Intervista a Franco Lo Piparo
Intervista a Franco Lo Piparo
“Penso che le scienze cognitive abbiano bisogno e stiano cercando dei fondamenti filosofici, dal momento che ci si è resi conto del fatto che molte delle scoperte odierne non sono altro che conferme di intuizioni anche antiche che solo adesso possono essere provate”
Professore Lo Piparo, nei giorni scorsi è stato a Napoli per una Giornata di studio con Federico Albano Leoni organizzata dalla Federico II e dall'Orientale. Quali sono i punti di contatto tra il suo percorso e quello del professor Albano Leoni?
“Entrambi ci siamo formati con la linguistica del ‘900, ovvero studi che andavano in direzione della langue; poi ci siamo mossi verso teorie generali, seppur in ambito diverso.”
Un elemento di vicinanza ed uno di divergenza tra lei e il professore Albano Leoni: concezioni, approcci, metodi, prospettive.
“Divergenze non ce ne sono affatto…”
Quale aspetto della ricerca di Federico Albano Leoni ha messo in evidenza con il suo contributo?
“Ho cercato di ricostruire un percorso che, come ho lasciato già in parte intendere rispondendo alla prima domanda, ci ha visti in parte percorrere strade contigue. Sarà il caso di ricordare che una simile contiguità è oltremodo interessante se si tiene presente che da un parte produce, se così posso dire, un fonetista e dall’altra un filosofo del linguaggio.”
Lei è stato, tra l’altro, allievo di De Mauro. Vuole raccontare un ricordo, un aneddoto o un'eredità del suo maestro?
“Per me De Mauro è stato fondamentale. Anche se non mi sono laureato con lui, dopo la laurea volli conoscerlo e probabilmente non avrei fatto neppure il professore se non l’avessi conosciuto. È stato come un innamoramento, un feeling sin dall’inizio, e ancora più dei consigli ‘scientifici’ quello che mi ha trasmesso è la sua umanità.”
Un consiglio del suo maestro (o dei suoi maestri) del quale non avrebbe potuto fare a meno e che ha seguito.
“De Mauro mi ha sempre detto di mantere un approccio critico. Ho avuto modo di dare seguito a questo consiglio in varie maniere. Una di queste si è realizzata attraverso lo studio di Wittgenstein.”
E il consiglio che non ha seguito?
“Non sono una persona che accetta facilmente consigli, per cui avrei davvero moltissime occasioni da citare. Ma basti questo. A volte questo mio modo di essere è stato causa di discussioni, spesso anche con lo stesso De Mauro.”
Quale consiglio darebbe ad un giovane interessato agli studi linguistici in un momento in cui le scienze umane faticano a veder riconosciuto il ruolo che spetta loro nella formazione dell'individuo così come nella sua spendibilità nel mondo del lavoro?
“Studiare il linguaggio è qualcosa per cui bisogna avere una grande passione ed essere anche un po’ fanatici. Il linguaggio fa parte di tutte le attività umane. Non c’è umanità senza linguaggio. Ricordo che De Mauro una volta mi parlò delle biblioteche, e mi disse che di solito le biblioteche sono specializzate: la biblioteca di medicina contiente testi riguardanti la medicina, quella di filosofia testi di filosofia, quella di giurisprudenza testi di diritto e così via; ma nella biblioteca di linguistica non ci sono solo testi di linguistica, ci sono testi di economia, di diritto, di sociologia, etologia, etc. Studiare il linguaggio significa capire come è fatto l’uomo, in tutte le sfere che lo riguardano. Con le parole facciamo tutto, anche con le parole che non diciamo. Proprio per questo direi che vale la pena mettersi a studiare il linguaggio. Se però non si ha una forte passione e voglia di scoprire ciò che ci rende umani, andare a fondo, allora è meglio dedicarsi ad altre discipline, magari come la medicina, che sono anche più remunerative.”
Pensa che oggi sia ancora possibile aspirare ad essere un linguista completo, ossia arrivare ad una visione d'insieme senza perdere di vista la profondità dei singoli fenomeni?
“Sì, credo di sì. Però essere completo non significa sapere tutto. Bisogna aspirare ad una visione totale, conoscere le specializzazioni, tutte le specializzazioni, ma non specializzarsi. È così che si può mantenere una visione ampia.”
Professore Lo Piparo, si è occupato di Antonio Gramsci sin dagli anni Settanta ed il suo intervento per la Giornata di Studi con Federico Albano Leoni testimonia quanto sia ancora oggi vivo l'interesse per questo pensatore. Dopo più di ottanta anni dalla sua carcerazione, com'è cambiata la ricezione di Gramsci in Italia, sia in contesti circoscritti come quello scientifico e quello politico sia in contesti più ampi come quello sociale e culturale?
“Beh, Gramsci si è occupato per un breve periodo di politica, e non può essere ascritto ai filosofi comunisti, o meglio, i comunisti non possono continuare a citarlo nell’ambito del comunismo. Gramsci si è occupato dell’uomo, degli uomini, e le sue riflessioni sono sempre valide. Al di là del fatto che Gramsci possa essere considerato o meno un marxista, credo che sia l’unico dei marxisti che vale ancora la pena di leggere. Tra l’altro alcune considerazioni su uno dei suoi quaderni più importanti usciranno a breve in un libro che sto preparando.”
Un altro suo interesse particolare riguarda Aristotele, su cui è tornato anche di recente. Come nasce il duplice interesse? Si possono trovare collegamenti tra Gramsci ed Aristotele sul piano del linguaggio?
“Sì, certamente. Ma a me non piace mescolare le cose, gli autori, non lo faccio mai. Non ho mai citato Aristotele nei miei scritti su Gramsci e non ho mai citato Gramsci quando scrivevo di Aristotele. Voglio che siano i lettori a mettere insieme le cose, a capire, attraverso lavori sui singoli autori, quanto ci sia in comune tra loro.”
Ancora circa Aristotele, si è occupato della questione corpo-mente-linguaggio-coscienza, termini chiave non solo per la filosofia ma anche per la linguistica, in particolare quella cognitiva. In che misura le teorie aristoteliche incidono sull'attuale dibattito riguardante le scienze cognitive?
“Penso che le scienze cognitive abbiano bisogno e stiano cercando dei fondamenti filosofici, dal momento che ci si è resi conto del fatto che molte delle scoperte odierne non sono altro che conferme di intuizioni anche antiche che solo adesso possono essere provate. A questo proposito Antonio Damasio ha proposto Spinoza, ma io credo che Aristotele sia molto più completo. Se si pensa che Aristotele ha scritto così tanto, si pensa quasi che sia stato un lavoro collettivo. Se pensiamo ad esempio all’Historia animalium, Aristotele fa delle considerazioni così precise anche su animali minuscoli come le formiche e altri: un lavoro eccezionale. E se si considera poi che lo stesso autore di Historia Animalium ha scritto anche la Rethorica, il De Anima, la Politica e via dicendo, si resta senza dubbio sbalorditi. Se oggi un filosofo scrivesse uno solo di questi libri, sarebbe considerato eccezionale.
Il problema con Aristotele, così come con altri autori dell’antichità, è che le traduzioni sono spesso fuorvianti o poco precise; e non mi riferisco a quelle italiane in particolare, ma un po’ a tutte, poiché sin dalle prime traduzioni in latino sono nati fraintendimenti.”
Valentina Russo