Intervista a Giorgio Amitrano in occasione del Convegno AIStuGia

 

Intervista a Giorgio Amitrano in occasione del Convegno AIStuGia

Professore Giorgio Amitrano

Il celebre orientalista ci parla dei suoi rapporti con l’Ateneo e del suo lavoro di traduttore in occasione del convegno AIStuGia (Associazione Italiana Studi sul Giappone) all'Orientale

Professore Amitrano, ci può dire qualcosa sulle caratteristiche e i contenuti del convegno AIStuGia che sta per iniziare?

"Si tratta del convegno generale dell’Associazione Italiana per gli Studi sul Giappone, nata nel 1972, che si svolge annualmente in varie sedi in modo da coinvolgere l’intero territorio nazionale. Quest’anno, dopo circa vent’anni d’assenza, l’evento ritorna finalmente a Napoli, una città che, grazie alla presenza de "L’Orientale", ha goduto sempre di una posizione di centralità negli studi asiatici. I lavori si svolgono secondo uno schema ben collaudato ovvero a una lezione d’apertura, tenuta da un ospite giapponese. Seguono varie sessioni presiedute da un keynote speaker, dove i soci espongono i loro interventi. La conclusione è invece affidata a un panel di esperti che discutono su un tema specifico. Riferendoci alle particolarità di quest’anno posso segnalare la relazione inaugurale dal titolo Semiologia della Letteratura Gourmet dove un ospite giapponese (Shindō Masahiro) tratterà il tema dell’inizio dei contatti tra il Giappone e la cultura culinaria italiana nelle opere degli intellettuali nipponici tra XIX e XX secolo. Si cercherà così anche di dare un’idea delle prime reazioni dei giapponesi, come per esempio Natsume Sōseki che soggiornò proprio a Napoli, quando assaggiarono le nostre ricette o si trovarono alle prese con spaghetti e maccheroni. Il panel finale, invece, vedrà cinque docenti (Ikuko Sagiyama, Andrea Maurizi, Maria Teresa Orsi, Matilde Mastrangelo, Adriana Boscaro NDR) provenienti da varie parti d’Italia interessarsi dei fenomeni di possessione spiritica presenti in varie epoche della letteratura giapponese: un aspetto ancora poco indagato ma di sicura curiosità."

Come sono scelti gli interventi che verranno presentati?

"Al convegno AIStuGia sono accettati, dietro valutazione, gli interventi provenienti da qualsiasi socio, sia esso un accademico o no, purché inerenti alla cultura giapponese e di taglio prettamente scientifico. C’è da dire che quest’anno abbiamo ricevuto un numero molto cospicuo di proposte per il call for papers che da un lato ha portato ad allungare gli orari del convegno e dall’altro ha costretto il comitato scientifico a eliminare anche diversi interventi promettenti per ragioni di spazio. I criteri per la selezione essenzialmente girano attorno alla parola “novità”: si privilegiano relatori che non hanno parlato in edizioni precedenti e soprattutto si cercano temi originali o poco trattati finora."

Che spazio avranno relatori provenienti da L’Orientale? Vi sono anche dei giovani provenienti dal nostro Ateneo?

"Anche in questa edizione L’Orientale darà un contributo rilevante alla conferenza con interventi che reputo di grande spessore. Nel programma sono previste le relazioni di alcuni nostri validi dottorandi e di docenti provenienti dal nostro Ateneo tra i quali per esempio Carolina Negri, ricercatrice a Napoli e presso l’Università di Lecce, e Maria Teresa Orsi, che ora insegna a La Sapienza. Mi permetto di ricordare inoltre la presenza di Adolfo Tamburello con un interessante e inedito studio sui rapporti tra il mondo letterario napoletano e il Giappone dai primi anni del Novecento fino alla Prima Guerra Mondiale. Pochi sanno, infatti, che in quel periodo la città di Napoli era un polo d'avanguardia negli studi e nei lavori di traduzione dal giapponese. Punti di riferimento di questa febbrile attività sono da considerarsi in primis i testi di poeti giapponesi tradotti grazie all’impegno di un nostro lettore, Shimoi Harukichi, presente nell’Ateneo negli anni subito prima la Prima Guerra Mondiale, e poi la creazione della rivista di traduzione La Diana negli anni Venti."

I lavori del convegno saranno pubblicati anche in un archivio digitale o è prevista una pubblicazione di tipo tradizionale?

