corpus abbastanza ricco che comprende la registrazione dal vivo del parlato di questi pazienti: da ciò emerge innanzitutto macroscopicamente che, contrariamente a ciò che si pensa, è un parlato normale; da un punto di vista strettamente fonetico ci sono tutte quelle problematiche che emergono dal parlato normale di qualsiasi parlante, quindi con sillabe cadute, erosioni finali ma anche centrali di sillabe, assimilazioni e quant'altro. Per quanto riguarda invece gli altri aspetti, forse quelli più interessanti al di là anche di quelli lessicali e morfologici, riguardano l'interazione tra medico e paziente, cioè la dinamica conversazionale. Avendo ovviamente a disposizione un corpus che comprende tanto il parlato del paziente quanto la risposta, anche breve, dell'analista queste dinamiche conversazionali sono possibili ed è possibile prenderle in considerazione e analizzarle nel dettaglio per far emergere da ciò qualche prospettiva di analisi interessante."

Quali sono i fenomeni che potrebbero a suo avviso “minacciare” l’italiano contemporaneo?

"Nessuno! Chi potrebbe mai toglierci la nostra lingua? Per carità! Forse solo, ma molto alla lontana, questa ingenua convinzione che ci dobbiamo tutti dedicare a una sorta di lingua universale che possiamo parlare tutti quanti, che sia l'inglese o che sia qualsiasi altra e che forse un giorno sostituirà le nostre lingue; questo è qualcosa che si dice ma che in fondo penso che non creda nessuno perché significherebbe rinunciare alla traccia che noi lasciamo nella nostra lingua, alla nostra identità di parlante. No, non è assolutamente possibile, anzi forse bisognerebbe difendere di più la presenza dell'italiano: l'italiano non è affatto una lingua poco presente a livello mondiale, soprattutto europeo; è una lingua molto studiata, in alcuni paesi addirittura seconda lingua, è una lingua molto conosciuta e molto amata all'estero che tendiamo, a volte addirittura noi stessi, a trascurare perché ci vogliamo mostrare più internazionali utilizzando le altre lingue. Questo va benissimo ma senza dimenticare la nostra di lingua perché ha pieno diritto di essere tutelata quanto le altre, rappresentata quanto le altre a livello europeo e anche in virtù proprio dei numeri, che sono altissimi, di coloro che la parlano e la conoscono: non sono assolutamente pochi."

Cosa sta scrivendo adesso?

"Sto completando la cura di questo corpus patologico che finalmente quest'anno verrà pubblicato in modo tale che chiunque voglia possa attingere a questa banca dati. Mi sto occupando ancora di linguaggio di genere in relazione ad alcuni aspetti del lessico dai quali traspare un mondo culturalmente tipicamente femminile della lingua italiana e infine mi sto dedicando a uno studio della etimologia con un approccio manualistico di base, cioè una esemplificazione di che cosa sia la disciplina, di quali siano i meccanismi che muovono la storia della lingua e la storia delle parole tra i parlanti."
 

Francesca De Rosa

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