"Come in tutte le edizioni è prevista la pubblicazione di un volume di atti del Convegno. Il supporto cartaceo è stato il solo che finora abbiamo utilizzato, anche se confesso, è già da un po’ di tempo che si parla del desiderio di realizzare una parallela edizione digitale: ancora nulla è stato messo in pratica, ma chissà magari nel prossimo futuro ci sarà."

Elencherebbe alcuni aspetti che apprezza dell'Ateneo nel quale insegna?

"Riconosco di sicuro come un pregio fondamentale l’apertura internazionale delle nostre strutture e le possibilità di contatto diretto con culture e istituzioni europee ed extraeuropee. Inoltre valuto molto positivamente anche il rapporto che c’è fra tradizione e modernità: accanto allo studio dell’antichità e della filosofia troviamo, infatti, anche brillanti insegnamenti a vocazione ultra contemporanea."

La formazione che L’Orientale offre è secondo lei competitiva a livello internazionale? Vi sono aspetti che migliorerebbe?

"La produzione scientifica, la ricerca e il livello di qualità della didattica dell’Ateneo sono state sempre rispettate, riconosciute e godono di un elevato prestigio in Italia e all’estero. Quelli che invece potrebbero essere migliorati, sono i servizi: dalle biblioteche, agli uffici, alle segreterie fino alle toilette per intenderci. In Italia purtroppo non si è ancora troppo sviluppata una mentalità orientata al rispetto del cliente o dell’utente finale mentre, specie nel caso delle università, sarebbe invece utile una maggiore attenzione ai reali bisogni degli studenti. Comunque si mi confronto con la mia esperienza di studente di trent’anni fa, riconosco che molti rilevanti passi avanti sono stati fatti e mi auguro si continui per questa strada di continue innovazioni e miglioramenti."

Lei è coordinatore del dottorato in Asia Orientale e Meridionale dell'Orientale: ha dato un taglio particolare alla didattica del corso?

"Il 2009-2010 è stato il mio primo anno accademico come coordinatore di questo enorme contenitore di territori e discipline che è il dottorato AOM. Lo definisco così perché questo corso di studi spazia, allo stesso tempo, tra Cina, India, Giappone o Sud-Est Asiatico e tra diversi campi disciplinari come storia, linguistica, filosofia, religione oppure letteratura: la parola d’ordine per organizzarne la didattica è stata quindi "trasversalità". Per questo ho scelto un tema generale ovvero le "ibridazioni" tra le culture asiatiche, e con la collaborazione dei colleghi del collegio docenti, ho cercato di prevedere un calendario di seminari che offrisse un quanto più ampio panorama dei fenomeni di contatto tra le civiltà presenti nel continente, in modo da coinvolgere gli interessi più diversi e suscitare stimoli di riflessione in tutti gli studenti. Sono convinto, infatti, dell’importanza, per uno studente di dottorato, di mantenere sempre un certo grado d’interdisciplinarità nelle sue conoscenze."

Il grande pubblico la conosce come traduttore di due grandi personalità della letteratura giapponese contemporanea quali Yoshimoto Banana e Murakami Haruki. Dall’alto della sua esperienza, quali consigli potrebbe dare agli studenti che dopo la laurea si vogliono avvicinare al mondo della traduzione?

"Innanzitutto bisogna conoscere bene la lingua, quindi occorre studiarla all’Università con passione e costanza. Per completare la formazione, considero poi essenziale andare in Giappone e viverci almeno un anno in modo da apprendere le reali varietà della lingua e le sue sfumature espressive. Inoltre occorre una forte attitudine di base e propensione al mestiere. La traduzione, come diceva Eco, è il rendere un testo "quasi uguale" all’originale: è necessario quindi un certo talento per stilare delle pagine quanto più naturali ed avvincenti per il pubblico d’arrivo. A questo proposito è utile anche leggere tanto per arricchire il proprio bagaglio lessicale ed espressivo. In ogni caso, consiglierei comunque di avvicinarsi al lavoro di traduttore a piccoli passi. Per esempio io non sono passato tramite i master o le scuole di traduzione che oggi vanno molto di moda, ma ho iniziato come autodidatta, un po’ per interesse e un po’ per diletto, a tradurre dei brevi racconti che a volte riuscivo a pubblicare in riviste universitarie. A coronamento dei miei sforzi, un giorno qualcuno notò e apprezzò questi miei piccoli lavori e mi proposero un primo contratto con una casa editrice di Venezia, la Marsilio. Il difficile consiste infatti proprio nel farsi conoscere all’inizio: purtroppo in Italia non esistono agenti di traduzione attraverso i quali procacciarsi il lavoro ma è necessario proporre i propri lavori alle case editrici, accompagnandole da un proprio curriculum e da una lettera di presentazione. Oggi poi non sottovaluterei nemmeno il web come "vetrina" di autopromozione. Infine, mi dispiace dirlo, ma è un lavoro piuttosto discontinuo e mal pagato: di sola traduzione è difficile vivere e consiglierei di affiancare l’attività sempre a qualcos’altro."

Verso quali campi della traduzione specialistica consiglierebbe a uno studente di orientarsi?

"Pensando alla traduzione giapponese in Italia, un campo certamente molto produttivo è quello dei manga. Comunque sebbene sicuramente sia un lavoro molto divertente, non è detto che sia facile: le varietà colloquiali, i termini di slang e i neologismi ricorrono numerosi e non sempre sono semplici e immediati da rendere in italiano. Un altro campo che raccomando è quello delle traduzioni tecniche o medico-scientifiche: alla nostra università non abbiamo insegnamenti che si occupano di questo ma comunque padroneggiare tale lessico non è impossibile e con un po’ di tempo ed esperienza lo si apprende, specie se ci si trova in Giappone. Ricordo comunque agli studenti anche di consultare il loro professore di riferimento in modo da orientarsi al meglio, se si vuole intraprendere questa strada."

Italiano e giapponese sono due lingue strutturalmente molto diverse: quali sono gli elementi e/o concetti più difficili da trasporre? Come cerca di capire e trasmettere le reali intenzioni espressive dell’autore?

"Spesso, quando parlo con i miei colleghi di teorie della traduzione, mi accorgo che si tende a sottolineare molto gli ostacoli che possono sorgere nel passaggio da una lingua a un’altra. Si pensi solo che, a confronto con l’italiano, nel giapponese si alternano ben quattro sistemi di scrittura, non vi sono tempi verbali se non un’opposizione passato/non passato e non vi è quasi mai la distinzione tra plurale e singolare. Senza dubbio le differenze interlinguistiche esistono ed hanno il loro peso ma, secondo me, non sono insormontabili: sono un fermo sostenitore della comunicabilità di qualsiasi concetto o pensiero in ogni lingua e ritengo che tutti i problemi di traduzione abbiano la loro soluzione più adatta. Paragonerei il lavoro del traduttore a quello di un artigiano che con umiltà e pazienza prosegue per tentativi finché non giunge a creare un testo quanto più possibile coincidente alla versione originale. Quando io traduco, mi "separo2 dalla mia parte intellettuale e cerco dapprima di trarre quante più informazioni dal testo specie nelle parti meno chiare. Il passo successivo consiste nel rielaborare il concetto in una ragionevole versione italiana quanto più fedele alle sfumature dell’originale: i due testi è come se essenzialmente dovessero coincidere. Bisogna, infatti, avere sempre ben presente che si è solo degli intermediari che cercano di fare arrivare il messaggio da un mittente a un destinatario: tralascerei quindi inutili arricchimenti o creazioni personali che, oltre che essere di cattivo gusto, porterebbero a stravolgere la volontà espressiva originale dell’autore."

In ultimo: ci può dare un’anticipazione sui lavori di traduzione che ha in corso?

"Sto ora traducendo l’ultima opera di Murakami Haruki ovvero 1Q84. Si tratta di un lungo romanzo uscito in Giappone in tre volumi divenuti subito best seller. In Italia i diritti sono stati acquistati da Einaudi che ha previsto pubblicarlo in due volumi nel 2011, probabilmente rispettando un intervallo tra la messa in vendita del primo e quella del secondo, com’è avvenuto anche per l’edizione giapponese (i primi due sono stati pubblicati nel Maggio 2009, il terzo è stato pubblicato nell'Aprile 2010, NDR). Il titolo originale ricorda 1984 di George Orwell, poiché in giapponese la lettera Q (pronunciata kyū, ndr) ha un suono molto simile al numero nove. La resa del titolo in italiano è ancora oggetto di valutazione ma, tranne diverse indicazioni dell’editore, penso di non modificarlo anche perché quella Q ha un impatto grafico molto forte e difficilmente trascurabile. Forse sarà aggiunto un sottotitolo per spiegare come leggere questa strana serie numerica. A mio parere 1Q84 è tra i migliori romanzi che Murakami abbia scritto finora ed è per questo che la traduzione mi sta impegnando molto. Non vorrei deludere quanti la stanno aspettando."

Fabiana Andreani - Direttore: Alberto Manco

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